Il diario di una ninfomane esibizionista: 6 ottobre 2025

di
genere
esibizionismo

6 Ottobre 2025

​Diario,

​oggi il demone si è svegliato annoiato. E un demone annoiato è molto più pericoloso di un demone affamato. Un demone affamato è semplice: vuole scopare. Un demone annoiato vuole distruggere.

​La domenica l'ho passata a letto, in uno stato di coma autoindotto, cercando di digerire le conquiste della settimana precedente. Ma il sapore delle vittorie facili svanisce in fretta, lascia in bocca un gusto di cenere. Stanotte ho sognato una ragazza che avevo rimorchiato il weekend scorso, una di quelle con gli occhi da cerbiatto che si era sciolta dopo due parole. Nel sogno, mi guardava con adorazione, e io ho provato un'ondata di disgusto così forte che mi ha svegliata. Ero stufa degli agnelli. Volevo un fottuto lupo.

​Stamattina, al lavoro, ero circondata da pecore. Ogni donna nel mio ufficio era un potenziale pasto, ma un pasto insipido, precotto. Vedevo le loro vite noiose, i loro desideri banali nascosti dietro schermi e scartoffie, e provavo solo un senso di nausea e superiorità. La mia figa era apatica, addormentata. Il mio corpo era un motore potente inceppato al minimo, che aspettava la scintilla giusta per esplodere. Avevo bisogno di una sfida. Avevo bisogno di una preda che potesse mordere a sua volta, che potesse guardarmi negli occhi senza tremare.

​Così, dopo il lavoro, sono andata nel mio terreno di caccia preferito per le prede di un certo livello: la grande biblioteca municipale. Un mausoleo di pietra e silenzio, un luogo dove la gente va per sfoggiare la propria intelligenza. L'ho sempre trovato un posto fottutamente erotico. L'idea di tutta quella conoscenza, di tutta quella cultura, che fa da sfondo alle mie perversioni più luride... è una bestemmia che mi fa bagnare all'istante.

​Sono entrata e l'odore di carta vecchia, polvere e legno lucido mi ha riempito i polmoni. Ho camminato lentamente nella sala di lettura principale, i miei tacchi che producevano un eco secco e arrogante sul marmo, un suono quasi osceno in quel silenzio religioso. Mi sentivo gli occhi di tutti addosso, sguardi infastiditi, curiosi. Lasciavo che mi guardassero. Era il mio preliminare, il modo in cui marcavo il territorio. Ho preso posto a uno dei lunghi tavoli di legno scuro, ho tirato fuori un libro a caso e ho iniziato la mia ispezione. La sala era piena di gazzelle. Giovani, facili da spaventare, facili da eccitare. Le guardavo e non sentivo niente. Il mio demone dormiva, infastidito. Ho passato quasi un'ora così, a scartare possibilità, la noia che si trasformava in una rabbia sorda, in una frustrazione che ha iniziato a farmi pulsare la figa.

​Poi, è entrata.

​L'ho sentita prima di vederla. L'aria è cambiata. Un'ondata di energia fredda, silenziosa e potente ha attraversato la sala. Il brusio di sottofondo è calato per una frazione di secondo. La gente ha alzato la testa. Era come se fosse entrata una regina nel suo salone. E poi l'ho vista.

​Poteva avere poco più di trent'anni. Indossava un tailleur pantalone nero di un taglio così perfetto che le scivolava addosso come inchiostro liquido. Sotto, una camicia di seta bianca, con i primi due bottoni aperti a rivelare l'inizio della curva del suo sterno. Capelli neri, tagliati in un caschetto perfetto, geometrico, che le incorniciava un viso dai lineamenti aristocratici e crudeli. Labbra rosse, un taglio netto in un viso pallido. Si muoveva con una lentezza calcolata, ogni suo passo era una dichiarazione di potere. Non camminava. Avanzava.

​Si è seduta al mio stesso tavolo, ma a diversi metri di distanza, in una posizione da cui poteva dominare l'intera sala. Ha tirato fuori un laptop sottile e nero e una penna stilografica. Ha iniziato a lavorare, ignorando chiunque. Era completamente assorta, un iceberg di eleganza e concentrazione. E il mio demone si è svegliato di colpo. Si è messo seduto, ha puntato le orecchie, ha mostrato i denti. Eccola. La Sfida.

​Ho chiuso il libro che stavo fingendo di leggere. L'ho messo da parte. E ho iniziato il mio gioco.

​Ho iniziato a guardarla. Non uno sguardo casuale. Uno sguardo fisso, intenso, predatorio. Uno sguardo che era un insulto, una dichiarazione di guerra, un invito a scopare. Non ho distolto gli occhi da lei neanche per un secondo. E ho iniziato a spogliarla, a possederla, a distruggerla, tutto nella mia testa.

​Il mio porno-mentale è iniziato. La vedevo, ancora seduta lì, impeccabile. Ma nella mia mente, le strappavo via quel fottuto tailleur. Sentivo la stoffa costosa lacerarsi sotto le mie mani. Vedevo il pizzo nero e costoso che sicuramente indossava sotto. La prendevo per i capelli, rovinando quel suo caschetto perfetto, e la sbattevo sul tavolo, facendo volare via il suo laptop. La sentivo ansimare, non di piacere, ma di shock. Le aprivo le gambe, proprio lì, sul legno scuro e lucido del tavolo della biblioteca, sotto gli occhi di tutti. E poi, le divoravo la figa. La leccavo con una furia selvaggia, sentendo il suo sapore sofisticato e costoso riempirmi la bocca. La facevo urlare, riempiendo il silenzio sacro di quella sala con i suoi gemiti osceni.

​La mia figa pulsava, bagnata, solo per la potenza di quella fantasia. Il mio respiro si era fatto più pesante. E continuavo a fissarla. Volevo che sentisse i miei pensieri. Volevo che sentisse il peso del mio sguardo, della mia lussuria, come una mano fisica su di lei.

​Lei, per un tempo che mi è parso infinito, non ha reagito. Continuava a scrivere, a leggere, ignorandomi completamente. Questa sua indifferenza mi faceva incazzare e mi eccitava da morire. Era come sbattere contro un muro di ghiaccio. E io volevo scioglierlo, volevo mandarlo in frantumi.

​La mia fantasia si è fatta più spinta. Ora ero io quella sul tavolo. E lei, la regina di ghiaccio, perdeva finalmente il controllo. La vedevo salire su di me, strapparmi i vestiti, scoparmi con una furia fredda e calcolata, usando le sue dita esperte per portarmi all'orgasmo ancora e ancora, fino a farmi piangere e implorare.

​Ero così persa in questo delirio che non mi sono accorta che aveva smesso di scrivere.

​Quando sono tornata in me, ho visto che mi stava guardando. Non so da quanto. Mi ha guardata dritta negli occhi, penetrando attraverso la nebbia della mia lussuria. E sul suo viso non c'era ombra di turbamento. Non c'era shock, non c'era disgusto. C'era solo un'espressione di freddo, intellettuale, divertimento. Un angolo delle sue labbra perfette si è sollevato in un sorriso quasi impercettibile, un sorriso di sufficienza, quasi di compatimento. Come se avesse ascoltato tutti i miei pensieri più sporchi e li avesse trovati banali, infantili.

​Mi ha guardata dritta negli occhi. Ha visto la mia lussuria, la mia anima nuda e famelica. E mi ha giudicata. E mi ha trovato patetica.

​Ha tenuto il mio sguardo per un altro paio di secondi, un'eternità in cui mi ha sezionata con gli occhi. Poi, ha sbattuto le palpebre, una sola volta, lentamente. Un gesto di chiusura. Un licenziamento. Con una lentezza esasperante, ha chiuso il suo portatile. Il click morbido è risuonato nel silenzio come un colpo di pistola. L'ha riposto nella sua borsa. Si è alzata. Si è sistemata la giacca con un gesto fluido. E se n'è andata. Senza una parola. Senza un'altra occhiata.

​Sono rimasta lì, seduta, completamente distrutta. Mi sentivo svuotata. L'eccitazione era svanita, sostituita da un'ondata di umiliazione così gelida che mi ha tolto il fiato. Non avevo neanche avuto un orgasmo, eppure mi sentivo più usata e sfinita che mai. Sono stata vista. Sono stata capita. E sono stata respinta, liquidata come una dilettante. Ha letto la mia mente e ha deciso che era un libro noioso.

​Ma sotto l'umiliazione, qualcos'altro stava nascendo. Una rabbia. Un'ossessione. Non era più solo desiderio. Era una questione personale. Quella donna non mi aveva solo respinta. Mi aveva sfidata.

​La caccia è appena iniziata. E non mi fermerò finché non avrò cancellato quel sorriso arrogante dalla sua faccia con la mia stessa figa. Gliela sbatterò in faccia così forte che dovrà leccarmela per chiedermi scusa.

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scritto il
2025-10-09
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