Filo Rosso Anima 6

di
genere
bondage

PREMESSA DELL’AUTRICE:

Ciao a tutti, sono Fuuka. Una piccola nota di servizio prima di cominciare: se ci siamo appena conosciuti e questo è il vostro primo tuffo in questa storia, allora queste parole sono per voi, per darvi una piccola chiave di lettura. Se invece eravate già qui con me e Yuko nel capitolo precedente, potete saltare questa parte per passare direttamente al racconto.

​Per chi è appena arrivato…

Quella che state per leggere è la mia storia. O meglio, la nostra storia.

Ho sempre pensato che le emozioni più grandi, quelle che ti scuotono l’anima, fossero quasi impossibili da descrivere a parole. Da quando ho conosciuto Yuko, questa sensazione è diventata una certezza. Ho cercato a lungo un linguaggio, un modo per catturare la magia, la profondità e l’intensità di ciò che esiste tra di noi. Questa storia è il mio tentativo di farlo, di mettere su carta qualcosa che si vive sulla pelle e nel cuore.

Voglio essere onesta con voi: per quanto io la ami, per quanto cerchi di capirla, non potrò mai essere veramente dentro la sua testa, sentire esattamente quello che sente lei nel profondo. La mia prospettiva è solo una metà del nostro universo.

Ma questa è una storia, e nelle storie, a volte, l’impossibile può accadere.

Per questo, ogni tanto, vedrete delle parti scritte tra le parentesi.

Quella è lei. È Yuko.

Sono i suoi pensieri, le sue sensazioni più segrete, quasi rubate direttamente dalla sua anima e offerte a voi, perché possiate capire. L’ho fatto perché per comprendere davvero la nostra danza, non basta vedere i miei passi; dovete sentire anche la sua musica.

Spero che questo viaggio vi emozioni tanto quanto ha trasformato me. E spero che, leggendo, possiate sentire anche solo un frammento di quella connessione che ci lega, più forte di qualsiasi corda.

Buona lettura.

Fuuka

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Sono passate diverse settimane dal nostro primo esperimento con la corda, settimane in cui la distanza è tornata a essere la nostra normalità, una tela grigia su cui il ricordo di quel filo rosso splendeva con una vividezza quasi violenta. La fiducia che abbiamo cementato quel giorno non si è affievolita con la lontananza; al contrario, si è distillata, diventando più pura e potente, un liquore invecchiato che ora desidero assaporare. Stasera, Yuko è di nuovo qui, nel mio appartamento. È arrivata ieri sera, e la nostra riunione è stata meno febbrile della precedente, più dolce, permeata da una nuova e profonda consapevolezza di ciò che stiamo costruendo insieme.

​Dopo una cena consumata lentamente tra chiacchiere e risate, l’atmosfera nella stanza è cambiata. La musica soffusa, la luce delle candele che proietta ombre danzanti sulle pareti, tutto sembra convergere verso un’unica, tacita domanda che aleggia tra di noi, carica di elettricità. Siamo sedute sul tappeto, di fronte, un bicchiere di vino quasi dimenticato accanto a noi. I suoi occhi scuri mi scrutano, e vi leggo la stessa anticipazione che mi fa battere il cuore in una nuova, complessa e profonda armonia.

​“Stasera,” inizio, la mia voce un sussurro che non vuole incrinare la quiete, ma che è carico di una nuova autorità, “non voglio legarti per limitarti. Non voglio toglierti il movimento.” Faccio una pausa, lasciando che le mie parole le scendano dentro. “Stasera… voglio legarti per connettermi a te. Voglio creare una linea diretta tra la mia volontà e il tuo piacere. Voglio che il tuo corpo impari a obbedire al mio prima ancora che le mie mani ti tocchino.”

​Vedo le sue pupille dilatarsi leggermente. Un piccolo, quasi impercettibile, brivido le percorre le braccia. Inspira lentamente, le sue labbra si socchiudono.

​(Sento le sue parole scendere dentro di me, non nella mente, ma direttamente nel ventre, dove un calore liquido e pesante si espande istantaneamente. L’immagine che evoca… che il mio piacere sia legato al suo, che i miei fianchi obbediscano ai suoi. Non è un’idea spaventosa. È l’idea più erotica che abbia mai sentito. Non si tratta più solo di arrendermi a lei, ma di diventare uno strumento nelle sue mani, di essere suonata da lei. Sento il mio sesso che si inumidisce, una risposta immediata e traditrice. Dico di sì con gli occhi, un istante prima che la mia bocca riesca a formulare un suono.)

​“Sì,” sussurra infine, e in quella singola sillaba c’è un intero universo di consenso, un mondo di desiderio pronto per essere esplorato.

​Mi alzo e le porgo la mano. La sua pelle è calda, il suo tocco è fermo, ma sento una leggera vibrazione sottopelle, la sua eccitazione. La guido al centro della stanza, in uno spazio vuoto che ora sembra un palcoscenico, il nostro santuario. “Spogliati per me, Yuko,” le dico, e la mia voce non ammette repliche. Lo fa, lentamente, senza mai staccare i miei occhi dai suoi, un atto di fiducia che è già parte della scena. La guardo sfilare il maglione, rivelando la curva delicata della sua clavicola e i suoi seni perfetti. Poi slaccia i pantaloni, facendoli scivolare lungo le sue gambe toniche, fino a rimanere completamente nuda di fronte a me. È una visione così perfetta da farmi male, una statua d’avorio e ombra alla luce delle candele.

​Mi avvicino con la corda rossa tra le mani. Non è più solo un gomitolo di juta; è il nostro strumento sacro, un pennello, un’estensione della mia volontà e della mia adorazione. Mi inginocchio di fronte a lei. Le mie mani si posano sui suoi fianchi nudi, e mi prendo un momento per assaporare la sensazione: la pelle liscia e calda, la curva solida dell’osso iliaco sotto i miei polpastrelli. Poi, porto il primo capo della corda a contatto con la pelle sensibile della sua schiena, proprio sopra l’incavo dei reni. Vedo la pelle d’oca formarsi sulle sue cosce mentre il filo ruvido la sfiora. La avvolgo, passando la corda attorno al suo bacino, le mie mani che seguono il percorso, i miei pollici che premono leggermente sulla sua carne, definendola. Lavoro in un silenzio concentrato, le mie dita che si muovono con una precisione quasi chirurgica per creare il nodo, un koshi-nawa semplice ma solido. Lo chiudo davanti, proprio sopra il suo pube, un gioiello rosso che indica la via verso il tempio del suo piacere.

​(Le sue mani sui miei fianchi sono così sicure, il suo tocco è un’affermazione di possesso che mi fa tremare le ginocchia. E poi la corda. La sento avvolgermi, una pressione ferma e incredibilmente rassicurante. Non mi sento intrappolata. Mi sento… ancorata. Centrata. Il nodo finale, stretto proprio sopra il mio sesso, è un punto focale di calore e di peso. È come se avesse chiuso un circuito, e ora tutta l’elettricità del mio corpo è concentrata lì, tra le mie gambe, in attesa di una scintilla. Il mio corpo non è più solo mio; è nostro. Sono pronta a farmi guidare. Sono pronta a ballare.)

​Finisco il nodo e mi alzo in piedi, tenendo in ogni mano le due lunghe estremità della corda. Faccio qualche passo indietro, mettendole in una tensione leggera ma costante. La linea rossa che ora ci unisce è un ponte teso tra le nostre anime, un condotto attraverso il quale sento già scorrere un’energia potentissima. Non la sto toccando, eppure non mi sono mai sentita così intimamente connessa a lei.

​“Vieni da me,” sussurro.

Non è la mia voce a farla muovere. È il leggero, quasi impercettibile, strattone della corda sui miei fianchi. Vedo il suo corpo rispondere prima ancora che la sua mente possa elaborare l’ordine. Fa un passo, poi un altro, i suoi movimenti fluidi e quasi ipnotici. La guido in una danza lenta e silenziosa. La faccio girare, ammirando il modo in cui la corda rossa spicca contro la sua pelle chiara. La faccio avvicinare finché i suoi seni nudi non sfiorano il mio petto, sento il suo respiro caldo sul mio viso, per poi farla allontanare di nuovo con un tiro delicato, godendomi il piccolo gemito di frustrazione che le sfugge.

​La conduco verso la parete, facendole appoggiare la schiena contro la superficie fredda. Poi mi avvicino, il mio corpo che preme contro il suo. Uso le corde per tirarmi i suoi fianchi contro, facendola inarcare, offrendomi il suo collo, il suo petto. La bacio, un bacio profondo, umido, e mentre le nostre lingue danzano, gioco con la tensione della corda, guidando il ritmo del nostro respiro, del nostro desiderio.

​Poi, tenendo sempre le corde in una mano, mi inginocchio di fronte a lei. Il suo sesso è alla stessa altezza dei miei occhi. È una visione celestiale. Le sue labbra sono gonfie, umide, di un colore profondo e ambrato, quasi violaceo, lucide del suo stesso desiderio. Il profumo che emana è inebriante, un misto di muschio e dolcezza che mi fa girare la testa. Alzo lo sguardo e incontro i suoi occhi. Sono annebbiati dal piacere, persi.

​Senza preavviso, tiro leggermente la corda. I suoi fianchi si spingono in avanti di un centimetro, un’offerta involontaria. Sorrido. E poi la assaggio. La mia lingua è un pennello, che dipinge prima le sue grandi labbra, assaporandone la consistenza morbida e carnosa. Poi si fa più audace, aprendola, esplorando l’ingresso della sua vagina, gustando la sua seta liquida e salata. Infine, trovo il suo clitoride, una perla turgida e pulsante. Inizio a leccarla con un ritmo lento e costante, mentre con la corda inizio a giocare. Tiro leggermente, e i suoi fianchi si sollevano, spingendo il suo clitoride più a fondo nella mia bocca. Allento, e lei ricade con un gemito frustrato. Lo faccio ancora, e ancora. È lei a muoversi, ma sono io a dirigere ogni singolo movimento.

​(Non ho mai provato niente di simile. Il mio corpo si muove come se avesse una volontà propria, rispondendo a stimoli che non partono dal mio cervello, ma dai miei fianchi. La sua lingua è divina, esperta, la sento esplorare ogni millimetro di me. Ma è la corda a rendermi pazza. Ogni suo tiro mi fa spingere più a fondo nella sua bocca, ogni suo rilascio mi lascia sospesa in un limbo di desiderio insopportabile. Sto perdendo i confini di me stessa, non so più dove finisco io e dove inizia lei. Non c’è più pensiero. Solo la corda, la sua bocca… mi sta disfacendo. Mi sta annullando. Voglio di più. La prego con il corpo di non fermarsi mai.)

​Sento che è vicina. Il suo respiro è spezzato, il suo corpo inizia a tremare. Ma non ho ancora finito. Smetto di leccarla e la sento emettere un suono di protesta. Infilo due dita dentro di lei. È stretta, calda e pulsante. Trovo la sua parete anteriore, quel punto ruvido e magico, e inizio a premere con un movimento ritmico. Allo stesso tempo, con l’altra mano, riprendo a tirare la corda. La impalo sulle mie dita. La sento ansimare, il suo nucleo che si scontra con le mie nocche. Allento, e la lascio sospesa per un istante, prima di tirarla a me di nuovo, più forte. La sua testa è gettata all’indietro contro il muro, la sua bocca aperta in un grido silenzioso.

​Sento, attraverso la corda tesa, il momento esatto in cui il suo corpo si arrende. Un’onda violenta la scuote, un tremito che parte dalle viscere e si propaga fino alla punta dei suoi capelli. Il suo sesso si contrae spasmodicamente attorno alle mie dita, stringendole in una morsa di puro piacere, mentre un urlo roco e liberatorio le esplode dalla gola. La tengo così, stretta a me con la corda, finché l’ultima scossa non l’abbandona.

​Poi, lentamente, uso le corde per tirarla a me, lontano dal muro, fino a farla crollare tra le mie braccia. Lei si aggrappa a me, senza forze, il suo viso nascosto nell’incavo del mio collo, il suo corpo che ancora trema per le scosse di assestamento. La corda è ancora lì, che ci unisce, ora allentata, un cerchio rosso che cinge entrambi i nostri corpi. La teniamo per ore, anche dopo che la passione si è spenta e si è trasformata in una tenera quiete. Un promemoria tangibile del fatto che, stasera, non eravamo due persone che facevano l’amore. Eravamo una cosa sola, una danza di fiducia e desiderio legata da una singola, perfetta, prima linea.

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scritto il
2025-10-09
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