Filo Rosso Anima 5

di
genere
bondage

PREMESSA DELL’AUTRICE:

Ciao a tutti, sono Fuuka, e quella che state per leggere è la mia storia. O meglio, la nostra storia.

​Ho sempre pensato che le emozioni più grandi, quelle che ti scuotono l’anima, fossero quasi impossibili da descrivere a parole. Da quando ho conosciuto Yuko, questa sensazione è diventata una certezza. Ho cercato a lungo un linguaggio, un modo per catturare la magia, la profondità e l’intensità di ciò che esiste tra di noi. Questa storia è il mio tentativo di farlo, di mettere su carta qualcosa che si vive sulla pelle e nel cuore.

​Voglio essere onesta con voi: per quanto io la ami, per quanto cerchi di capirla, non potrò mai essere veramente dentro la sua testa, sentire esattamente quello che sente lei nel profondo. La mia prospettiva è solo una metà del nostro universo.

​Ma questa è una storia, e nelle storie, a volte, l’impossibile può accadere.

​Per questo, ogni tanto, vedrete delle parti scritte tra le parentesi.

Quella è lei. È Yuko.

Sono i suoi pensieri, le sue sensazioni più segrete, quasi rubate direttamente dalla sua anima e offerte a voi, perché possiate capire. L’ho fatto perché per comprendere davvero la nostra danza, non basta vedere i miei passi; dovete sentire anche la sua musica.

​Spero che questo viaggio vi emozioni tanto quanto ha trasformato me. E spero che, leggendo, possiate sentire anche solo un frammento di quella connessione che ci lega, più forte di qualsiasi corda.

​Buona lettura.

​Fuuka

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Il mondo sembra essersi fermato in quell’istante, sul pavimento del mio studio. Le nostre mani sono ancora intrecciate sopra il suo cuore, un sigillo silenzioso che ha detto più di mille parole, più di qualsiasi bacio. Il profumo dei libri e della polvere si mescola ora con quello della nostra pelle, un odore intimo di fiducia, di desiderio nascente e della pioggia imminente fuori dalla finestra. La luce del pomeriggio si è fatta più morbida, più dorata, e avvolge i nostri corpi in un’aura quasi sacra. Sento il suo respiro, ora calmo e regolare, e il battito costante e potente del suo cuore sotto il mio palmo. È il ritmo della sua vita, e me lo sta offrendo. In questo silenzio carico di promesse, capisco che è giunto il momento. La teoria, così a lungo studiata, deve cedere il passo alla pratica.

Mi sciolgo lentamente dalla sua presa, con un movimento fluido e quasi esitante, come se temessi di rompere l’incantesimo. I suoi occhi mi seguono, scuri e pieni di un’interrogazione silenziosa, una vulnerabilità che non le ho mai visto prima. Mi alzo, sentendo i muscoli delle gambe un po’ indolenziti, e mi dirigo verso un vecchio baule di legno che tengo in un angolo della stanza, un cimelio di famiglia che non ho mai saputo come usare e che ora, improvvisamente, ha trovato il suo scopo. Mi inginocchio e lo apro. Il cigolio dei cardini è un suono antico, l’apertura di un vaso di Pandora pieno non di mali, ma di possibilità sconosciute.

Dall’interno, avvolto in un panno di lino grezzo color avorio, estraggo il mio primo, vero acquisto. La mia prima corda. Non è un oggetto qualsiasi. È un gomitolo di juta di un rosso profondo, quasi bordeaux, il colore del vino Amarone che abbiamo bevuto, il colore del sangue che mi pulsa nelle vene, il colore della passione più viscerale. L'ho scelta con una cura quasi ossessiva, e l’ho preparata io stessa, notte dopo notte. L’ho fatta passare sulla fiamma di una candela per eliminare le fibre superflue, l’ho trattata con olio di jojoba e cera d’api finché non è diventata più morbida, meno aggressiva sulla pelle, ma senza perdere la sua anima ruvida, la sua onestà materica.

Quando torno da lei, la tengo tra le mani come un sacerdote che porta un’offerta all’altare.

(Eccola. La corda. È diversa da come l’avevo immaginata. Non è uno strumento, è un talismano. Il colore è così intenso, un filo scarlatto che sembra destinato a legare non solo i corpi, ma i destini. Sento il suo nervosismo nel modo quasi sacro in cui la tiene. E questa sua trepidazione, stranamente, mi calma. Mi intenerisce, scioglie l’ultimo grumo di paura che mi era rimasto in gola. Voglio rassicurarla, farle capire con lo sguardo che sono qui, che non vado da nessuna parte. Che sono pronta ad essere la sua tela.)

Mi siedo di nuovo di fronte a lei, a gambe incrociate, così vicina che le nostre ginocchia quasi si toccano. Non parlo. Le porgo semplicemente la corda. Lei esita per un solo, impercettibile istante, poi allunga la mano e la prende. La vedo studiarla, le sue dita lunghe e affusolate, le stesse che sanno plasmare il legno, che ne saggiano ora la consistenza con la stessa perizia. La porta al viso, chiudendo gli occhi, e la inspira.

(È più pesante di quanto immaginassi, e ha un odore… di terra, di erba secca, di cera d’api e di qualcosa che è solo suo, di Fuuka. Sa di cura, di dedizione. Non è un oggetto inerte. Ha un’anima. La passo tra le mani, sentendo la sua superficie ruvida ma non spiacevole. È una promessa di sensazioni sconosciute, un invito a esplorare un territorio inesplorato dentro di me.)

“Prima di fare qualsiasi cosa su di te,” dico, la voce più ferma di quanto mi sentissi, “voglio che vedi. Voglio che capisci.”

Prendo un capo della corda e, con movimenti lenti e precisi, inizio a creare un nodo elaborato attorno alla mia stessa coscia, sopra la stoffa dei pantaloni. Le mie dita si muovono con una concentrazione assoluta, intrecciando, passando, tirando delicatamente. Le spiego ogni passaggio a bassa voce, come se le stessi insegnando una formula magica. “Questo si chiama doppio nodo a diamante… vedi? Non stringe, distribuisce la pressione in modo uniforme. È un nodo che decora, non imprigiona.”

(Vederla legare se stessa, anche solo per un istante, per mostrarmi, è un atto di un’intimità disarmante. Non sta prendendo il controllo; sta condividendo un segreto, si sta rendendo vulnerabile prima ancora di chiedermelo. Il mio cuore batte più forte, non per la paura, ma per un’anticipazione che mi fa seccare la bocca. Il modo in cui la corda rossa spicca contro il grigio dei suoi pantaloni è un’immagine incredibilmente erotica. Mi sento come se stessi guardando un rituale privato e sacro, e l’aria nella stanza si fa più densa, più difficile da respirare.)

Sciolgo il nodo e le sorrido, un sorriso tremante. “Ora proviamo insieme.”

Le insegno un nodo semplice, il primo che ho imparato. Guardo le sue dita, di solito così sicure e potenti, muoversi con una certa goffaggine attorno alla corda. La sua frustrazione è adorabile. Ridiamo, un suono cristallino che spezza la tensione reverenziale. La guido, le nostre mani che si intrecciano sulla corda, finché non riesce a creare un piccolo, imperfetto nodo sul mio polso. Poi io faccio lo stesso sul suo. È un gioco, un modo per rendere la corda un’amica, un’alleata, un’estensione di noi stesse.

Ma poi, il gioco finisce. Il mio sguardo si fa più serio. Sciolgo il nodo dal suo polso e lascio cadere la corda tra di noi. L’atmosfera cambia di nuovo, si carica di un’elettricità palpabile.

“Posso?” chiedo, e la mia domanda non si riferisce solo al gesto, ma a tutto ciò che esso implica. A tutto il nostro futuro.

Lei non risponde a parole. Semplicemente, mi offre il suo polso destro, il palmo rivolto verso l’alto, le dita leggermente ricurve. È un gesto di resa totale, di fiducia incondizionata.

Mi avvicino, scivolando sulle ginocchia finché non sono proprio di fronte a lei. Prendo la sua mano tra le mie. La sua pelle è calda, liscia. Con il pollice, le accarezzo delicatamente il polso, sentendo la sua vita pulsare contro il mio dito. Un ritmo accelerato, ma costante. Alzo gli occhi e incontro i suoi. Sono scuri, profondi, e dentro ci vedo un universo di fiducia che mi fa quasi male.

Prendo la corda. Il mondo esterno svanisce. Esistiamo solo io, lei, e questo filo rosso che sta per unirci. Il mio respiro si sincronizza con il suo. Inizio il legame. La corda scivola sulla sua pelle con un fruscio quasi impercettibile. Le mie dita si muovono con una precisione che non sapevo di possedere, frutto di ore di studio solitario. Doppio giro al polso. Un passaggio sotto, uno sopra. Un incrocio. La corda si tende, si assesta. Non sto solo facendo un nodo. Sto scrivendo una promessa sulla sua pelle. La tensione è perfetta: abbastanza stretta da essere sentita, da essere un promemoria costante, abbastanza lasca da non causare il minimo fastidio. Il nodo finale scatta in posizione con un piccolo, sordo click.

(Il suo tocco è così delicato, quasi esitante. Sento il mio polso battere forte sotto le sue dita, tradendo la mia eccitazione. E poi la corda. È calda, avvolgente. Non è una costrizione, non è una catena. È un abbraccio. Un bracciale fatto di fiducia. Il click finale del nodo che si assesta è come una serratura che scatta dolcemente nel profondo della mia anima, e una parte di me che non sapevo fosse tesa, una parte che ha sempre dovuto essere forte e al comando, finalmente si rilassa. Si arrende. Sono sua. In questo istante, sono completamente e irrevocabilmente sua.)

Non sciolgo il nodo. Lentamente, con una reverenza che mi sgorga dal profondo dell’anima, sollevo il suo polso legato e lo porto alle mie labbra. Bacio prima il nodo stesso, assaporando il sapore terroso della juta. Poi bacio la sua pelle, proprio accanto al bordo della corda, sentendo il suo sussulto. La mia lingua traccia il confine tra la pelle e la fibra, un gesto di pura adorazione.

Mi alzo, tirandola delicatamente per la mano libera. La guido fuori dallo studio, verso la camera da letto, dove la luce del tardo pomeriggio crea lunghe ombre dorate. La faccio sedere sul bordo del letto. Mi inginocchio di nuovo di fronte a lei. Le sfilo lentamente i pantaloni, poi la maglietta, baciando ogni centimetro di pelle che scopro. La ammiro, nuda, con quel singolo, potente dettaglio rosso al polso che sembra catalizzare tutta la luce della stanza.

Faccio l’amore con lei, ma è diverso da qualsiasi altra volta. È una cerimonia lenta, quasi meditativa. Inizio con un’adorazione a distanza, lasciando che il mio sguardo percorra il suo corpo per un tempo infinito. Poi la faccio sdraiare e inizio a baciarla, ma evito deliberatamente le zone più erogene. Le bacio le piante dei piedi, le caviglie, le ginocchia. Risalgo, baciandole lo stomaco, le costole, la curva delicata della sua clavicola. La sento fremere sotto la mia bocca, il suo corpo che si tende in un arco di pura anticipazione. Torno sempre lì, al suo polso legato. Lo tengo tra le mani mentre la bacio. Le lecco le dita di quella mano, una per una.

Quando sento che non ne può più, che il suo corpo è un fascio di nervi tesi pronti a spezzarsi, mi porto tra le sue gambe. Il suo sesso è bagnatissimo, un invito umido e pulsante. Inizio a leccarla con una lentezza quasi crudele. La mia lingua è un pennello, che dipinge cerchi lenti sulle sue labbra gonfie, prima di diventare più audace, più precisa, trovando il suo clitoride. Lei geme, un suono basso e profondo. La porto sull’orlo, sentendo i suoi fianchi iniziare a sollevarsi dal letto, poi mi ritiro, lasciandola ansimante. Lo faccio ancora, e ancora, giocando con il suo piacere, prendendo il controllo totale delle sue sensazioni. La sua mano libera si aggrappa disperatamente alle lenzuola, mentre quella legata si tende, un punto fermo nella tempesta del suo piacere.

“Ti prego, Fuuka…” piagnucola, e quella supplica è la musica più dolce che io abbia mai sentito.

Le do ciò che vuole. La mia bocca si fa più avida, la mia lingua più veloce, le mie dita che si aggiungono, aprendola, riempiendola. La porto all’orgasmo in un crescendo travolgente. È un’esplosione, un’onda che la scuote dalle fondamenta. Il suo corpo si inarca violentemente, la sua mano libera si aggrappa disperatamente alla mia, e il suo urlo è un misto di piacere, liberazione e resa.

Solo dopo, molto dopo, quando il suo respiro è tornato calmo e il suo corpo è un fascio di nervi rilassati, prendo le forbici di sicurezza dal comodino. Le mostro la lama fredda e lucente. “Sei pronta a tornare?” le sussurro. Lei annuisce. E con un singolo, pulito taglio, la libero. Il suono della corda che si spezza è l’unico suono nella stanza. Il filo rosso cade inerte sulle lenzuola. Sul suo polso, è rimasto un segno leggermente rosato, un “bacio di corda”. Mi chino e bacio delicatamente quel segno.

Ma entrambe sappiamo che il vero legame, quello invisibile, è appena stato stretto. E non si spezzerà mai.

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scritto il
2025-10-06
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