Le apparenze ingannano.

di
genere
corna


Non tutto è come sembra. Ciò che non può essere divulgato e resta gelosamente serbato nei segreti coniugali costituisce a volte uno di quei casi limite in cui l’equilibrio, spezzandosi, potrebbe degenerare in tragedia.
Il dottore osservò quel particolare ritratto di famiglia disporsi davanti a lui oltre la scrivania con compostezza molto borghese – qualità che non apparteneva alla maggioranza dei suoi assistiti. Una muraglia formata da madre e tre figlie in mezzo a cui stonava la nera figura dell’uomo, uccello di malaugurio dall’oscuro cipiglio e dalla riservatezza minacciosa. Non gli era ignoto che mai più avrebbe avuto l’onore di ricevere al completo i singolari ospiti piovuti da altri lidi per ordini superiori. Lui apparteneva all’élite. Lo conosceva di fama e intuiva il carattere di esclusività della sua specie. Assolveva puri doveri elettorali questa sua comparsata in mezzo al pubblico nell’affollata sala d’attesa per presentare sé stesso e, in subordine, le proprie grandi e piccole donne al nuovo medico di base. Operazione che in seguito non si sarebbe ripetuta, ottemperata in privato e a pagamento. Già l’espressione risentita con cui era entrato dopo aver condiviso il proprio spazio vitale in mezzo al popolino dichiarava a sufficienza quali fossero le rotte morali dell’ennesimo dispensatore di promesse impossibili. Si era chiuso la porta alle spalle e l’aveva fissata a lungo, come se temesse di vederla prendere vita in un film horror.
Il dottore si lasciò sfuggire una smorfia simile ad un sorriso e finse di computare sulla tastiera. Il quartiere di elezione non aveva subito ancora fino in fondo il processo di gentrificazione che si sarebbe concluso con l’espulsione in massa dei precedenti abitanti per trasformarlo in avvicinabile cittadella avulsa dal mondo. Forse, per allora, lo avrebbero trasferito, o chiesto lui di esserlo, o avrebbe raggiunto l’agognata pensione. Plebe infarcita di dialettismi e aristocrazia dal linguaggio a doppio senso si mescolavano ancora malgrado questi ultimi.
Formavano veramente un bel quadro, magari un po' finto. La donna ad aprire il corteo, le ragazze in ordine di altezza – e di età? chi poteva dirlo – lui defilato come se aspettasse il momento buono per scappare. Guardandole le figlie una ad una le aveva esaminate e non si era lasciato sfuggire il particolare. Aveva analizzato i loro connotati e un’espressione corrucciata gli si era dipinta sul volto.
La moglie era una figura quasi impalpabile, nervosa e minuta sebbene fosse slanciata come una scultura di Giacometti. Sarà pesata al limite dell’anoressia. Magrezza da stress. All’anagrafe risultava avere 44 anni, portati splendidamente. Indossava occhiali scuri che denotavano insicurezza ma anche, ora che la sua scienza gettava luce sul degrado reale della coppia, la necessità di nascondere i propri scheletri. Dopo aver fissato negli occhi le ragazze aveva chiesto gentilmente alla signora di levarseli. Per un attimo aveva temuto che gli scheletri fossero quelli di abusi fisici che lei camuffava dietro le lenti scure, ma la perplessità fu fugata dalla visione diretta di un paio di splendidi occhi verdi. Quelli del marito erano azzurro acqua, e ciò la rendeva di primo acchito una coppia un po' algida, anche se forse il giudizio doveva attendere di essere spinto oltre le apparenze.
In successione visitò le figlie. Anche la minore aveva abbandonato il pediatra per sopraggiunti limiti di età, e faceva la sua prima esperienza con il medico di base in un ambiente dove, dopo essere stata la più grande in un chiassoso contesto di pulcini o di bimbetti imbronciati, le parti si erano invertite e guardava gli altri pazienti dal basso, volgendo gli occhi altrove con timidezza e imbarazzo. Si trattava in realtà di una adolescente sopra la media, vivace ed educata.
“Ti sembra strano?” disse sbrigando alcune formalità.
Non sapendo chi fosse la destinataria della domanda spalancò gli occhi per la sorpresa. “Che cosa?”.
“Ehhh qui non è come prima, ci sono tanti nonni pieni di acciacchi ed anche tanti adulti che iniziano ad averli”. Mentre le parlava gettava l’occhio sulle cartelle sanitarie, sfogliando in modo distratto. “Veronica, giusto?”. La ragazza annuì. Ricambiava lo sguardo attraverso due splendidi occhi color cioccolato. Le chiese quale sport praticasse, trovò lodevole la perseveranza con cui vi si applicava alternandolo allo studio. “Il detto latino mens sana in corpore sano non è un modo di dire per riempire la bocca degli ignoranti” disse facendo l’occhiolino. La congedò.
“Vorrei soffermarmi sulla cartella clinica della signora, se non vi dispiace” comunicò agli adulti. Il marito non ebbe nulla da obiettare, e accompagnò le figlie, che già stavano iniziando a battibeccare, in strada alla ricerca di una gelateria. Il dottore fingeva di riordinare i fogli e le idee, mentre la donna prendeva posto davanti a lui, compunta. “Signora, ha qualcosa da comunicare in merito a sua figlia Veronica?” le chiese.
La donna sollevò perplessa il viso verso l’interlocutore, dopo averlo quasi nascosto tra le pieghe del corpo come fanno gli uccelli quando dormono. Ecco cosa sembrava: uno scricciolo smarrito. “Pensavo si trattasse di me”.
Annuì. “Si tratta di lei infatti”.
Poteva tranquillamente dichiararsi un uomo di mentalità aperta e libera, benché ormai fosse avviato sul viale del tramonto – aveva 63 anni. Era conscio che i progressi della scienza avevano sfatato e abbattuto dogmi ritenuti fino ad un momento prima incrollabili. E benché la moderna genetica deponesse a favore di una maggiore fluidità ereditaria dei caratteri, quelle poche volte in carriera in cui si era imbattuto in anomalie aveva constatato la sempre attuale veridicità della casistica mendeliana. “Lui lo sa?” domandò a bruciapelo, conscio dei rischi che correva. “E in caso negativo, quando pensa di dirglielo?”.
Una sola volta, la persona a cui aveva rivolto la medesima coppia di domande a raffica una dietro l’altra per focalizzare il dilemma, aveva reagito con cognizione di causa mostrando prove genetiche inconfutabili. Il medico era abbastanza in là con gli anni da possedere intatti preconcetti immutabili ed un tradizionalismo moralista e paternalistico che stonava con la sua fondamentale bonomia ed educazione scientifica. Ma in questo specifico caso aveva fatto centro, perché la mascella della donna si serrò con uno scatto doloroso, e gli occhiali tornarono a posarsi sul delicato nasino alla francese come una coppia di creature aliene. Era esterrefatta, con l’aria di chi sa di essere caduto in trappola ma non come.
“Non sto emettendo giudizi. Voglio soltanto informarmi sullo stato di salute della famiglia. E in questa famiglia in particolare ci sono tre figlie a cui è destinato il massimo grado di tutela”.
Dei quattro casi che aveva affrontato in carriera, questo prometteva di essere il più scabroso, sia per la peculiarità degli incarichi svolti dal marito sia per la posizione surrettiziamente subalterna e vittimistica della moglie nel contesto di coppia. Poiché il muro di silenzio eretto dalla donna sembrava destinato a perdurare, scelse una via traversa.
“Che titolo di studio ha conseguito?".
“Sono laureata in lettere antiche”.
“Bellissima laurea, meno prosaica di quella in cui mi sono cimentato”.
“Sono due cose diverse”. La frase, all’apparenza innocente e detta pour parler, si dimostrò di tutt'altro spessore intrisa com’era di improvviso astio.
“Desidero mostrarle una cosa” tagliò corto. “Conosce la prima legge di Mendel?”. Lei in risposta si limitò a scuotere la testa.
Suddivise in tre rettangoli più piccoli un foglio di carta, presi tre colori da un bicchiere ricolmo per chissà quale motivo di pennarelli riempì a larghe campiture i ritagli, li strappò ancora a metà.
“Esistono in natura colori forti e deboli. Questi sembrano esemplificare bene il concetto che voglio esporre. Abbiamo il marrone, il verde, l’azzurro”. Mise i riquadri tutti insieme alla rinfusa, poi sembrò divertirsi a giocare. “Diciamo in modo grossolano che il marrone è un colore scuro che copre sia il verde che l’azzurro, e lo stesso discorso vale tra verde e azzurro. Mi segue?”. La signora fece un cenno di assenso con la testa. Era corrucciata come un adulto in presenza di un bambino deficiente. Le sopracciglia aggrottate spuntavano sopra la montatura. “Per vedere l’azzurro, devo associarlo di nuovo con altro azzurro. Ma se abbino il verde all’azzurro, il risultato sarà il verde”. E mostrò come il riquadro verde andasse a coprire in modo arbitrario quello azzurro. “L’azzurro scompare anche con il marrone” e ripeté l’operazione. Sembrava il gioco delle tre carte. “Stessa cosa tra marrone e verde”.
Incredula, la donna mormorò: “Io non capisco a cosa serva tutto questo”.
“Ora le spiego”. Mise un verde e un azzurro insieme, l’altro azzurro da solo. Indicò prima il secondo elemento della serie, poi la coppia appaiata. “Questo è suo marito, questa è lei”.
“Prego?”.
“È molto semplice. La prima legge di Mendel ovvero la legge della dominanza afferma che il fenotipo emergente nella generazione successiva è stabilito dall’unione genotipica dei fattori ereditari dei genitori – ne avrà sentito parlare. Per avere gli occhi azzurri di vostra figlia maggiore ad uno degli alleli omologhi del padre si è congiunto quello per il carattere recessivo azzurro da parte della madre. Analogamente, per avere gli occhi verdi della seconda, l’allele verde della madre, dominante, ha oscurato nel fenotipo visibile quello azzurro del padre, che c’è ancora ma non si vede, è nascosto”. Qui sospese la tirata con una pausa ad effetto, in cui nella scenografia allestita sulla scrivania sopra i riquadri di verde e azzurro impilati insieme fece scivolare in modo teatrale i cartoncini marroni. “E questa è Veronica”.
In modo inaspettato la donna scoppiò a piangere. Interdetto, si mise sulla difensiva. “Signora, comprenda le mie difficoltà… di fronte all’acquisizione di nuovi dati nessun codice deontologico vieta la diffusione della notizia a tutela dei soggetti più fragili della famiglia” mentì. Ebbe immediato pentimento delle parole che si era lasciato sfuggire. La menzogna era così spudorata che si stupì di averla pronunciata. In altro frangente qualunque interlocutore avrebbe facilmente sbugiardato la sua asserzione. Ma per qualche oscuro motivo avvertiva il desiderio di costringerla a togliersi di nuovo lo schermo degli occhiali, per potersi fare ancora un bagno nei suoi occhi.
“Lui non sa” lo interruppe. Aveva estratto un fazzoletto dalla borsa e si andava ricomponendo con prodigiosa celerità, come se fosse abituata ad affrontare i momenti difficili legati a tale vicenda personale oppure facesse leva su inaspettate qualità dissimulatorie. Per quella donna il pianto era un’armatura, un luogo segreto, un’isola cui approdare. La stima nei suoi confronti crebbe nel dottore.
“Non c’è bisogno di parlarne se non se la sente”.
In realtà era curioso come una comare e si augurava di aver stuzzicato il bisogno segreto di ogni donna di confessare i propri peccati, soprattutto quelli più profondi e a cui si sono abbandonate con maggior forza.
Ma contrariamente a quanto si era aspettato, come presa da un raptus la paziente si alzò, aggirò la scrivania, spinse indietro la sedia del dottore, gli afferrò la mano e la costrinse a insinuarsi sotto la gonna, dove nuda e bagnata gli fece tastare la morbida polpa – di seta e di miele – della sua fica. Il dottore piombò nell'eccitazione più assoluta. Senza neppure rendersene conto era stato spogliato, i pantaloni raggruppati ai piedi, e il glande infilato a forza in quel dolce delizioso. Forse per la tenuità della diafana mano della donna, ebbe la sensazione di un’erezione vigorosa come da anni non gli capitava di sperimentare. Davanti al suo naso si sbottonò la camicia, e due piccoli, eburnei, sfrontati seni lo abbracciarono togliendogli il fiato. I capezzoli turgidi erano lunghi come la parte di stecca con cui si impugna un gelato e lui vi appese la bocca per succhiare. La fica della donna era muscolare, incredibilmente stretta, e dopo avergli strappato un ansito al primo affondo lo inebriò con colpi sempre più veloci, sempre più feroci, mantenendo con sapienza la tensione in modo da non offrire tregua al proprio partner. Le abbrancò le natiche con l’esile speranza di fare il maschio nell’amplesso oppure riuscire a rallentare quel ritmo forsennato che gli stava spremendo gli occhi fuori dalle orbite. Il terrore che qualcuno entrasse all’improvviso non sminuì la focosità che la sconosciuta aveva acceso dentro di lui.
Alzò lo sguardo per fissare il volto trasfigurato della donna: anche lei lo fissava danzando in preda alle convulsioni da occhi profondi come pozzi dove il verde era screziato di nero come in un notturno specchio d’acqua alpino. Lo soggiogò fino all’apice parossistico dell’orgasmo. Il dottore, sfinito, affondando la faccia nel petto di lei, sentì l’eiaculazione spruzzare con forza antica dentro le cavità germoglianti e rigogliose della donna il suo seme. A quel richiamo anche lei rispose: le contrazioni erano così forti da minacciare di spezzare il filo sempre più esile che aveva unito i due amanti di un momento.
Respirava a fatica, il cuore ingrossato. La voce di lei gli pervenne come dall’uscita illuminata di una profondissima grotta. “Lui non sa” mormorò. L’espressione era sempre glaciale, scolpita nel marmo di una statua. E quegli occhi non cessavano di attirarlo verso il loro infinito abisso. “Lui non sa, ma ama Veronica di un amore viscerale, più alto di quello che nutre per le sue vere figlie. Ed io voglio proteggerla da qualunque incidente che potrebbe mettere a repentaglio il loro affetto speciale. Sono disposta a tutto. Anche a pagare il suo silenzio con le mie doti, spero che capisca”.
Capiva tutto, e pregustando il prossimo rendez-vous la saliva gli invadeva il palato. Lei lo scavalcò, si pulì lo sperma dalle cosce con le dita e le portò alle labbra.
“A tutto” ripeté con tono quasi di minaccia, uscendo dalla porta. Dovette reprimere l’istinto sessuale che lo stava ricaricando.
Come avrebbe fatto a visitare un altro assistito? Una vecchina grinzosa, magari, a cui fare da chioccia e da oss, ad ascoltare una lunga teoria di lamentele e a prescrivere inutili farmaci che avrebbero solo dilazionato l’inevitabile.
Non riuscì più a togliersi dalla testa la splendida ninfa che aveva visitato la sua triste realtà. Per quella donna il sesso era un’arma, una prigione in cui gettare le sue vittime, un’isola dove consumare i propri crimini. Si chiese di sfuggita quante volte avesse fatto ricorso alle sue… doti, come le chiamava. Scosse la testa. Chissà cosa c’era di vero, in quanto aveva raccontato. chissà se quelle figlie erano veramente del marito. Gli occhi chiari non erano appannaggio di pochi eletti.
Alzandosi per chiamare il prossimo si soffermò davanti allo specchio. Non ricordava il colore dei propri: erano così scuri da sembrare neri. Molto dominanti.
Deglutì a vuoto.
scritto il
2025-08-03
2 . 8 K
visite
2 1
voti
valutazione
7
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Letture pericolose.

racconto sucessivo

Lo sconto
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.