Buon Natale
di
Ripe (with decay)
genere
sentimentali
Un'inezia può rovinare tutto.
È un po' come una virgola messa nel punto sbagliato, e si scatena la terza guerra mondiale. Oppure il messaggio distorto di Ned Flanders che Homer intende male e quindi preme il pulsante che non doveva assolutamente toccare, facendo deflagrare il nocciolo della centrale nucleare. Cose così, insomma.
Non voglio fare il tragico, ma quando le inezie si inseriscono nel curriculum vitae di una coppia gli effetti nonostante le risibili premesse di partenza possono prendere pieghe devastanti.
Al pranzo di Natale coi colleghi io c'ero andato già ubriaco.
Cioè, non è vero che ero ubriaco. Lo sarei diventato per libera ed autonoma scelta.
A mia discolpa affermerò che non pensavo che col passare degli anni la mia tolleranza all'alcol diminuisse così tanto da non rendermi conto di aver oltrepassato la soglia tanto presto.
Parlando di casini personali e familiari era saltato fuori che peggio messo di me non c'era nessuno. Io solo attraversavo una crisi senza soluzioni, io solo – così mi permisi di confessare quasi con orgoglio – non avevo rapporti sessuali con mia moglie da sei mesi.
Come se gli avessi tolto la sedia da sotto il culo, questa fu la loro reazione. Vidi nei loro occhi commiserazione, incredulità, pietismo. Mentre pesci crostacei e molluschi venivano divorati a palate e le portate non offrivano alcuna resistenza alla nostra fame, il vino scorreva. Vermentino dei colli di Luni. Molto fruttato. Personalmente prediligo quello sardo, più duro e sapido – come le marezzate di maestrale.
Ero a piedi. Eravamo quasi tutti a piedi. Uno, l'astemio, si era offerto di fare da taxi, ma io e un compare decidemmo di tornare a casa coi mezzi, e di tanto in tanto adocchiare qualche tana dove fare tappa. “A che ora torni?”, aveva chiesto mia moglie. “Tre e mezza più o meno”. Più o meno! Erano quasi le otto. Riuscii con egregio sforzo di volontà ad infilare la chiave nella toppa al primo colpo.
Come tutti gli ubriachi quei pensieri che mi ronzavano in testa e ritenevo lucidissimi non erano altro che un'accozzaglia di cazzate. Mi precipitai verso di lei con lo scopo di baciarla e professarle eterno amore – era vero – ma l'effetto che suscitai non fu proprio quello sperato. Nessuno come un ubriaco sente intimamente la profondità insanabile di un torto che non ha subito.
Piombammo entrambi nella punizione del silenzio. L'avrete sperimentata: invece di chiarirvi subito, fate in modo che la pietra rotolando provochi una valanga. Ma in queste condizioni la valanga è silenziosa, e quindi nessuno se ne accorge.
Il 23 venne a casa mia nipote e a sera coi ragazzi uscirono per unirsi a un gruppo di amici. “Parliamo un po'?”, colse subito la palla al balzo mia moglie. “Parliamo”, l'apostrofai, sul piede di guerra.
Son venute fuori un mucchio di cose.
La mia ferma intenzione di non continuare una relazione basata sulla freddezza, sulla repulsione, sul rifiuto, ad esempio. Anche mia moglie dava sfogo a vecchie ruggini: la pornografia, il timore del tradimento e della scappatoia offerta dalla prostituzione. Due dischi che ogni tanto rispolveriamo dagli scaffali e mettiamo su contemporaneamente, per scoprire quale suonerà più forte.
“Lo vedo nei tuoi occhi il disprezzo, il modo in cui mantieni le distanze. E non dire che non riesci ad immaginare il tuo futuro senza di me”, mi accanii. C'è sempre un retrogusto inebriante nel ferire chi si ama. “Allora dimmelo, hai qualcun altro?”
“Ma cosa stai dicendo?”
Eravamo ancora nel bel mezzo del menù, ma io le misi sotto il naso il dessert che avevo tenuto in serbo con esperienza di maître. “E allora spiegami, com'è che non facciamo l'amore da sei mesi?”.
Sì, lo so. In casi come questi la sala è composta da un pubblico eterogeneo ma perfettamente suddivisa: da un lato gli uomini applaudono l'affondo, perché il sesso è tutto; dall'altro le donne fischiano, perché il sesso non è tutto. Non c'è sesso senza amore, direbbero loro; ma non c'è amore senza sesso, ribatterebbero gli altri. A meno di non avere novant'anni, aggiungo io.
“Non è vero”, rispose con semplicità, usando quel genere di tono di chi inizia a metterti sotto il naso un'ovvietà. E fin da subito mi assalirono i dubbi, anche se ovviamente non lo ammisi.
“Come no! L'ultima volta è stato prima di andare in ferie, e in Sardegna non lo abbiamo mai fatto”.
“Ma non è vero”, insisteva lei. “L'ultima è stata quando siamo tornati dal ristorante. Un sabato. I ragazzi non c'erano”.
Deglutii. Non stava sparando a caso confidando nella mia proverbiale mancanza di memoria. “*** era via... A Dublino, con la scuola!”
“E *** fuori con gli scout”.
Era vero. Tutto vero.
L'ultima volta l'avevamo fatto tre mei prima, a fine settembre primi di ottobre.
D'accordo. Per noi maschi dall'orgoglio virile ferito il tempo nella sessualità diventa relativo: se già tre mesi sono già tanti (troppi), sei assumono valori esponenziali tendenti a infinito. Mi accartocciai come se mi avessero dato una passata al flambé.
Il litigio si trasformò pian piano in conversazione. All'una meno cinque mi sussurrò “Fatti la barba”. L'avevo incolta, sintomo di quel lasciarsi andare negli uomini che si sentono abbandonati. Lo sappiamo tutti che le donne preferiscono baciare il proprio compagno rasato di fresco. All'una ritornarono figli e nipote. Ma porco zio!
Vi chiederete: e avete rinunciato per così poco?
No, l'abbiamo fatto. Ma, vedete, non è così semplice. Le porte in casa le ho fatte fare da un falegname e non hanno blocchi. Tutti i nostri rapporti sessuali sono stati consumati a porte aperte. E noi due se stiamo facendo l'amore siamo perfettamente inquadrati dal corridoio come uno schermo. Se la chiudessimo sembrerebbe una proibizione, e non ci vuole molto a dedurre quale stimolo rappresenti. Quante volte mia moglie ha dovuto zompare via da me quando mi cavalcava perché qualcuno dei due smetteva di videogiocare e usciva dalla cameretta, quante posizioni ad effetto illusionistico per camuffare le coccole spinte! E stavolta c'era pure il nipote...
Sono andati a letto, le luci si sono spente.
Nuda, vaga forma dalla pelle di seta nel buio, si è messa sopra di me, ha iniziato a muoversi. Quanta attesa! Mia dea, mia tutto, che mi rendeva di nuovo felice!
Ma se devo ammetterlo, il momento che più mi ha sciolto il cuore, che più di ogni altro mi ha fatto sentire di nuovo al suo fianco, è stato quando mi ha abbracciato e con la vocina dolce e infantile che solo le donne sanno sfoderare ha chiesto “Basta litigare”.
Sì amore mio, basta litigare. Sicuramente è una promessa al vento, litigheremo di nuovo, e poi dopo il litigio faremo l'amore, e torneremo a prometterci ciò che non si può mantenere.
Ma per adesso, anche se non puoi leggerlo: ti amo.
È un po' come una virgola messa nel punto sbagliato, e si scatena la terza guerra mondiale. Oppure il messaggio distorto di Ned Flanders che Homer intende male e quindi preme il pulsante che non doveva assolutamente toccare, facendo deflagrare il nocciolo della centrale nucleare. Cose così, insomma.
Non voglio fare il tragico, ma quando le inezie si inseriscono nel curriculum vitae di una coppia gli effetti nonostante le risibili premesse di partenza possono prendere pieghe devastanti.
Al pranzo di Natale coi colleghi io c'ero andato già ubriaco.
Cioè, non è vero che ero ubriaco. Lo sarei diventato per libera ed autonoma scelta.
A mia discolpa affermerò che non pensavo che col passare degli anni la mia tolleranza all'alcol diminuisse così tanto da non rendermi conto di aver oltrepassato la soglia tanto presto.
Parlando di casini personali e familiari era saltato fuori che peggio messo di me non c'era nessuno. Io solo attraversavo una crisi senza soluzioni, io solo – così mi permisi di confessare quasi con orgoglio – non avevo rapporti sessuali con mia moglie da sei mesi.
Come se gli avessi tolto la sedia da sotto il culo, questa fu la loro reazione. Vidi nei loro occhi commiserazione, incredulità, pietismo. Mentre pesci crostacei e molluschi venivano divorati a palate e le portate non offrivano alcuna resistenza alla nostra fame, il vino scorreva. Vermentino dei colli di Luni. Molto fruttato. Personalmente prediligo quello sardo, più duro e sapido – come le marezzate di maestrale.
Ero a piedi. Eravamo quasi tutti a piedi. Uno, l'astemio, si era offerto di fare da taxi, ma io e un compare decidemmo di tornare a casa coi mezzi, e di tanto in tanto adocchiare qualche tana dove fare tappa. “A che ora torni?”, aveva chiesto mia moglie. “Tre e mezza più o meno”. Più o meno! Erano quasi le otto. Riuscii con egregio sforzo di volontà ad infilare la chiave nella toppa al primo colpo.
Come tutti gli ubriachi quei pensieri che mi ronzavano in testa e ritenevo lucidissimi non erano altro che un'accozzaglia di cazzate. Mi precipitai verso di lei con lo scopo di baciarla e professarle eterno amore – era vero – ma l'effetto che suscitai non fu proprio quello sperato. Nessuno come un ubriaco sente intimamente la profondità insanabile di un torto che non ha subito.
Piombammo entrambi nella punizione del silenzio. L'avrete sperimentata: invece di chiarirvi subito, fate in modo che la pietra rotolando provochi una valanga. Ma in queste condizioni la valanga è silenziosa, e quindi nessuno se ne accorge.
Il 23 venne a casa mia nipote e a sera coi ragazzi uscirono per unirsi a un gruppo di amici. “Parliamo un po'?”, colse subito la palla al balzo mia moglie. “Parliamo”, l'apostrofai, sul piede di guerra.
Son venute fuori un mucchio di cose.
La mia ferma intenzione di non continuare una relazione basata sulla freddezza, sulla repulsione, sul rifiuto, ad esempio. Anche mia moglie dava sfogo a vecchie ruggini: la pornografia, il timore del tradimento e della scappatoia offerta dalla prostituzione. Due dischi che ogni tanto rispolveriamo dagli scaffali e mettiamo su contemporaneamente, per scoprire quale suonerà più forte.
“Lo vedo nei tuoi occhi il disprezzo, il modo in cui mantieni le distanze. E non dire che non riesci ad immaginare il tuo futuro senza di me”, mi accanii. C'è sempre un retrogusto inebriante nel ferire chi si ama. “Allora dimmelo, hai qualcun altro?”
“Ma cosa stai dicendo?”
Eravamo ancora nel bel mezzo del menù, ma io le misi sotto il naso il dessert che avevo tenuto in serbo con esperienza di maître. “E allora spiegami, com'è che non facciamo l'amore da sei mesi?”.
Sì, lo so. In casi come questi la sala è composta da un pubblico eterogeneo ma perfettamente suddivisa: da un lato gli uomini applaudono l'affondo, perché il sesso è tutto; dall'altro le donne fischiano, perché il sesso non è tutto. Non c'è sesso senza amore, direbbero loro; ma non c'è amore senza sesso, ribatterebbero gli altri. A meno di non avere novant'anni, aggiungo io.
“Non è vero”, rispose con semplicità, usando quel genere di tono di chi inizia a metterti sotto il naso un'ovvietà. E fin da subito mi assalirono i dubbi, anche se ovviamente non lo ammisi.
“Come no! L'ultima volta è stato prima di andare in ferie, e in Sardegna non lo abbiamo mai fatto”.
“Ma non è vero”, insisteva lei. “L'ultima è stata quando siamo tornati dal ristorante. Un sabato. I ragazzi non c'erano”.
Deglutii. Non stava sparando a caso confidando nella mia proverbiale mancanza di memoria. “*** era via... A Dublino, con la scuola!”
“E *** fuori con gli scout”.
Era vero. Tutto vero.
L'ultima volta l'avevamo fatto tre mei prima, a fine settembre primi di ottobre.
D'accordo. Per noi maschi dall'orgoglio virile ferito il tempo nella sessualità diventa relativo: se già tre mesi sono già tanti (troppi), sei assumono valori esponenziali tendenti a infinito. Mi accartocciai come se mi avessero dato una passata al flambé.
Il litigio si trasformò pian piano in conversazione. All'una meno cinque mi sussurrò “Fatti la barba”. L'avevo incolta, sintomo di quel lasciarsi andare negli uomini che si sentono abbandonati. Lo sappiamo tutti che le donne preferiscono baciare il proprio compagno rasato di fresco. All'una ritornarono figli e nipote. Ma porco zio!
Vi chiederete: e avete rinunciato per così poco?
No, l'abbiamo fatto. Ma, vedete, non è così semplice. Le porte in casa le ho fatte fare da un falegname e non hanno blocchi. Tutti i nostri rapporti sessuali sono stati consumati a porte aperte. E noi due se stiamo facendo l'amore siamo perfettamente inquadrati dal corridoio come uno schermo. Se la chiudessimo sembrerebbe una proibizione, e non ci vuole molto a dedurre quale stimolo rappresenti. Quante volte mia moglie ha dovuto zompare via da me quando mi cavalcava perché qualcuno dei due smetteva di videogiocare e usciva dalla cameretta, quante posizioni ad effetto illusionistico per camuffare le coccole spinte! E stavolta c'era pure il nipote...
Sono andati a letto, le luci si sono spente.
Nuda, vaga forma dalla pelle di seta nel buio, si è messa sopra di me, ha iniziato a muoversi. Quanta attesa! Mia dea, mia tutto, che mi rendeva di nuovo felice!
Ma se devo ammetterlo, il momento che più mi ha sciolto il cuore, che più di ogni altro mi ha fatto sentire di nuovo al suo fianco, è stato quando mi ha abbracciato e con la vocina dolce e infantile che solo le donne sanno sfoderare ha chiesto “Basta litigare”.
Sì amore mio, basta litigare. Sicuramente è una promessa al vento, litigheremo di nuovo, e poi dopo il litigio faremo l'amore, e torneremo a prometterci ciò che non si può mantenere.
Ma per adesso, anche se non puoi leggerlo: ti amo.
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