Ti vengo a prendere, amore

di
genere
tradimenti

Mi infilai in un parcheggio che si era appena liberato. Lui mi aveva scritto che non c'era bisogno di andarlo a prendere a Malpensa. Avrebbe preso un treno. Il portico semicircolare della stazione era bagnato dalla luce, e altri che aspettavano ingannavano l'attesa prendendo un caffè, facendo quattro passi. Non ero l'unica. Scorsi le divise della polizia. Una colonna gigantesca del portico mi nascondeva alla vista. Mi acquattai contro il sedile.
Non sono una pilota e non ho voglia di guidare di notte in autostrada. Avevo accettato il compromesso solo perché il mio ragazzo lo sapeva ed era più contento così anche lui. Era da due mesi che il lavoro me lo aveva portato via all'altro capo del mondo e non vedevo l'ora di riabbracciarlo.
Veramente non avevo solo voglia di abbracciarlo: avevo voglia di mettergli i capezzoli tra i denti mentre lo scopavo selvaggiamente. Pensai al suo cazzo duro e a come adorava i miei pompini e sentii che iniziavo a bagnarmi.
Volevo che fosse una sorpresa, ma sapevo che me ne sarei servita prima di incontrarlo: sotto i jeans ero nuda. Li sbottonai, li calai un poco giù ed iniziai con lenta armonia ad accarezzarmi la fica. Già la sentivo pulsare. Due mesi...
Sentii che bussavano al vetro. Mi prese un colpo – la polizia! Guardai, con mille scuse che si affollavano. Non era un agente. Non capii chi fosse. Ma da come era vestito e conciato non ci volle molto: un barbone. Bussò di nuovo. “Li hai due spicci?” Negai con la testa, ma lui si appiccicò al finestrino. Il fascio di luce di un lampione si fermava proprio sopra le mie cosce bianche. Avevo ancora la mano ferma là in mezzo. “Ehi, che meraviglia, bellezza!”, si complimentò. Poi andò via. Tirai un sospiro di sollievo e decisi di chiudere la faccenda, rivestendomi in tutta fretta.
Lo scatto della portiera del passeggero. Non avevo messo il blocco! Il barbone salì con tutta tranquillità, come se avessi atteso lui. “Se ne vada o chiamo aiuto” mormorai.
“Non ti preoccupare bellezza”. Aveva la faccia sporca e la barba incolta, e puzzava. “Sono io qui per aiutarti”. E così dicendo scostò le mie mani dagli occhielli dei jeans e me li tirò giù fino alle caviglie, poi mi aprì le gambe e prese a masturbarmi. Ero paralizzata dal terrore. Avrei potuto ancora gridare ma non avevo la forza di aprire la bocca. Sentivo soltanto che quelle dita sporche, infette, rudi, mi stavano facendo godere da impazzire. Non erano come quelle del mio ragazzo, e ci sapevano fare... era come essere chiavata.
Anche lui non so come si era mezzo svestito e si stava masturbando: aveva un coso enorme, enorme, come non ne avevo mai visti. Gli allontanai la mano e tenni la mia ferma sul corpo di quel cazzo incredibile. Raggiunsi l'orgasmo, poi mi chinai su di lui e gli feci un pompino. Sono bravissima a farli. Anche quel cazzo gigantesco era sporco e puzzava e faceva venir voglia di vomitare, ma non potevo smettere. Lo feci venire dentro la mia bocca e ingoiai tutto. Sembrava non dovesse mai finire di sborrare, stavo soffocando, ma non volevo perdere nemmeno una goccia.
Lo sconosciuto mi inviò un bacio e se ne andò per sempre. La stazione era la sua casa.
“Ehi, baby!”, mi disse quando arrivò il mio ragazzo mentre buttavamo le valigie nel bagagliaio. Entrammo in auto. Vidi la smorfia della sua faccia. “Bisogna dare una lavata a 'sta macchina”. Poi finalmente ci baciammo, mi infilò la lingua in bocca, si scostò perplesso. “Per fortuna sono tornato”.
“Perché, amore?”
“Perché preparo di nuovo io da mangiare”. Sì, lui era bravo in cucina. “Mi sa che in questi due mesi hai mangiato spazzatura”.
scritto il
2025-12-22
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