La pianista (parte 7)
di
Kugher
genere
sadomaso
Gabriel aveva tolto la mano dalla coscia della schiava solo al momento in cui dovette pagare il taxi.
La villetta che costituiva la meta del loro viaggio erotico, era abbastanza vicino.
Gli sguardi di coloro che incontrarono nell’avvicinamento, erano in parte fintamente indifferenti, ed in parte esprimevano la sorpresa eccitazione nell’ammirare ciò che non era possibile nascondere (e non voleva essere nascosto).
A Sophie sembrò di essere entrata in un mondo del quale lei era ai margini, come se nel rapporto tra il Padrone e gli ospiti fosse un accessorio, dimenticando di essere l’oggetto al centro della serata.
Le alte siepi della villetta appena fuori città cancellarono il traffico, l’asfalto, le luci, tutte cose, peraltro, che aveva avvertito in maniera soffusa e confusa durante il viaggio in taxi, presa dal vortice delle sensazioni e da quella mano vicinissima all’inguine che le ricordava ad ogni sobbalzo della vettura che lei era solo uno strumento, strappata dalle luci del palcoscenico e degli applausi, per essere sempre al centro dell’attenzione, come una attrice alla quale era preclusa la determinazione dello svolgimento della scena.
Il vialetto in pietra era circondato da un prato verdissimo, illuminato dalle lampade che dal terreno proiettavano la luce verso l’alta siepe.
Vide un gazebo sotto il quale c’era un dondolo, un tavolo e sedie da giardino. Notò anche una catena legata ad un anello nel pilastro che reggeva la copertura, la cui estremità era lasciata a terra, come se mancasse il cane cui era destinata. La cosa non la convinceva in quanto non comprendeva la necessità di legare un cane ad una catena in un giardino nel quale non vi erano sbocchi verso l’esterno.
“Lascia qui la camicetta”.
L’attimo di esitazione fu corretto da una tirata al guinzaglio attaccato al plug che aveva in figa.
Il sesso ebbe però subito un sussulto in quanto l’ordine andò ad alimentare le sue esigenze di esibizione, anche se dedicata ad un pubblico ristretto, come se la mercanzia dovesse essere bene esposta, in contrasto evidente con i vestiti eleganti del Padrone e di coloro che uscirono dalla porta sopra la quale si era accesa da poco una luce.
La giovane schiava che, carponi, seguiva i Padroni della casa e suoi per le prossime ore, le svelò l’arcano della catena sotto il gazebo.
Lo sguardo le si soffermò su quella giovane donna dai capelli rossi, tenuta al guinzaglio dall’amica del Padrone.
La cagna fu per lei uno specchio nel quale si proiettò. Vivere una esperienza non consente di vedersi dall’esterno e il cambio di prospettiva rivela sempre nuovi approcci e sensazioni.
Non c’era differenza tra lei in piedi, tenuta al guinzaglio alla figa, vestita solo di autoreggenti e scarpe nere tacco 12, e quella tipa il cui nome le sarebbe rimasto sconosciuto perché non importante, a 4 zampe e tenuta al guinzaglio attaccato ad uno spesso collare in pelle da cani.
La cagna aveva la bocca tenuta aperta da un O-ring, oggetto che aveva sempre e solo visto in foto e del quale conosceva perfettamente l’uso.
Ai capezzoli aveva attaccati altrettanti morsetti tenuti uniti da una catenella. Pur ignorando la tensione dei morsetti, immaginava il dolore costante che quella schiava doveva avere, in uno con il fastidio alle ginocchia ed alla bocca.
Quella schiava era lei e lei era altrettanto per quella schiava. Due immagini allo specchio che, seppur differenti nelle funzioni e negli addobbi, erano identiche.
Cercò di assumere una postura più eretta ed elegante, quasi a volersi inutilmente differenziare da quella ragazza a 4 zampe della quale sentiva forse la competizione del perfetto oggetto erotico. Guardandola negli occhi, si rese conto dell’inutilità del gesto perché identica era l’espressione negli occhi tipica di colei che è nel posto giusto.
La visione della donna allo specchio l’aveva distratta dall’osservazione della coppia amica del Padrone. Fece in tempo a vedere due persone avanti nell’età e nel peso corporeo, prima che il Padrone le facesse fare una piroetta su sé stessa al fine di esibire la merce che li avrebbe fatti divertire, l’ulteriore oggetto della serata.
Terminata la rotazione su sé stessa, durante la quale aveva spinto in fuori i seni nudi e, poi, il culo del quale andava fiera e sul quale aveva lavorato lungamente e duramente in palestra, fece appena in tempo a vedere i segni di frusta sulla schiena bianca della cagna.
“In ginocchio”.
La confusione nella testa e nell’anima, lo sconvolgimento dello stomaco che aveva trovato pausa per poco tempo durante il viaggio in taxi, per essere subito risvegliato quando si accorse che l’autovettura si stava fermando, la rese poco reattiva.
Si sentì presa per i capelli tirati verso il basso, senza nemmeno essersi accorta che il Padrone aveva alzato il braccio per prenderli.
La testa era china a livello del pube degli ospiti. Ebbe modo solo di vedere un fugace scambio di un oggetto tra i due uomini. Capì che si trattava del frustino tenuto in mano dal Padrone di casa, solo quando venne colpita sulla natica.
“Mi aspetto ubbidienza”.
“Sì”
Non la stupì sentirsi pronunciare quelle parole che lei riconosceva nella situazione scelta.
Fu ubbidiente, questa volta, quando eseguì subito l’ordine di chinarsi e baciare i piedi di quella coppia.
Venne trattenuta a terra dal piede del Padrone premuto sulla testa quando cercò di alzarsi dopo il saluto impostole.
Gabriel anticipò, aspettandoselo, il movimento della schiava che stava per alzare la fronte da terra dopo avere baciato i piedi di Marcel e Elen.
Doveva sentire e non vedere, anzi, doveva vedere sé stessa immaginandosi nella posizione che le aveva imposto.
L’uomo non prestò particolare attenzione a Michelle, la schiava della coppia amica che sul collare portava, marchiato a fuoco, l’anno dal quale apparteneva loro.
La conosceva ormai molto bene, così come aveva imparato da tempo ad apprezzare l’O-ring che le lasciava aperta la bocca, pronta ad accogliere il cazzo.
La villetta che costituiva la meta del loro viaggio erotico, era abbastanza vicino.
Gli sguardi di coloro che incontrarono nell’avvicinamento, erano in parte fintamente indifferenti, ed in parte esprimevano la sorpresa eccitazione nell’ammirare ciò che non era possibile nascondere (e non voleva essere nascosto).
A Sophie sembrò di essere entrata in un mondo del quale lei era ai margini, come se nel rapporto tra il Padrone e gli ospiti fosse un accessorio, dimenticando di essere l’oggetto al centro della serata.
Le alte siepi della villetta appena fuori città cancellarono il traffico, l’asfalto, le luci, tutte cose, peraltro, che aveva avvertito in maniera soffusa e confusa durante il viaggio in taxi, presa dal vortice delle sensazioni e da quella mano vicinissima all’inguine che le ricordava ad ogni sobbalzo della vettura che lei era solo uno strumento, strappata dalle luci del palcoscenico e degli applausi, per essere sempre al centro dell’attenzione, come una attrice alla quale era preclusa la determinazione dello svolgimento della scena.
Il vialetto in pietra era circondato da un prato verdissimo, illuminato dalle lampade che dal terreno proiettavano la luce verso l’alta siepe.
Vide un gazebo sotto il quale c’era un dondolo, un tavolo e sedie da giardino. Notò anche una catena legata ad un anello nel pilastro che reggeva la copertura, la cui estremità era lasciata a terra, come se mancasse il cane cui era destinata. La cosa non la convinceva in quanto non comprendeva la necessità di legare un cane ad una catena in un giardino nel quale non vi erano sbocchi verso l’esterno.
“Lascia qui la camicetta”.
L’attimo di esitazione fu corretto da una tirata al guinzaglio attaccato al plug che aveva in figa.
Il sesso ebbe però subito un sussulto in quanto l’ordine andò ad alimentare le sue esigenze di esibizione, anche se dedicata ad un pubblico ristretto, come se la mercanzia dovesse essere bene esposta, in contrasto evidente con i vestiti eleganti del Padrone e di coloro che uscirono dalla porta sopra la quale si era accesa da poco una luce.
La giovane schiava che, carponi, seguiva i Padroni della casa e suoi per le prossime ore, le svelò l’arcano della catena sotto il gazebo.
Lo sguardo le si soffermò su quella giovane donna dai capelli rossi, tenuta al guinzaglio dall’amica del Padrone.
La cagna fu per lei uno specchio nel quale si proiettò. Vivere una esperienza non consente di vedersi dall’esterno e il cambio di prospettiva rivela sempre nuovi approcci e sensazioni.
Non c’era differenza tra lei in piedi, tenuta al guinzaglio alla figa, vestita solo di autoreggenti e scarpe nere tacco 12, e quella tipa il cui nome le sarebbe rimasto sconosciuto perché non importante, a 4 zampe e tenuta al guinzaglio attaccato ad uno spesso collare in pelle da cani.
La cagna aveva la bocca tenuta aperta da un O-ring, oggetto che aveva sempre e solo visto in foto e del quale conosceva perfettamente l’uso.
Ai capezzoli aveva attaccati altrettanti morsetti tenuti uniti da una catenella. Pur ignorando la tensione dei morsetti, immaginava il dolore costante che quella schiava doveva avere, in uno con il fastidio alle ginocchia ed alla bocca.
Quella schiava era lei e lei era altrettanto per quella schiava. Due immagini allo specchio che, seppur differenti nelle funzioni e negli addobbi, erano identiche.
Cercò di assumere una postura più eretta ed elegante, quasi a volersi inutilmente differenziare da quella ragazza a 4 zampe della quale sentiva forse la competizione del perfetto oggetto erotico. Guardandola negli occhi, si rese conto dell’inutilità del gesto perché identica era l’espressione negli occhi tipica di colei che è nel posto giusto.
La visione della donna allo specchio l’aveva distratta dall’osservazione della coppia amica del Padrone. Fece in tempo a vedere due persone avanti nell’età e nel peso corporeo, prima che il Padrone le facesse fare una piroetta su sé stessa al fine di esibire la merce che li avrebbe fatti divertire, l’ulteriore oggetto della serata.
Terminata la rotazione su sé stessa, durante la quale aveva spinto in fuori i seni nudi e, poi, il culo del quale andava fiera e sul quale aveva lavorato lungamente e duramente in palestra, fece appena in tempo a vedere i segni di frusta sulla schiena bianca della cagna.
“In ginocchio”.
La confusione nella testa e nell’anima, lo sconvolgimento dello stomaco che aveva trovato pausa per poco tempo durante il viaggio in taxi, per essere subito risvegliato quando si accorse che l’autovettura si stava fermando, la rese poco reattiva.
Si sentì presa per i capelli tirati verso il basso, senza nemmeno essersi accorta che il Padrone aveva alzato il braccio per prenderli.
La testa era china a livello del pube degli ospiti. Ebbe modo solo di vedere un fugace scambio di un oggetto tra i due uomini. Capì che si trattava del frustino tenuto in mano dal Padrone di casa, solo quando venne colpita sulla natica.
“Mi aspetto ubbidienza”.
“Sì”
Non la stupì sentirsi pronunciare quelle parole che lei riconosceva nella situazione scelta.
Fu ubbidiente, questa volta, quando eseguì subito l’ordine di chinarsi e baciare i piedi di quella coppia.
Venne trattenuta a terra dal piede del Padrone premuto sulla testa quando cercò di alzarsi dopo il saluto impostole.
Gabriel anticipò, aspettandoselo, il movimento della schiava che stava per alzare la fronte da terra dopo avere baciato i piedi di Marcel e Elen.
Doveva sentire e non vedere, anzi, doveva vedere sé stessa immaginandosi nella posizione che le aveva imposto.
L’uomo non prestò particolare attenzione a Michelle, la schiava della coppia amica che sul collare portava, marchiato a fuoco, l’anno dal quale apparteneva loro.
La conosceva ormai molto bene, così come aveva imparato da tempo ad apprezzare l’O-ring che le lasciava aperta la bocca, pronta ad accogliere il cazzo.
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