I militari
di
Petulka
genere
orge
Petra avanzava a passi felpati tra i resti di un vecchio bunker militare, la luce del tramonto che filtrava attraverso le crepe del cemento armato. Le sue amiche erano rimaste indietro, troppo distratte a scattare selfie per accorgersi che si era persa. Le pareti erano ricoperte di graffiti, l’aria sapeva di ruggine e umidità. Era lì che si era spinta, incuriosita da un cancello arrugginito socchiuso come un invito osceno. Non aveva letto i cartelli con la scritta “Zona Militare – Vietato l’Accesso”.
Un rumore di stivali sul ghiaietto la fece voltare di scatto. Erano in cinque, tutti in mimetica, visi duri, occhi predatori. Il sergente, un uomo tatuato con una barba ispida e uno sguardo da lupo, le si avvicinò con un sorriso crudele.
“Cazzo ci fai qui, troia?” ringhiò, afferrandole un polso con forza.
“Mi sono persa… stavo solo…” Petra balbettò, indietreggiando fino a sbattere contro un muro di pietra.
Lui rise, una risata rauca, e fece un cenno ai compagni. “Guardate qua. Una cerva che si è smarrita nel bosco. Dobbiamo insegnarle a non perdersi più, eh?”
Gli altri soldati risposero con grugniti e risate sguaiate, circondandola. Le mani cominciarono a toccarla ovunque: una le strinse un seno attraverso la maglietta, un’altra le infilò due dita tra le cosce, premendo con violenza. Petra gemette, non per piacere, ma per l’urto improvviso. Il suo corpo, però, tradì la mente. Le mutandine si inzupparono, il respiro accelerò.
“Hai il cazzo duro solo a guardarla, eh?” disse il soldato più giovane, un tipo magro con un piercing sul sopracciglio, mentre le abbassava i jeans con un gesto brutale. “Guarda che figa bagnata. Vuole il cazzo, questa troia.”
Petra cercò di divincolarsi, ma un pugno le sfiorò l’orecchio. “Stai zitta o ti spacco i denti,” le sibilò il sergente, sputando a terra. “Ora ti insegno io come ci si comporta in un campo militare.”
La sollevarono di peso, portandola in una stanza semidiroccata. L’odore di muffa si mescolava a quello acre del sudore dei soldati. La gettarono su un tavolo di metallo, le gambe divaricate con forza. Il sergente si slacciò i pantaloni, tirando fuori un cazzo grosso, con la punta rossastra e lucida. “Apri bene le gambe, puttana,” ordinò, spingendole le ginocchia verso il petto.
Quando la penetrò, Petra urlò. Non per dolore—il sesso le pulsava già, voglioso—ma per la violenza del gesto. Il sergente pompava come un bulldozer, il bacino che sbatteva contro il tavolo con colpi metallici. “Sì, sì, sì!” gemette lei, senza controllo. “Più forte, cazzo!”
“Hai sentito? Vuole di più,” rise un soldato corpulento, sputando tabacco. Si inginocchiò dietro di lei, infilandole due dita nell’ano. Petra sussultò, ma non si oppose. “Cazzo, è stretta anche qui,” aggiunse, spingendo fino a quando non sentì il suo sfintere rilassarsi.
Un terzo soldato, con un accento del sud, le strinse la gola. “Ora ti faccio ingoiare il cazzo, troia. Apri quella cazzo di bocca.” Petra obbedì, sentendo la cappella spingere contro il palato. Il sapore salmastro del precum si unì al profumo di sudore e fango. “Succhia, cazzo!” la incitò lui, affondando fino a toccarle la gola.
Intanto il sergente venne dentro di lei con un ruggito, riversando sperma bollente. Il soldato con le dita nell’ano le infilò un preservativo, sostituendosi al superiore. “Ora ti riempio il culo di merda,” disse, entrando con un colpo secco. Petra urlò di nuovo, questa volta per l’effettivo dolore, ma il suono fu soffocato dal cazzo in bocca.
I soldati si alternavano in un caos di corpi, sudore e sperma. Un altro la prese da dietro mentre era piegata su una sedia, pompando fino a quando non le schizzò sulle natiche. Un altro ancora la fece inginocchiare su un tappeto lurido, costringendola a leccare il cazzo dei compagni mentre loro fumavano sigarette.
“Guarda come ciuccia bene,” disse il piercing, mentre Petra lo succhiava con foga, gli occhi lucidi di lacrime e desiderio. “Questa troia sa usare la lingua come una pornostar.”
Quando il soldato corpulento la penetrò analmente, Petra ebbe il primo orgasmo. Un grido strozzato, un tremito incontrollabile. “Squirta, cazzo! Guardate!” urlò il sergente, indicando i fiotti di liquido che uscivano da lei, bagnando il tavolo. “Hai visto? Siamo riusciti a farla godere come una cagna.”
I turni continuarono. Ogni soldato la scopava con una furia diversa, alcuni violenti, altri quasi delicati. Lo sperma le ricopriva il corpo: sul seno, tra le cosce, sul viso. Quando il quinto soldato la prese a pecora, riversandole un fiume di sperma sulla schiena, Petra ebbe un altro orgasmo, questa volta con un grido acuto che riecheggiò tra le pareti.
“Cazzo, è una cazzo di pornostar,” disse il soldato con l’accento. “Quante volte hai goduto, troia?”
“Tante… non so… vi prego… ancora…” ansimò lei, il corpo che tremava come una foglia.
Il sergente rise, spingendola a terra. “Allora ti facciamo un plotone. Tutti insieme. Tu apri bene quelle fottute labbra, e ci ciucci in fila. E se ti azzardi a mordere, ti spacco la testa.”
Petra obbedì, un cazzo dopo l’altro. Le mani dei soldati le stringevano i capelli, le spalle, le mani. Le sborravano addosso, in bocca, in faccia. Alla fine, quando tutti i cazzi furono vuoti e i corpi esausti, i soldati si rivestirono, lasciandola nuda, sporca, e tremante.
“Ricordati la lezione, troia,” disse il sergente, sputandole accanto. “La prossima volta non ti salviamo. Ti lasciamo marcire qua.”
Petra si alzò, le gambe molli, lo sperma che colava lungo le cosce. Non si sentiva violata. Si sentiva completa. Era stata scopata come una cagna, ma ogni colpo, ogni insulto, ogni sborrata l’aveva marchiata a fuoco. Quando tornò dalle amiche, che la cercavano con cellulari in mano, rise tra sé. “Mi sono persa,” mentì, “ma ora sto bene.”
Era una bugia. Non si era mai sentita così viva.
Un rumore di stivali sul ghiaietto la fece voltare di scatto. Erano in cinque, tutti in mimetica, visi duri, occhi predatori. Il sergente, un uomo tatuato con una barba ispida e uno sguardo da lupo, le si avvicinò con un sorriso crudele.
“Cazzo ci fai qui, troia?” ringhiò, afferrandole un polso con forza.
“Mi sono persa… stavo solo…” Petra balbettò, indietreggiando fino a sbattere contro un muro di pietra.
Lui rise, una risata rauca, e fece un cenno ai compagni. “Guardate qua. Una cerva che si è smarrita nel bosco. Dobbiamo insegnarle a non perdersi più, eh?”
Gli altri soldati risposero con grugniti e risate sguaiate, circondandola. Le mani cominciarono a toccarla ovunque: una le strinse un seno attraverso la maglietta, un’altra le infilò due dita tra le cosce, premendo con violenza. Petra gemette, non per piacere, ma per l’urto improvviso. Il suo corpo, però, tradì la mente. Le mutandine si inzupparono, il respiro accelerò.
“Hai il cazzo duro solo a guardarla, eh?” disse il soldato più giovane, un tipo magro con un piercing sul sopracciglio, mentre le abbassava i jeans con un gesto brutale. “Guarda che figa bagnata. Vuole il cazzo, questa troia.”
Petra cercò di divincolarsi, ma un pugno le sfiorò l’orecchio. “Stai zitta o ti spacco i denti,” le sibilò il sergente, sputando a terra. “Ora ti insegno io come ci si comporta in un campo militare.”
La sollevarono di peso, portandola in una stanza semidiroccata. L’odore di muffa si mescolava a quello acre del sudore dei soldati. La gettarono su un tavolo di metallo, le gambe divaricate con forza. Il sergente si slacciò i pantaloni, tirando fuori un cazzo grosso, con la punta rossastra e lucida. “Apri bene le gambe, puttana,” ordinò, spingendole le ginocchia verso il petto.
Quando la penetrò, Petra urlò. Non per dolore—il sesso le pulsava già, voglioso—ma per la violenza del gesto. Il sergente pompava come un bulldozer, il bacino che sbatteva contro il tavolo con colpi metallici. “Sì, sì, sì!” gemette lei, senza controllo. “Più forte, cazzo!”
“Hai sentito? Vuole di più,” rise un soldato corpulento, sputando tabacco. Si inginocchiò dietro di lei, infilandole due dita nell’ano. Petra sussultò, ma non si oppose. “Cazzo, è stretta anche qui,” aggiunse, spingendo fino a quando non sentì il suo sfintere rilassarsi.
Un terzo soldato, con un accento del sud, le strinse la gola. “Ora ti faccio ingoiare il cazzo, troia. Apri quella cazzo di bocca.” Petra obbedì, sentendo la cappella spingere contro il palato. Il sapore salmastro del precum si unì al profumo di sudore e fango. “Succhia, cazzo!” la incitò lui, affondando fino a toccarle la gola.
Intanto il sergente venne dentro di lei con un ruggito, riversando sperma bollente. Il soldato con le dita nell’ano le infilò un preservativo, sostituendosi al superiore. “Ora ti riempio il culo di merda,” disse, entrando con un colpo secco. Petra urlò di nuovo, questa volta per l’effettivo dolore, ma il suono fu soffocato dal cazzo in bocca.
I soldati si alternavano in un caos di corpi, sudore e sperma. Un altro la prese da dietro mentre era piegata su una sedia, pompando fino a quando non le schizzò sulle natiche. Un altro ancora la fece inginocchiare su un tappeto lurido, costringendola a leccare il cazzo dei compagni mentre loro fumavano sigarette.
“Guarda come ciuccia bene,” disse il piercing, mentre Petra lo succhiava con foga, gli occhi lucidi di lacrime e desiderio. “Questa troia sa usare la lingua come una pornostar.”
Quando il soldato corpulento la penetrò analmente, Petra ebbe il primo orgasmo. Un grido strozzato, un tremito incontrollabile. “Squirta, cazzo! Guardate!” urlò il sergente, indicando i fiotti di liquido che uscivano da lei, bagnando il tavolo. “Hai visto? Siamo riusciti a farla godere come una cagna.”
I turni continuarono. Ogni soldato la scopava con una furia diversa, alcuni violenti, altri quasi delicati. Lo sperma le ricopriva il corpo: sul seno, tra le cosce, sul viso. Quando il quinto soldato la prese a pecora, riversandole un fiume di sperma sulla schiena, Petra ebbe un altro orgasmo, questa volta con un grido acuto che riecheggiò tra le pareti.
“Cazzo, è una cazzo di pornostar,” disse il soldato con l’accento. “Quante volte hai goduto, troia?”
“Tante… non so… vi prego… ancora…” ansimò lei, il corpo che tremava come una foglia.
Il sergente rise, spingendola a terra. “Allora ti facciamo un plotone. Tutti insieme. Tu apri bene quelle fottute labbra, e ci ciucci in fila. E se ti azzardi a mordere, ti spacco la testa.”
Petra obbedì, un cazzo dopo l’altro. Le mani dei soldati le stringevano i capelli, le spalle, le mani. Le sborravano addosso, in bocca, in faccia. Alla fine, quando tutti i cazzi furono vuoti e i corpi esausti, i soldati si rivestirono, lasciandola nuda, sporca, e tremante.
“Ricordati la lezione, troia,” disse il sergente, sputandole accanto. “La prossima volta non ti salviamo. Ti lasciamo marcire qua.”
Petra si alzò, le gambe molli, lo sperma che colava lungo le cosce. Non si sentiva violata. Si sentiva completa. Era stata scopata come una cagna, ma ogni colpo, ogni insulto, ogni sborrata l’aveva marchiata a fuoco. Quando tornò dalle amiche, che la cercavano con cellulari in mano, rise tra sé. “Mi sono persa,” mentì, “ma ora sto bene.”
Era una bugia. Non si era mai sentita così viva.
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