Il laboratorio
di
Petulka
genere
fantascienza
Petra, dopo aver fatto un lungo shopping per le vie del centro mangiò qualcosa in un ristorante e poi si fece sera. Quando usci per tornare a casa e mise piede sul marciapiede, due uomini in completi neri senza distintivi la circondarono. Uno di loro, con una voce profonda come un tunnel senza fine, le sussurrò: «Signora, il suo viaggio è appena iniziato». Petra, invece di fuggire, sorrise. La paura era un sentimento che aveva imparato a ignorare da tempo.
Il furgone odorava di cuoio sintetico e lubrificante industriale. Le pareti interne erano tappezzate di schermi che mostravano immagini di donne legate, strumenti metallici, e grafici di onde cerebrali che oscillavano tra il caos e l’estasi. Quando si fermarono davanti a un edificio squadrato, illuminato da neon blu che pulsavano come un cuore artificiale, Petra fu condotta in un ascensore silenzioso. Le porte si aprirono su un corridoio sterminato, dove le pareti sembravano fatte di vetro oscurato che rifletteva figure indistinte—altre donne, forse, altre prede di quel tempio del piacere estremo.
La stanza in cui fu portata era un laboratorio futuristico, un incrocio tra un’opera chirurgica e un club fetish. Al centro troneggiava un tavolo anatomico cromato, circondato da bracci robotici simili a tentacoli di un calamaro cibernetico. Il dottore, con un camice bianco che aderiva alla sua pelle come una seconda epidermide, le mostrò un catalogo olografico di sex toys: falchi di titanio, vibratori a forma di serpenti che si contorcevano, catene di perle anali grandi come dita, e una maschera di silicone che prometteva di soffocare con il respiro caldo del partner virtuale. «Tutto questo è per te,» disse, mentre i suoi occhi brillavano dietro occhiali trasparenti che sembravano scannerizzare il suo corpo.
Quando le cinghie le bloccarono i polsi e le caviglie al tavolo, Petra sentì un brivido di vulnerabilità mescolato a eccitazione. Il dottore le si avvicinò con un fallo meccanico che sembrava un missile da guerra, la superficie striata di sensori e pulsanti. «Questo ti aprirà la mente,» disse, accendendo il dispositivo. Le vibrazioni iniziarono come un ronzio lontano, poi si trasformarono in un boato sismico quando il fallo, spesso come un braccio teso, le sfiorò le labbra vaginali. Petra gemette, un suono che si frantumò in mille echi metallici tra le pareti del laboratorio. La penetrazione fu lenta, crudele nella sua precisione: il cazzo artificiale si dilatava a ogni centimetro, premendo contro le sue pareti interne fino a farle lacrimare gli occhi. «Respira,» le ripeté un assistente, ma Petra non riusciva a trattenere le urla.
Il secondo fallo, questa volta per il culo, era stato riscaldato a 38 gradi e lubrificato con un gel che bruciava come fuoco liquido. Quando entrò, Petra sentì il suo sfintere cedere con un suono viscido, un mix di dolore e piacere che la fece inarcare come un arco teso. «Sto per… sto per…» rantolò, ma non ebbe tempo di completare la frase. Il terzo vibratore, simile a un pitone elettrico, le fu ficcato in bocca con forza, il suo movimento sincronizzato con un suono pulsante che faceva vibrare l’aria intorno a lei.
I robot iniziarono a muoversi in un ritmo perfetto. La fica era martellata da spinte che sembravano sincronizzate con il battito del suo cuore, il culo invaso da un movimento rotatorio che la faceva sentire smembrata, e la bocca costretta a succhiare un oggetto che non aveva fine. Petra, i capelli appiccicati alla fronte sudata, iniziò a contrarsi in spasmi incontrollabili. «Oddio… oddio…» gridò, mentre il primo squirt schizzava contro il soffitto, un getto trasparente che illuminò per un attimo un lampadario di cristallo nero. Gli uomini, impassibili, annotarono dati su tablet olografici. «Pressione sanguigna al massimo,» disse uno. «Frequenza cardiaca: 180 battiti al minuto,» aggiunse un altro.
Ma il peggio—o il meglio—doveva ancora arrivare. Il dottore azionò un comando, e i bracci meccanici cambiarono ritmo: uno accelerò a una velocità disumana, un altro iniziò a vibrare in onde sincopate. Petra sentì il cervello liquefarsi. «Non ce la faccio… non ce la faccio…» implorò, ma il suo corpo non obbediva. Il secondo squirt fu più violento, un uragano di fluidi che inondò il tavolo, creando una pozza che rifletteva le luci al neon. Poi, un terzo orgasmo la colpì come un’esplosione nucleare: le gambe strinsero le cinghie fino a farle sanguinare, le unghie si conficcarono nei cuscini del tavolo, e un urlo gutturale le uscì dalla gola, tanto forte da rompere un vetro vicino.
Gli uomini, impassibili, la liberarono per un attimo. «Hai tre minuti per riprenderti,» disse il dottore, «poi iniziamo la fase due». Petra, il viso arrossato e gli occhi vitrei, provò a respirare, ma il suo corpo era un campo di battaglia. Il cazzo artificiale nel culo iniziò a rilasciare calore crescente, mentre un sottile ago le veniva infilato nel clitoride, iniettando un liquido che la fece contorcere. «Che cos’è…?» chiese, ma il dottore sorrise: «Un catalizzatore. Vediamo quanto puoi resistere».
La seconda fase fu un inferno di piacere. I robot, ora sincronizzati con un algoritmo chiamato Elysium, aumentarono la potenza. Petra sentì un formicolio alle gambe, un calore al petto, e poi… buio. Svenne, la testa che crollava sul tavolo, il respiro corto. Gli uomini non si fermarono. La rianimarono con uno stimolatore linguale che le fece aprire gli occhi di scatto, e ripresero a scoparla con ancora più foga. «Non puoi andartene così,» disse il dottore, «devi raggiungere il limite».
Un altro squirt la travolse, stavolta accompagnato da un fiotto incontrollato di urina che inondò il tavolo e i loro stivali. Petra, ormai incapace di vergognarsi, rise istericamente: «Fate quello che volete! Sono vostra!». La sua voce era rauca, spezzata, ma gli uomini non avevano pietà. Le infilarono un dildo a forma di trifaccia, che si ramificava in tre punte che la dilaniavano internamente. La bocca fu costretta a ricevere un fallo con una testa che pulsava come un cuore, mentre un anello vaginale le stringeva il clitoride, trattenendo l’orgasmo fino a quando non fu insopportabile.
Quando finalmente lo liberarono, Petra urlò così forte che il suo stesso sangue iniziò a uscirle dal naso. «Sto morendo… sto morendo…» ansimò, ma il dottore replicò: «No, stai rinascendo». Le luci del laboratorio si oscurarono, e un congegno le fu applicato al collo: un collare che le iniettava endorfine artificiali. Il dolore svanì, sostituito da un’estasi irreale. I robot, ora sincronizzati con le sue onde cerebrali, la scoparono in un ritmo che sembrava comporre una sinfonia. Petra perse la cognizione del tempo. Svenne di nuovo, ma questa volta non la rianimarono subito. La lasciarono in stato di semi-incoscienza, il corpo inerte, mentre i giocattoli continuavano a muoversi, studiando le sue reazioni da dormiente.
Quando si svegliò, il tavolo era ricoperto di un misto di sperma artificiale, urina, e il suo stesso sangue. I suoi capezzoli erano gonfi e violacei, i peli pubici arruffati e incollati dal lubrificante. Il dottore, con un bisturi in mano, le tagliò una ciocca di capelli pubici e la mise in una provetta. «Per la ricerca,» spiegò. Petra, ormai ridotta a un mucchio di carne pulsante, non poté che ridere: «Fate pure. Ma… fate di più».
La fase finale fu la più estrema. Un gigantesco fallo a forma di alieno, con una superficie che sembrava viva, le fu portato davanti. «Questo non è testato su esseri umani,» disse il dottore. «Ma tu sei unica». Petra, gli occhi lucidi per l’adrenalina, annuì. Quando il giocattolo entrò in lei, sembrò aprirle l’anima. Le sue grida diventarono inarticolate, un linguaggio sconosciuto che faceva tremare i vetri. Il collare al collo iniziò a scaricare impulsi elettrici, sincronizzati con le spinte, e Petra sentì il proprio cervello andare in tilt. «Sto… esplodendo…» sussurrò, prima di un ultimo squirt che inondò la stanza, accompagnato da un urlo che sembrò squarciare la realtà.
Quando tutto finì, Petra era una statua di carne esausta, i muscoli ridotti a gelatina, la mente un vortice di sensazioni mai provate. Gli uomini la liberarono e la avvolsero in una coperta termica. «Sei stata il test più riuscito della storia,» disse il dottore, «ma tornerai. Il tuo corpo è una miniera d’oro per la scienza». Petra, con un filo di voce, sorrise: «La prossima volta… portatemi qualcosa di più grande».
Il furgone odorava di cuoio sintetico e lubrificante industriale. Le pareti interne erano tappezzate di schermi che mostravano immagini di donne legate, strumenti metallici, e grafici di onde cerebrali che oscillavano tra il caos e l’estasi. Quando si fermarono davanti a un edificio squadrato, illuminato da neon blu che pulsavano come un cuore artificiale, Petra fu condotta in un ascensore silenzioso. Le porte si aprirono su un corridoio sterminato, dove le pareti sembravano fatte di vetro oscurato che rifletteva figure indistinte—altre donne, forse, altre prede di quel tempio del piacere estremo.
La stanza in cui fu portata era un laboratorio futuristico, un incrocio tra un’opera chirurgica e un club fetish. Al centro troneggiava un tavolo anatomico cromato, circondato da bracci robotici simili a tentacoli di un calamaro cibernetico. Il dottore, con un camice bianco che aderiva alla sua pelle come una seconda epidermide, le mostrò un catalogo olografico di sex toys: falchi di titanio, vibratori a forma di serpenti che si contorcevano, catene di perle anali grandi come dita, e una maschera di silicone che prometteva di soffocare con il respiro caldo del partner virtuale. «Tutto questo è per te,» disse, mentre i suoi occhi brillavano dietro occhiali trasparenti che sembravano scannerizzare il suo corpo.
Quando le cinghie le bloccarono i polsi e le caviglie al tavolo, Petra sentì un brivido di vulnerabilità mescolato a eccitazione. Il dottore le si avvicinò con un fallo meccanico che sembrava un missile da guerra, la superficie striata di sensori e pulsanti. «Questo ti aprirà la mente,» disse, accendendo il dispositivo. Le vibrazioni iniziarono come un ronzio lontano, poi si trasformarono in un boato sismico quando il fallo, spesso come un braccio teso, le sfiorò le labbra vaginali. Petra gemette, un suono che si frantumò in mille echi metallici tra le pareti del laboratorio. La penetrazione fu lenta, crudele nella sua precisione: il cazzo artificiale si dilatava a ogni centimetro, premendo contro le sue pareti interne fino a farle lacrimare gli occhi. «Respira,» le ripeté un assistente, ma Petra non riusciva a trattenere le urla.
Il secondo fallo, questa volta per il culo, era stato riscaldato a 38 gradi e lubrificato con un gel che bruciava come fuoco liquido. Quando entrò, Petra sentì il suo sfintere cedere con un suono viscido, un mix di dolore e piacere che la fece inarcare come un arco teso. «Sto per… sto per…» rantolò, ma non ebbe tempo di completare la frase. Il terzo vibratore, simile a un pitone elettrico, le fu ficcato in bocca con forza, il suo movimento sincronizzato con un suono pulsante che faceva vibrare l’aria intorno a lei.
I robot iniziarono a muoversi in un ritmo perfetto. La fica era martellata da spinte che sembravano sincronizzate con il battito del suo cuore, il culo invaso da un movimento rotatorio che la faceva sentire smembrata, e la bocca costretta a succhiare un oggetto che non aveva fine. Petra, i capelli appiccicati alla fronte sudata, iniziò a contrarsi in spasmi incontrollabili. «Oddio… oddio…» gridò, mentre il primo squirt schizzava contro il soffitto, un getto trasparente che illuminò per un attimo un lampadario di cristallo nero. Gli uomini, impassibili, annotarono dati su tablet olografici. «Pressione sanguigna al massimo,» disse uno. «Frequenza cardiaca: 180 battiti al minuto,» aggiunse un altro.
Ma il peggio—o il meglio—doveva ancora arrivare. Il dottore azionò un comando, e i bracci meccanici cambiarono ritmo: uno accelerò a una velocità disumana, un altro iniziò a vibrare in onde sincopate. Petra sentì il cervello liquefarsi. «Non ce la faccio… non ce la faccio…» implorò, ma il suo corpo non obbediva. Il secondo squirt fu più violento, un uragano di fluidi che inondò il tavolo, creando una pozza che rifletteva le luci al neon. Poi, un terzo orgasmo la colpì come un’esplosione nucleare: le gambe strinsero le cinghie fino a farle sanguinare, le unghie si conficcarono nei cuscini del tavolo, e un urlo gutturale le uscì dalla gola, tanto forte da rompere un vetro vicino.
Gli uomini, impassibili, la liberarono per un attimo. «Hai tre minuti per riprenderti,» disse il dottore, «poi iniziamo la fase due». Petra, il viso arrossato e gli occhi vitrei, provò a respirare, ma il suo corpo era un campo di battaglia. Il cazzo artificiale nel culo iniziò a rilasciare calore crescente, mentre un sottile ago le veniva infilato nel clitoride, iniettando un liquido che la fece contorcere. «Che cos’è…?» chiese, ma il dottore sorrise: «Un catalizzatore. Vediamo quanto puoi resistere».
La seconda fase fu un inferno di piacere. I robot, ora sincronizzati con un algoritmo chiamato Elysium, aumentarono la potenza. Petra sentì un formicolio alle gambe, un calore al petto, e poi… buio. Svenne, la testa che crollava sul tavolo, il respiro corto. Gli uomini non si fermarono. La rianimarono con uno stimolatore linguale che le fece aprire gli occhi di scatto, e ripresero a scoparla con ancora più foga. «Non puoi andartene così,» disse il dottore, «devi raggiungere il limite».
Un altro squirt la travolse, stavolta accompagnato da un fiotto incontrollato di urina che inondò il tavolo e i loro stivali. Petra, ormai incapace di vergognarsi, rise istericamente: «Fate quello che volete! Sono vostra!». La sua voce era rauca, spezzata, ma gli uomini non avevano pietà. Le infilarono un dildo a forma di trifaccia, che si ramificava in tre punte che la dilaniavano internamente. La bocca fu costretta a ricevere un fallo con una testa che pulsava come un cuore, mentre un anello vaginale le stringeva il clitoride, trattenendo l’orgasmo fino a quando non fu insopportabile.
Quando finalmente lo liberarono, Petra urlò così forte che il suo stesso sangue iniziò a uscirle dal naso. «Sto morendo… sto morendo…» ansimò, ma il dottore replicò: «No, stai rinascendo». Le luci del laboratorio si oscurarono, e un congegno le fu applicato al collo: un collare che le iniettava endorfine artificiali. Il dolore svanì, sostituito da un’estasi irreale. I robot, ora sincronizzati con le sue onde cerebrali, la scoparono in un ritmo che sembrava comporre una sinfonia. Petra perse la cognizione del tempo. Svenne di nuovo, ma questa volta non la rianimarono subito. La lasciarono in stato di semi-incoscienza, il corpo inerte, mentre i giocattoli continuavano a muoversi, studiando le sue reazioni da dormiente.
Quando si svegliò, il tavolo era ricoperto di un misto di sperma artificiale, urina, e il suo stesso sangue. I suoi capezzoli erano gonfi e violacei, i peli pubici arruffati e incollati dal lubrificante. Il dottore, con un bisturi in mano, le tagliò una ciocca di capelli pubici e la mise in una provetta. «Per la ricerca,» spiegò. Petra, ormai ridotta a un mucchio di carne pulsante, non poté che ridere: «Fate pure. Ma… fate di più».
La fase finale fu la più estrema. Un gigantesco fallo a forma di alieno, con una superficie che sembrava viva, le fu portato davanti. «Questo non è testato su esseri umani,» disse il dottore. «Ma tu sei unica». Petra, gli occhi lucidi per l’adrenalina, annuì. Quando il giocattolo entrò in lei, sembrò aprirle l’anima. Le sue grida diventarono inarticolate, un linguaggio sconosciuto che faceva tremare i vetri. Il collare al collo iniziò a scaricare impulsi elettrici, sincronizzati con le spinte, e Petra sentì il proprio cervello andare in tilt. «Sto… esplodendo…» sussurrò, prima di un ultimo squirt che inondò la stanza, accompagnato da un urlo che sembrò squarciare la realtà.
Quando tutto finì, Petra era una statua di carne esausta, i muscoli ridotti a gelatina, la mente un vortice di sensazioni mai provate. Gli uomini la liberarono e la avvolsero in una coperta termica. «Sei stata il test più riuscito della storia,» disse il dottore, «ma tornerai. Il tuo corpo è una miniera d’oro per la scienza». Petra, con un filo di voce, sorrise: «La prossima volta… portatemi qualcosa di più grande».
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