Il bosco
di
Petulka
genere
feticismo
Petra era stata legata con corde ruvide a un palo di legno marcio, eretto al centro di una radura circondata da alberi scheletrici che si stagliavano come sentinelle mutole sotto la luna piena. Il suo corpo nudo, esposto al freddo pungente della notte, tremava non solo per la temperatura ma per l’adrenalina che le scorreva nelle vene, mentre i lupi emergevano uno alla volta dall’oscurità, ringhiando con una fame che non era solo di carne. Il primo, un maschio enorme con un pelo grigio e ispido, le si avvicinò strisciando, la lingua penzoloni mentre le annusava le cosce. Le sue zanne affondarono nel fianco di Petra senza preavviso, strappandole un urlo che si perse nel vento. Il sangue cominciò a colare, denso e caldo, mentre il lupo iniziava a muoversi su di lei con colpi brutali, il suo cazzo canino, grosso e ricurvo, entrando e uscendo con un rumore viscido di carne straziata.
Petra non poteva fare altro che subire, la testa gettata all’indietro mentre i suoi capelli si impigliavano nel legno ruvido, gli occhi sbarrati fissi sul cielo stellato che sembrava deriderla.
Il secondo lupo fu più crudele: le morse un seno con forza, strappandole un gemito di dolore mentre le unghie artigliavano le sue gambe, graffiandole la pelle fino a farla sanguinare. Il terzo la prese da dietro, il suo muso premuto contro la sua schiena sudata mentre la penetrava con una violenza che le fece sbattere la faccia contro il palo. Il quarto le leccò il viso sporco di lacrime e sangue prima di montarla, il suo alito fetido di carne putrida che le invadeva la bocca. Il quinto, più piccolo ma con occhi da predatore psicopatico, si concentrò sulla sua bocca, costringendola ad aprire le labbra con un morso al mento mentre le sbatteva il cazzo in gola, soffocandola con un ritmo incessante. Quando i lupi si ritirarono, Petra era un ammasso di morsi, graffi e sperma caldo che colava dalle sue cosce, ormai rassegnata al proprio destino.
Petra, ormai ridotta a un involucro sanguinante e tremante, fu sollevata con brutalità dal palo al quale era stata legata. I due cavalli, stalloni giganteschi con muscoli che fremevano e peni eretti come pali di carne pulsante, avanzarono verso di lei con un nitrito gutturale che sembrava una risata sadica. Il primo, un mustang bruno con occhi iniettati di sangue, la gettò a terra, il suo alito caldo che le invadeva la nuca mentre le artigliava la schiena con gli zoccoli. La penetrò con un colpo secco, il suo cazzo spesso e lungo come un braccio umano che lacerava la carne già dilaniata, affondando oltre il limite del dolore. Petra sentì qualcosa rompersi dentro, un calore viscido che non era solo sperma: le sue ovaie, strappate e maciullate, cedettero con un rumore di tessuti lacerati, mentre il cavallo, incurante, pompava con un ritmo da terremoto, il suo ventre che sbatteva contro le sue natiche con schianti che facevano vibrare il terreno.
Il secondo cavallo, impaziente, la girò con un calcio, costringendola a fissare il cielo nero mentre le allargava le gambe con forza. Il suo cazzo, ancora più grosso e con vene sporgenti come serpenti, entrò nell’intestino di Petra, dilatandola fino a farla urlare con voce rauca. Ogni spinta era un’agonia: le viscere si laceravano, il sangue colava lungo le cosce, mescolandosi al seme caldo che i due stalloni riversavano dentro di lei. Quando il primo terminò, il suo sperma fuoriuscì a fiotti dal ventre straziato, riversandosi sul viso di Petra, che cercava invano di respirare. Il secondo, con un nitrito selvaggio, le infilò il glande nella bocca, costringendola a ingoiare con una pressione insostenibile. Il seme, denso e puzzolente, le riempì la gola fino a soffocarla, uscendo a schizzi dalle labbra, dal naso, persino dagli occhi, mentre il cavallo le teneva la testa ferma con gli zoccoli.
Alla fine, Petra era riversa tra l’erba intrisa di sangue e sperma, il corpo un campo di battaglia. La sua fica e il suo ano erano crateri aperti, l’intestino perforato, mentre il seme dei cavalli le colava dagli angoli della bocca, mescolandosi alle lacrime e alla saliva. I due animali, sazi e indifferenti, si allontanarono scalpitando, lasciando il suo corpo a marcire sotto il sole, un’offerta putrida alla natura. La sua mente, ormai un groviglio di follia, non distingueva più il dolore dal piacere, la vita dalla morte. Era stata violata, distrutta, e il suo corpo era diventato un monumento alla brutalità della bestialità, un cadavere ambulante che respirava ancora solo per il seme che glielo impediva.
Petra, ormai ridotta a un involucro sanguinante e tremante, fu sollevata con brutalità dal palo al quale era stata legata. I due cavalli, stalloni giganteschi con muscoli che fremevano e peni eretti come pali di carne pulsante, avanzarono verso di lei con un nitrito gutturale che sembrava una risata sadica. Il primo, un mustang bruno con occhi iniettati di sangue, la gettò a terra, il suo alito caldo che le invadeva la nuca mentre le artigliava la schiena con gli zoccoli. La penetrò con un colpo secco, il suo cazzo spesso e lungo come un braccio umano che lacerava la carne già dilaniata, affondando oltre il limite del dolore. Petra sentì qualcosa rompersi dentro, un calore viscido che non era solo sperma: le sue ovaie, strappate e maciullate, cedettero con un rumore di tessuti lacerati, mentre il cavallo, incurante, pompava con un ritmo da terremoto, il suo ventre che sbatteva contro le sue natiche con schianti che facevano vibrare il terreno.
Il secondo cavallo, impaziente, la girò con un calcio, costringendola a fissare il cielo nero mentre le allargava le gambe con forza. Il suo cazzo, ancora più grosso e con vene sporgenti come serpenti, entrò nell’intestino di Petra, dilatandola fino a farla urlare con voce rauca. Ogni spinta era un’agonia: le viscere si laceravano, il sangue colava lungo le cosce, mescolandosi al seme caldo che i due stalloni riversavano dentro di lei. Quando il primo terminò, il suo sperma fuoriuscì a fiotti dal ventre straziato, riversandosi sul viso di Petra, che cercava invano di respirare. Il secondo, con un nitrito selvaggio, le infilò il glande nella bocca, costringendola a ingoiare con una pressione insostenibile. Il seme, denso e puzzolente, le riempì la gola fino a soffocarla, uscendo a schizzi dalle labbra, dal naso, persino dagli occhi, mentre il cavallo le teneva la testa ferma con gli zoccoli.
Alla fine, Petra era riversa tra l’erba intrisa di sangue e sperma, il corpo un campo di battaglia. La sua fica e il suo ano erano crateri aperti, l’intestino perforato, mentre il seme dei cavalli le colava dagli angoli della bocca, mescolandosi alle lacrime e alla saliva. I due animali, sazi e indifferenti, si allontanarono scalpitando, lasciando il suo corpo a marcire sotto il sole, un’offerta putrida alla natura. La sua mente, ormai un groviglio di follia, non distingueva più il dolore dal piacere, la vita dalla morte. Era stata violata, distrutta, e il suo corpo era diventato un monumento alla brutalità della bestialità, un cadavere ambulante che respirava ancora solo per il seme che glielo impediva.
Petra non poteva fare altro che subire, la testa gettata all’indietro mentre i suoi capelli si impigliavano nel legno ruvido, gli occhi sbarrati fissi sul cielo stellato che sembrava deriderla.
Il secondo lupo fu più crudele: le morse un seno con forza, strappandole un gemito di dolore mentre le unghie artigliavano le sue gambe, graffiandole la pelle fino a farla sanguinare. Il terzo la prese da dietro, il suo muso premuto contro la sua schiena sudata mentre la penetrava con una violenza che le fece sbattere la faccia contro il palo. Il quarto le leccò il viso sporco di lacrime e sangue prima di montarla, il suo alito fetido di carne putrida che le invadeva la bocca. Il quinto, più piccolo ma con occhi da predatore psicopatico, si concentrò sulla sua bocca, costringendola ad aprire le labbra con un morso al mento mentre le sbatteva il cazzo in gola, soffocandola con un ritmo incessante. Quando i lupi si ritirarono, Petra era un ammasso di morsi, graffi e sperma caldo che colava dalle sue cosce, ormai rassegnata al proprio destino.
Petra, ormai ridotta a un involucro sanguinante e tremante, fu sollevata con brutalità dal palo al quale era stata legata. I due cavalli, stalloni giganteschi con muscoli che fremevano e peni eretti come pali di carne pulsante, avanzarono verso di lei con un nitrito gutturale che sembrava una risata sadica. Il primo, un mustang bruno con occhi iniettati di sangue, la gettò a terra, il suo alito caldo che le invadeva la nuca mentre le artigliava la schiena con gli zoccoli. La penetrò con un colpo secco, il suo cazzo spesso e lungo come un braccio umano che lacerava la carne già dilaniata, affondando oltre il limite del dolore. Petra sentì qualcosa rompersi dentro, un calore viscido che non era solo sperma: le sue ovaie, strappate e maciullate, cedettero con un rumore di tessuti lacerati, mentre il cavallo, incurante, pompava con un ritmo da terremoto, il suo ventre che sbatteva contro le sue natiche con schianti che facevano vibrare il terreno.
Il secondo cavallo, impaziente, la girò con un calcio, costringendola a fissare il cielo nero mentre le allargava le gambe con forza. Il suo cazzo, ancora più grosso e con vene sporgenti come serpenti, entrò nell’intestino di Petra, dilatandola fino a farla urlare con voce rauca. Ogni spinta era un’agonia: le viscere si laceravano, il sangue colava lungo le cosce, mescolandosi al seme caldo che i due stalloni riversavano dentro di lei. Quando il primo terminò, il suo sperma fuoriuscì a fiotti dal ventre straziato, riversandosi sul viso di Petra, che cercava invano di respirare. Il secondo, con un nitrito selvaggio, le infilò il glande nella bocca, costringendola a ingoiare con una pressione insostenibile. Il seme, denso e puzzolente, le riempì la gola fino a soffocarla, uscendo a schizzi dalle labbra, dal naso, persino dagli occhi, mentre il cavallo le teneva la testa ferma con gli zoccoli.
Alla fine, Petra era riversa tra l’erba intrisa di sangue e sperma, il corpo un campo di battaglia. La sua fica e il suo ano erano crateri aperti, l’intestino perforato, mentre il seme dei cavalli le colava dagli angoli della bocca, mescolandosi alle lacrime e alla saliva. I due animali, sazi e indifferenti, si allontanarono scalpitando, lasciando il suo corpo a marcire sotto il sole, un’offerta putrida alla natura. La sua mente, ormai un groviglio di follia, non distingueva più il dolore dal piacere, la vita dalla morte. Era stata violata, distrutta, e il suo corpo era diventato un monumento alla brutalità della bestialità, un cadavere ambulante che respirava ancora solo per il seme che glielo impediva.
Petra, ormai ridotta a un involucro sanguinante e tremante, fu sollevata con brutalità dal palo al quale era stata legata. I due cavalli, stalloni giganteschi con muscoli che fremevano e peni eretti come pali di carne pulsante, avanzarono verso di lei con un nitrito gutturale che sembrava una risata sadica. Il primo, un mustang bruno con occhi iniettati di sangue, la gettò a terra, il suo alito caldo che le invadeva la nuca mentre le artigliava la schiena con gli zoccoli. La penetrò con un colpo secco, il suo cazzo spesso e lungo come un braccio umano che lacerava la carne già dilaniata, affondando oltre il limite del dolore. Petra sentì qualcosa rompersi dentro, un calore viscido che non era solo sperma: le sue ovaie, strappate e maciullate, cedettero con un rumore di tessuti lacerati, mentre il cavallo, incurante, pompava con un ritmo da terremoto, il suo ventre che sbatteva contro le sue natiche con schianti che facevano vibrare il terreno.
Il secondo cavallo, impaziente, la girò con un calcio, costringendola a fissare il cielo nero mentre le allargava le gambe con forza. Il suo cazzo, ancora più grosso e con vene sporgenti come serpenti, entrò nell’intestino di Petra, dilatandola fino a farla urlare con voce rauca. Ogni spinta era un’agonia: le viscere si laceravano, il sangue colava lungo le cosce, mescolandosi al seme caldo che i due stalloni riversavano dentro di lei. Quando il primo terminò, il suo sperma fuoriuscì a fiotti dal ventre straziato, riversandosi sul viso di Petra, che cercava invano di respirare. Il secondo, con un nitrito selvaggio, le infilò il glande nella bocca, costringendola a ingoiare con una pressione insostenibile. Il seme, denso e puzzolente, le riempì la gola fino a soffocarla, uscendo a schizzi dalle labbra, dal naso, persino dagli occhi, mentre il cavallo le teneva la testa ferma con gli zoccoli.
Alla fine, Petra era riversa tra l’erba intrisa di sangue e sperma, il corpo un campo di battaglia. La sua fica e il suo ano erano crateri aperti, l’intestino perforato, mentre il seme dei cavalli le colava dagli angoli della bocca, mescolandosi alle lacrime e alla saliva. I due animali, sazi e indifferenti, si allontanarono scalpitando, lasciando il suo corpo a marcire sotto il sole, un’offerta putrida alla natura. La sua mente, ormai un groviglio di follia, non distingueva più il dolore dal piacere, la vita dalla morte. Era stata violata, distrutta, e il suo corpo era diventato un monumento alla brutalità della bestialità, un cadavere ambulante che respirava ancora solo per il seme che glielo impediva.
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