Mia cugina: Parte 18
di
Catartico
genere
incesti
Tre giorni dopo sono alla trattoria dell'azienda vinicola con i miei genitori. Ci sono anche quelli di mia cugina. Ceniamo insieme. Lei è ancora al lavoro, quindi non c'è. I miei zii parlano di mio cugino che sembra intenzionato a sposare la sua ragazza dopo la laurea. I miei spostano la discussione su di me e mi fanno pressioni sul fatto che non sono ancora né sposato né fidanzato alla mia età. Rispondo vago e mia zia dice loro con un sorriso di lasciarmi stare.
Dopo cena, i miei genitori e i miei zii vanno via. Io resto un po' alla trattoria. Gironzolo in giro alla ricerca di mia cugina, ma non la trovo. Allora faccio una passeggiata lungo i filari d’uva esterni, il cielo dipinto di stelle. Era da tanto che non ci venivo. Passo accanto al canale sulle cui acque torbide si riflette la luna. Poi torno indietro e mi dirigo sul retro della trattoria. Chissà se mia cugina è lì?
La trovo seduta sugli scalini, lo sguardo pensante nel vuoto. Non si accorge di me finché non mi siedo accanto. Solleva lo sguardo. — Oh, sei tu. Che ci fai qui?
— Ho fatto una passeggiata dopo cena.
— I tuoi sono andati via.
— Sì, lo so. Hai finito adesso di lavorare?
Annuisce. Non risponde.
— Sei ancora arrabbiata con me? — domando.
— Non ero arrabbiata con te.
— A me sembrava di sì. L’ultima volta…
— È che tu non capisci. Rendi difficili le cose.
— Che vuoi dire?
Mi guarda. — Mi tormenti. Ecco cosa voglio dire. Sai perfettamente che non possiamo stare insieme, ma mi giri sempre intorno.
— Non posso farci niente... Io ti amo.
— Di nuovo quella parola…
— Ma è ciò che penso. È la verità.
Distoglie lo sguardo. — Non m’importa, se sia vero o meno. Non più.
— Tu non provi lo stesso per me?
— A breve partirò.
Sgrano leggermente gli occhi sorpreso. — Partirai? Dove?!
— Andrò con Oronzo a Miami. Lui ha accettato un lavoro per… — Mi guarda. — Non importa perché. Andrò con lui.
— E il tuo lavoro qui?
— Ho deciso di riprovarci.
— Ma è sposato! E ha dei figli!
— Divorzierà da sua moglie.
— Non lo farà mai. Ti sta mentendo.
Il suo sguardo si fa feroce. — Che ne sai tu? Nemmeno lo conosci!
Sospiro irritato, abbasso lo sguardo sui miei piedi. — Una volta che sarai lì, che farai?
— Troverò un lavoro. Conosco bene l’inglese.
— Sarai da sola.
— Smettila di darmi contro. Dovresti essere felice per me, invece.
La guardo dritta negli occhi. — Beh, non lo sono. Per niente. Te ne vai con un tipo che ha moglie e figli in un posto che nemmeno conosci. Perché lo stai facendo? Se è perché ti do fastidio, allora non ti parlerò più. Perciò rimani qui.
Mia cugina sbuffa seccata. — Parlare con te è come parlare a un muro. Non capisci e non vuoi capire. — Si alza e va via.
— Aspetta, ho capito. Fermati.
Lei entra nella trattoria, senza guardarsi indietro.
Tiro un lungo sospiro e mi alzo. Sinceramente sono stanco anch'io. Non faccio che ripetermi tutte le volte che la incontro. Eppure mi viene spontaneo. Il fatto che ora non la vedrò più mi fa venire un nodo allo stomaco. Lancio uno sguardo alla porta della trattoria e vado via.
Il pomeriggio del giorno dopo sono nel mio appartamento. Sto guardando la TV seduto sul divano. Più che guardare, sto rimuginando. Ho il cuore che batte forte, ma non veloce. Credo sia ansia. Un'ansia acuta. Insopportabile. Qualunque cosa pensi, alla fine il mio cervello mi riporta a ieri. A mia cugina Sarah, al suo viso, alle sue labbra, ai suoi seni, ai suoi fianchi larghi. Ora come non mai desidero farci l’amore e stringerla a me.
Scuoto la testa. Sto diventando troppo sentimentale. I miei pensieri mi stanno uccidendo. Ma cosa possa fare? Mi sento impotente. Non trovo nessuna soluzione.
Bussano alla porta.
Chi può essere? La mia ex assistente? Non penso. È sparita da un po' e mi chiedo se tornerà?
Apro la porta.
Ilaria entra senza nemmeno salutare, si guarda intorno e poi guarda me. — Sei da solo?
Chiudo la porta e mi dirigo da lei. — Sì.
— La tua amichetta?
— È andata via. Non credo tornerà.
— Quindi è la figlia di Caterina Savona?
Mi acciglio confuso. — Come lo sai?
— L’ho vista l’altro giorno passare nel corridoio. Inoltre, in ufficio tutti parlano di questo.
— Ah, capisco.
Ilaria si siede sul divano. — Non mi offri niente?
— Oh, certo. Ho appena fatto il caffè. Ne vuoi un po'?
— Hai del tè verde?
— Sì. Te lo preparo.
Mi sorride. Perché mi sta sorridendo? E poi perché è qui? Non era arrabbiata con me o qualcosa del genere?
Vado in cucina. Riempio una padellina d’acqua, la metto sul fornello e accendo il gas.
— Credo che Federica stia per licenziarsi — dice Ilaria dal soggiorno.
— Davvero?
— Sembra che stia passando un momentaccio. O almeno è quello che mi ha fatto intendere.
Annuisco. — È così.
— Quindi tu sai tutto?
— Un po'.
— Mi ha detto che ha alcuni problemi familiari. È così?
— Sì, in un certo senso.
— Parla chiaramente.
Spengo il gas, verso l'acqua bollente nella tazza con la bustina di tè verde dentro e gliela porto. — Tieni.
Lei la prende. — Grazie.
Mi siedo accanto. — Beh, non so molto, — mento — ma dovresti parlarne con lei, se vuoi saperne di più.
Soffia nella tazza. — Qualcosa mi dice che tu sai qualcosa che io non so.
— Ti sbagli.
— Sarà. Ma ho questa sensazione. Comunque Caterina Savona non è una persona facile da incontrare. Mi meraviglio che tu l’abbia fatta venire persino nel tuo ufficio.
— Non l’ho invitata io. È venuta da sola.
Ilaria beve un sorso di tè. — Quindi le cose sono più serie di quel che sembrano.
— Serie? A cosa ti riferisci?
— A sua figlia. È venuta per lei?
Perspicace. È sempre stata così quando si interessa di qualcosa. — Sì, una cosa del genere.
— Ti ha minacciato di mollarla o altro?
La guardo per un attimo. — Perché sei qui?
— Quindi è così. Ti ha detto di lasciarla. Beh, prevedibile.
Sposto lo sguardo sulla TV accesa. Non rispondo.
Ilaria beve un altro sorso di tè. Abbozza un sorriso. — Cos’è? Ora mi monti il broncio?
Scuota la testa con un mezzo sorriso. Silenzio.
— Sono venuta per farti visita.
— Non per controllare che la mia ‘amichetta’ non ci fosse più?
Alza un angolo della bocca in un sorriso. — Può darsi.
— Non ti capisco. Ti arrabbi con me e poi piombi qui come se nulla fosse.
— Non sono mai stata arrabbiata con te. Solo… infastidita.
— È la stessa cosa.
— Non proprio.
La guardo. — Ora che hai visto che non c'è più, cosa intendi fare?
Solleva le spalle, beve un sorso di tè. — Niente. Cosa pensavi facessi?
— Non so. Sei imprevedibile.
Sorride. — Beh, grazie del tè. Ora devo andare.
La guardo alzarsi e andare alla porta. — Ci vediamo stasera al bar — dico.
Si volta verso di me e mi guarda intensamente. Uno sguardo pericoloso, capriccioso, passionale. Non parla.
— Che c'è? — domando.
Mi raggiunge con passo svelto, mi spinge sul divano e mi bacia.
— Aspet… — biascico mentre la sua lingua si infila nella mia bocca.
Ilaria continua a baciarmi. Le metto una mano sul sedere e con l’altra la stringo a me. Sento le sue tette pressate contro il mio petto. Ci baciamo per un po’, poi mi solleva la maglietta e mi abbassa pantaloni e mutande. Io faccio la stessa con lei.
Si china sul mio pene e comincia a leccarlo. La sua lingua si muove attorno al mio glande, scende giù lungo l’asta e risale. Poi se lo mette in bocca. Sento lo schiocco della saliva mentre fa su e giù con la bocca. Sto per venire, ma lei allontana le labbra.
Ci guardiamo per un attimo.
Ilaria si mette a cavalcioni su di me, si fa scivolare il mio pene dentro la sua vagina e abbassa il busto verso di me. Mi fissa negli occhi. — Ti odio…
— Cosa?
— Sta zitto!
— Cos’hai detto?
Mi tappa la bocca con una mano e comincia a muovere il bacino sul mio inguine. Sento il suo liquido colare lungo i miei genitali, il suo respiro corto accanto al mio orecchio, il suo corpo caldo, i suoi capezzoli pressati sul mio petto.
La ingabbio in un abbraccio, tolgo la mano dalla mia bocca e la bacio. Lei mi infila la lingua, mi morde il labbro e mi accarezza la testa. Mollo uno schiaffo sul suo sedere.
— Ahia! — dice lei arrabbiata.
— Scusa, mi sono… lasciato trasportare.
— Cretino!
La stringo più forte a me. — Questo ti piace?
Non risponde. Torna a baciarmi, a muoversi con più vigore sopra di me.
Le vengo dentro.
Ilaria continua per un po’, poi si ferma con le gambe tremanti e mi guarda con la faccia sfatta. — Voglio davvero lasciarmi andare, ma…
— Ma?
Scende da sopra di me e si siede sul divano. — Credo di amarti più di quanto tu ami me.
— Anch’io ti amo. Per questo…
— Non sono l’unica. Non posso… Non voglio questo.
— Mettiamoci insieme.
Si volta a guardarmi con uno sbuffo frustrato. — Come fai a farla così facile? Non lo vedi? Usi queste parole… Dici queste cose, ma… non le pensi. Non davvero.
— Allora cosa devo fare per fartelo capire?
— Niente. So che è così. Ti conosco da troppi anni… Anche se ci mettiamo insieme, tu penserai ancora a tua cugina. Finché c’è lei… — Si interrompe e si alza. — Mi sembra di girare in tondo. Sono stanca…
L’afferro per il polso e la faccio sedere di nuovo accanto a me. — Proviamoci. Mettiamoci insieme. Vediamo come va.
Il suo sguardo si fa duro. — Tu proprio non capisci! Se ci mettiamo insieme… Noi… Non possiamo! Rovineremo tutto! E io… non voglio.
— Ma perché dici così? Non puoi saperlo. Anzi, può essere che… Voglio dire, può andare tutto bene, no?
Ilaria alza un sopracciglio. — Tutto bene? Deve essere perfetto, non bene! Lo vedi che nemmeno ci stai pensando seriamente!
Sbuffo seccato. — Senti, io…
— Lascia perdere. — Si alza.
La prendo di nuovo per il polso e la rifaccio sedere. — No che non lascio perdere. Tu sei importante per me. Ti amo! Come te lo devo far capire?
Mi fissa dritto negli occhi. — Mi ami tanto da lasciar perdere tua cugina?
Non rispondo.
— Lo vedi? — dice irata. — Siamo sempre punto a capo. Mi sono stancata. Davvero! — Trattiene le lacrime, gli occhi rossi. — Tu mi stai uccidendo! Starti accanto… mi fa male — Sospira esausta e scoppia a piangere.
Abbasso lo sguardo abbattuto. — Mi dispiace…
Scuote la testa e mi molla uno spintone. — Ti odio! — Mi martella il braccio di schiaffi. — Non sai quanto ti odio! Mi fa comportare come una bambina. Ti odio!
La tiro a me e l’abbraccio forte.
Lei cerca di divincolarsi senza troppa convinzione. — Lasciami andare! Lasciami!
Rafforzo la presa. Lei si lascia andare in un pianto disperato, le spalle che sussultano per i singhiozzi.
La amo. Davvero. Ma amo anche mia cugina. Forse dovrei lasciare andare Sarah e restare con Ilaria. Lei ha bisogno di me e io di lei.
Dopo cena, i miei genitori e i miei zii vanno via. Io resto un po' alla trattoria. Gironzolo in giro alla ricerca di mia cugina, ma non la trovo. Allora faccio una passeggiata lungo i filari d’uva esterni, il cielo dipinto di stelle. Era da tanto che non ci venivo. Passo accanto al canale sulle cui acque torbide si riflette la luna. Poi torno indietro e mi dirigo sul retro della trattoria. Chissà se mia cugina è lì?
La trovo seduta sugli scalini, lo sguardo pensante nel vuoto. Non si accorge di me finché non mi siedo accanto. Solleva lo sguardo. — Oh, sei tu. Che ci fai qui?
— Ho fatto una passeggiata dopo cena.
— I tuoi sono andati via.
— Sì, lo so. Hai finito adesso di lavorare?
Annuisce. Non risponde.
— Sei ancora arrabbiata con me? — domando.
— Non ero arrabbiata con te.
— A me sembrava di sì. L’ultima volta…
— È che tu non capisci. Rendi difficili le cose.
— Che vuoi dire?
Mi guarda. — Mi tormenti. Ecco cosa voglio dire. Sai perfettamente che non possiamo stare insieme, ma mi giri sempre intorno.
— Non posso farci niente... Io ti amo.
— Di nuovo quella parola…
— Ma è ciò che penso. È la verità.
Distoglie lo sguardo. — Non m’importa, se sia vero o meno. Non più.
— Tu non provi lo stesso per me?
— A breve partirò.
Sgrano leggermente gli occhi sorpreso. — Partirai? Dove?!
— Andrò con Oronzo a Miami. Lui ha accettato un lavoro per… — Mi guarda. — Non importa perché. Andrò con lui.
— E il tuo lavoro qui?
— Ho deciso di riprovarci.
— Ma è sposato! E ha dei figli!
— Divorzierà da sua moglie.
— Non lo farà mai. Ti sta mentendo.
Il suo sguardo si fa feroce. — Che ne sai tu? Nemmeno lo conosci!
Sospiro irritato, abbasso lo sguardo sui miei piedi. — Una volta che sarai lì, che farai?
— Troverò un lavoro. Conosco bene l’inglese.
— Sarai da sola.
— Smettila di darmi contro. Dovresti essere felice per me, invece.
La guardo dritta negli occhi. — Beh, non lo sono. Per niente. Te ne vai con un tipo che ha moglie e figli in un posto che nemmeno conosci. Perché lo stai facendo? Se è perché ti do fastidio, allora non ti parlerò più. Perciò rimani qui.
Mia cugina sbuffa seccata. — Parlare con te è come parlare a un muro. Non capisci e non vuoi capire. — Si alza e va via.
— Aspetta, ho capito. Fermati.
Lei entra nella trattoria, senza guardarsi indietro.
Tiro un lungo sospiro e mi alzo. Sinceramente sono stanco anch'io. Non faccio che ripetermi tutte le volte che la incontro. Eppure mi viene spontaneo. Il fatto che ora non la vedrò più mi fa venire un nodo allo stomaco. Lancio uno sguardo alla porta della trattoria e vado via.
Il pomeriggio del giorno dopo sono nel mio appartamento. Sto guardando la TV seduto sul divano. Più che guardare, sto rimuginando. Ho il cuore che batte forte, ma non veloce. Credo sia ansia. Un'ansia acuta. Insopportabile. Qualunque cosa pensi, alla fine il mio cervello mi riporta a ieri. A mia cugina Sarah, al suo viso, alle sue labbra, ai suoi seni, ai suoi fianchi larghi. Ora come non mai desidero farci l’amore e stringerla a me.
Scuoto la testa. Sto diventando troppo sentimentale. I miei pensieri mi stanno uccidendo. Ma cosa possa fare? Mi sento impotente. Non trovo nessuna soluzione.
Bussano alla porta.
Chi può essere? La mia ex assistente? Non penso. È sparita da un po' e mi chiedo se tornerà?
Apro la porta.
Ilaria entra senza nemmeno salutare, si guarda intorno e poi guarda me. — Sei da solo?
Chiudo la porta e mi dirigo da lei. — Sì.
— La tua amichetta?
— È andata via. Non credo tornerà.
— Quindi è la figlia di Caterina Savona?
Mi acciglio confuso. — Come lo sai?
— L’ho vista l’altro giorno passare nel corridoio. Inoltre, in ufficio tutti parlano di questo.
— Ah, capisco.
Ilaria si siede sul divano. — Non mi offri niente?
— Oh, certo. Ho appena fatto il caffè. Ne vuoi un po'?
— Hai del tè verde?
— Sì. Te lo preparo.
Mi sorride. Perché mi sta sorridendo? E poi perché è qui? Non era arrabbiata con me o qualcosa del genere?
Vado in cucina. Riempio una padellina d’acqua, la metto sul fornello e accendo il gas.
— Credo che Federica stia per licenziarsi — dice Ilaria dal soggiorno.
— Davvero?
— Sembra che stia passando un momentaccio. O almeno è quello che mi ha fatto intendere.
Annuisco. — È così.
— Quindi tu sai tutto?
— Un po'.
— Mi ha detto che ha alcuni problemi familiari. È così?
— Sì, in un certo senso.
— Parla chiaramente.
Spengo il gas, verso l'acqua bollente nella tazza con la bustina di tè verde dentro e gliela porto. — Tieni.
Lei la prende. — Grazie.
Mi siedo accanto. — Beh, non so molto, — mento — ma dovresti parlarne con lei, se vuoi saperne di più.
Soffia nella tazza. — Qualcosa mi dice che tu sai qualcosa che io non so.
— Ti sbagli.
— Sarà. Ma ho questa sensazione. Comunque Caterina Savona non è una persona facile da incontrare. Mi meraviglio che tu l’abbia fatta venire persino nel tuo ufficio.
— Non l’ho invitata io. È venuta da sola.
Ilaria beve un sorso di tè. — Quindi le cose sono più serie di quel che sembrano.
— Serie? A cosa ti riferisci?
— A sua figlia. È venuta per lei?
Perspicace. È sempre stata così quando si interessa di qualcosa. — Sì, una cosa del genere.
— Ti ha minacciato di mollarla o altro?
La guardo per un attimo. — Perché sei qui?
— Quindi è così. Ti ha detto di lasciarla. Beh, prevedibile.
Sposto lo sguardo sulla TV accesa. Non rispondo.
Ilaria beve un altro sorso di tè. Abbozza un sorriso. — Cos’è? Ora mi monti il broncio?
Scuota la testa con un mezzo sorriso. Silenzio.
— Sono venuta per farti visita.
— Non per controllare che la mia ‘amichetta’ non ci fosse più?
Alza un angolo della bocca in un sorriso. — Può darsi.
— Non ti capisco. Ti arrabbi con me e poi piombi qui come se nulla fosse.
— Non sono mai stata arrabbiata con te. Solo… infastidita.
— È la stessa cosa.
— Non proprio.
La guardo. — Ora che hai visto che non c'è più, cosa intendi fare?
Solleva le spalle, beve un sorso di tè. — Niente. Cosa pensavi facessi?
— Non so. Sei imprevedibile.
Sorride. — Beh, grazie del tè. Ora devo andare.
La guardo alzarsi e andare alla porta. — Ci vediamo stasera al bar — dico.
Si volta verso di me e mi guarda intensamente. Uno sguardo pericoloso, capriccioso, passionale. Non parla.
— Che c'è? — domando.
Mi raggiunge con passo svelto, mi spinge sul divano e mi bacia.
— Aspet… — biascico mentre la sua lingua si infila nella mia bocca.
Ilaria continua a baciarmi. Le metto una mano sul sedere e con l’altra la stringo a me. Sento le sue tette pressate contro il mio petto. Ci baciamo per un po’, poi mi solleva la maglietta e mi abbassa pantaloni e mutande. Io faccio la stessa con lei.
Si china sul mio pene e comincia a leccarlo. La sua lingua si muove attorno al mio glande, scende giù lungo l’asta e risale. Poi se lo mette in bocca. Sento lo schiocco della saliva mentre fa su e giù con la bocca. Sto per venire, ma lei allontana le labbra.
Ci guardiamo per un attimo.
Ilaria si mette a cavalcioni su di me, si fa scivolare il mio pene dentro la sua vagina e abbassa il busto verso di me. Mi fissa negli occhi. — Ti odio…
— Cosa?
— Sta zitto!
— Cos’hai detto?
Mi tappa la bocca con una mano e comincia a muovere il bacino sul mio inguine. Sento il suo liquido colare lungo i miei genitali, il suo respiro corto accanto al mio orecchio, il suo corpo caldo, i suoi capezzoli pressati sul mio petto.
La ingabbio in un abbraccio, tolgo la mano dalla mia bocca e la bacio. Lei mi infila la lingua, mi morde il labbro e mi accarezza la testa. Mollo uno schiaffo sul suo sedere.
— Ahia! — dice lei arrabbiata.
— Scusa, mi sono… lasciato trasportare.
— Cretino!
La stringo più forte a me. — Questo ti piace?
Non risponde. Torna a baciarmi, a muoversi con più vigore sopra di me.
Le vengo dentro.
Ilaria continua per un po’, poi si ferma con le gambe tremanti e mi guarda con la faccia sfatta. — Voglio davvero lasciarmi andare, ma…
— Ma?
Scende da sopra di me e si siede sul divano. — Credo di amarti più di quanto tu ami me.
— Anch’io ti amo. Per questo…
— Non sono l’unica. Non posso… Non voglio questo.
— Mettiamoci insieme.
Si volta a guardarmi con uno sbuffo frustrato. — Come fai a farla così facile? Non lo vedi? Usi queste parole… Dici queste cose, ma… non le pensi. Non davvero.
— Allora cosa devo fare per fartelo capire?
— Niente. So che è così. Ti conosco da troppi anni… Anche se ci mettiamo insieme, tu penserai ancora a tua cugina. Finché c’è lei… — Si interrompe e si alza. — Mi sembra di girare in tondo. Sono stanca…
L’afferro per il polso e la faccio sedere di nuovo accanto a me. — Proviamoci. Mettiamoci insieme. Vediamo come va.
Il suo sguardo si fa duro. — Tu proprio non capisci! Se ci mettiamo insieme… Noi… Non possiamo! Rovineremo tutto! E io… non voglio.
— Ma perché dici così? Non puoi saperlo. Anzi, può essere che… Voglio dire, può andare tutto bene, no?
Ilaria alza un sopracciglio. — Tutto bene? Deve essere perfetto, non bene! Lo vedi che nemmeno ci stai pensando seriamente!
Sbuffo seccato. — Senti, io…
— Lascia perdere. — Si alza.
La prendo di nuovo per il polso e la rifaccio sedere. — No che non lascio perdere. Tu sei importante per me. Ti amo! Come te lo devo far capire?
Mi fissa dritto negli occhi. — Mi ami tanto da lasciar perdere tua cugina?
Non rispondo.
— Lo vedi? — dice irata. — Siamo sempre punto a capo. Mi sono stancata. Davvero! — Trattiene le lacrime, gli occhi rossi. — Tu mi stai uccidendo! Starti accanto… mi fa male — Sospira esausta e scoppia a piangere.
Abbasso lo sguardo abbattuto. — Mi dispiace…
Scuote la testa e mi molla uno spintone. — Ti odio! — Mi martella il braccio di schiaffi. — Non sai quanto ti odio! Mi fa comportare come una bambina. Ti odio!
La tiro a me e l’abbraccio forte.
Lei cerca di divincolarsi senza troppa convinzione. — Lasciami andare! Lasciami!
Rafforzo la presa. Lei si lascia andare in un pianto disperato, le spalle che sussultano per i singhiozzi.
La amo. Davvero. Ma amo anche mia cugina. Forse dovrei lasciare andare Sarah e restare con Ilaria. Lei ha bisogno di me e io di lei.
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