Mia cugina: Parte 17

di
genere
incesti

Verso sera sono al bar a bere con i soliti amici. C'è parecchia confusione. La musica house attutisce quasi ogni rumore.
Guardo Ilaria. Sta bevendo molto. Non è da lei. Evita di guardarmi e si limita ad ascoltare. Poi il nostro amico parte con la solita lagna della sua ex. Ilaria se ne va in bagno
Esco fuori a prendere una boccata d’aria fresca, la gente sparsa in gruppetti che entra ed esce dal locale.
Scorgo l’ex di Ilaria in compagnia della donna dell’altra volta. Stanno venendo verso l'ingresso del bar. Lui tiene il braccio sulla spalla di lei. Sembrano allegri. Mi superano ed entrano nel locale.
Non penso che Ilaria ne risentirà. Anzi, lei stessa mi ha detto che si è rifiutata di tornarci insieme. Eppure l’altra volta li ho visti uscire insieme dal bar. Forse stavano tornando a casa insieme. Non lo so. Non m'interessa.
Rientro dentro e raggiungo i miei amici. Ilaria dorme seduta con la nuca contro il muro, la bocca semiaperta. Non la disturbo. Nessuno lo fa.
La serata prosegue tra alcol e parole senza senso. Alla fine i miei amici vanno via. Il locale si svuota un po’. Ilaria si è svegliata poco prima e fissa il vuoto.
— Ti porto a casa — dico.
Sposto lo sguardo su di me per un momento e torna a fissare il nulla.
— Hai sentito?
— Lasciami in pace.
— Hai bevuto troppo.
— Anche tu.
— Prendiamo un uber.
— Vattene. Sto bene da sola.
La prendo per un braccio.
Lei scaccia la mia mano in modo brusco. — Vuoi lasciarmi in pace!?
— Fatti accompagnare e ti lascerò in pace.
Mi riguarda, ma in malo modo. — Ok. Andiamo. — Si alza e cade in avanti.
La prendo al volo. — Stai attenta.
— Stai attento tu…
— Sì, certo. Ora andiamo.
Mi prende sottobraccio. — Ti odio…
Fingo di non sentire. Mi faccio spazio tra la gente e la conduco fuori dal bar.
Ilaria osserva il suo ex e la donna che limonano su una panchina. — Che stupida… Non sa cosa le aspetta…
Prendo il cellulare dalla tasca dei pantaloni e chiamo un uber.
Ilaria si siede su uno scalino di una casa, i lunghi capelli scompigliati tirati sul viso sfatto. — Perché?
La guardo. Non rispondo.
Sollevo lo sguardo su di me, un occhio che spunta da dietro il groviglio di capelli. — Rispondi… Perché?
— A cosa devo rispondere?
— Perché penso ancora a te?
— Beh… non lo so.
— Devi dirmi perché?
Abbasso gli occhi. — Se pensi ancora a me, perché sei scappata quando ti ho detto ti amo?
— Tu non mi ami.
— Ti sbagli.
— Se mi amassi davvero, ora staremmo insieme. Invece mi hai rifiutata.
— Non è così. Sei tu che…
L'uber si ferma sul ciglio della strada.
Allungo una mano a Ilaria per aiutarla ad alzarsi. — Andiamo.
Lei si alza da sola.
Ci dirigiamo verso l'auto e saliamo sui sedili posteriori. L'autista parte.
Guardo fuori dal finestrino gli edifici e le persone scorrermi davanti. Le luci dei negozi e dei lampioni.
Poco dopo arriviamo davanti alla villa di Ilaria, scendiamo e il veicolo riparte. La sua villa è enorme. Una fila di alberi corre lungo il muretto che la cinge. Dentro non so com’è. Non ci sono mai entrato.
Prendo il braccio di Ilaria. — Ti accompagno dentro.
Il cancello pedonale si apre. Un uomo della sicurezza la guarda fermo sulla soglia. — Signorina Neri le serve aiuto?
Lei toglie la mia mano dal suo braccio e varca il cancello pedonale con passo barcollante. L’uomo della sicurezza mi lancia un’occhiata, entra dentro e chiude il cancello pedonale alle sue spalle.
Resto fermo per un po', poi mi allontano. Non so cosa pensare. Ilaria dice di amarmi, ma mi evita. Come devo interpretarlo?

Il giorno dopo, mentre sono in ufficio, una signora sulla cinquantina, alta, slanciata e con il viso molto simile alla mia ex assistente entra nel mio ufficio. Si siede sul divano e mi osserva incuriosita.
Le lancio uno sguardo perplesso. Perché si è seduta lì, invece che davanti alla mia scrivania? Inoltre, ha un viso familiare. Forse l’ho già vista da qualche parte.
Mi alzo e la raggiungo. — Salve, sono…
— So già il suo nome — risponde lei con tono piatto.
— Ah, capisco. Quindi…
— Si sieda. Bene. Vado dritto al punto. Lasci mia figlia.
— Sua figlia…
— Lei sì sta approfittando di mia figlia. Se non mette fine a…
— Non è così. Anzi, è il contrario. È sua figlia che…
— Non mi menta — dice lei con espressione apatica. — Voglio che la lasci stare. Se non lo farà, sarò costretto a ricorrere a soluzioni più dirette.
Piego il busto in avanti. — Le sto dicendo la verità. Ho cercato di farla andare via, ma non ne vuole sapere. Sinceramente non so cosa fare.
La signora Savona mi fissa per un istante. Non mi crede. Pesca una busta dalla sua borsetta e la posa sul tavolo. — La apra.
Osservo la busta turbato. — Cosa c'è dentro?
— La apra.
Prendo la busta, la apro. Sbarro gli occhi. — Queste…
— Sono le foto di lei e sua cugina mentre vi date alla pazza gioia. E sotto ci sono le foto di lei e Ilaria. Entrambe le foto sono compromettenti. Quindi la smetta con le chiacchiere e faccia come le ho detto.
Fisso le foto. Se dovessero essere rese pubbliche, sarà la fine per tutti e tre. Ilaria perderebbe il posto da vicepresidente. Mia cugina Sarah il lavoro all’azienda vinicola. E io qui.
La signora Savona si alza. — Non volevo arrivare a tanto, ma non mi ha dato scelta. Faccia come le ho detto e non ci saranno ripercussioni.
— Aspetti. Le ho detto la verità. Sua figlia non se ne andrà mai dal mio appartamento. Prova una specie di amore tossico nei miei confronti. E sinceramente non so cosa fare.
Mi scruta per un momento con aria indagatoria. — Non so se lei mi stia prendendo in giro oppure no. Ma voglio crederle, perciò mi porti da mia figlia. Me ne occuperò io, visto che lei non ne è capace.
Già, non ne sono capace. Mi alzo. — Aspetti un momento. Avviso la mia assistente. — Esco dall’ufficio e vado nella sala relax.
Federica mi guarda seduta, il caffè in mano. Ha ancora lo sguardo abbattuto. — Sì?
— Mi assenterò per circa un’ora. Tu puoi restare qui.
— Preferirei tornare al lavoro.
— Va bene, ma fai con calma — dico. E ritorno nel mio ufficio. Guardo la signora Savona. — Possiamo andare.
Mezz’ora dopo siamo davanti alla porta del mio appartamento. Per tutto il viaggio non ci siamo parlarti e il silenzio era davvero insopportabile. La apro ed entriamo. La mia ex assistente non c'è.
— Prego, si sieda — dico.
Lei si siede sul divano, si guarda intorno un po' disgustata. — Quindi è qui che è stata mia figlia per tutto il tempo.
— Le offro qualcosa? Un caffè o un tè?
— Dov’è mia figlia?
— Non saprei. Oggi non andava all’università, quindi non so dove…
La porta si apre.
La mia ex assistente sbianca in volto, fissa la madre. — Che ci fai qui?!
Lei scatta in piedi e le va incontro. — Ora te ne torni a casa. La vacanza è finita. — L’afferra per il polso. — Andiamo.
Sua figlia si divincola dalla presa, corre da me e si mette alle mie spalle. — Non ci vengo con te. Io vivo qui, ormai. Sto insieme a Tommaso. — Mi guarda. — Diglielo. Digli che stiamo insieme.
Sposto lo sguardo sulla signora Savona. Lei mi sta fulminando con gli occhi. Distolgo lo sguardo. — Ecco… io…
La mia ex assistente affonda le dita nella mia giacca. — Diglielo! Digli che stiamo insieme! Perché non glielo dici?!
— Vieni qui! — dice sua madre con occhi severi. — Non farmelo ripetere!
— No! Io resto qui. Io lo amo. E lui mi ama. Lasciaci in pace.
Faccio un passo in avanti e mi volto a guardarla. — Il tuo posto non è qui. Io non ti amo. Devi andare con tua madre.
La mia ex assistente mi guarda con sguardo da psicopatica. — Stai mentendo. Non è vero. Tu mi ami! Siamo fatti per stare insieme!
Abbasso lo sguardo. Non rispondo.
— Basta così! — dice la madre. Si dirige con passo veloce e deciso verso sua figlia, la prende per un polso e la porta fuori dall'appartamento. Lei non oppone resistenza.
Resto fermo a guardare la porta chiusa per un po'. L’appartamento sembra essere diventato di colpo troppo vuoto. Troppo grande.
scritto il
2025-06-05
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