La partita
di
Petulka
genere
incesti
Petra avanzò con passo deciso lungo il corridoio umido dello stadio, l’eco delle grida dei tifosi ancora vibrante nelle orecchie. Il suo tubino nero aderiva alla pelle come una seconda epidermide, il raso lucido che rifletteva la luce fioca dei neon sopra di lei. I capelli biondi, raccolti in uno chignon disordinato, lasciavano sfuggire ciocche ribelli che ondeggiavano a ogni movimento. Quando spinse la porta degli spogliatoi, un’ondata di vapore le si parò davanti, avvolta nell’odore pungente di sudore, muschio e sapone antibatterico.
Gli uomini si voltarono all’unisono. Un difensore, i muscoli ancora lucidi d’acqua dopo la doccia, lasciò cadere il telo a terra, il cazzo semieretto che pulsava al ritmo del suo respiro affannoso. «Cazzo, sembra una pornostar», sibilò tra i denti, le nocche delle mani sbiancate intorno alla bottiglia di birra che stringeva. Il portiere, seduto su una panca con le gambe divaricate, fece scivolare lo sguardo dalla scollatura profonda fino alle cosce scoperte dalle autoreggenti, la punta della lingua che inumidiva le labbra.
«Mamma!». Suo figlio, il volto arrossato dalla vittoria, si alzò in piedi, l’asciugamano che non nascondeva l’erezione improvvisa. Petra gli sorrise, ma il suo sguardo incrociò quello del centrocampista, che avanzava verso di lei con un bicchiere di whisky in mano. «Tuo figlio ha il talento del padre, ma…», il tono si fece roco, «…tu hai un culo stellare». Le sue dita, callose per gli allenamenti, si insinuarono sotto la stoffa del vestito, premendo sulle natiche sode.
Petra si inumidì le labbra, il cuore che batteva all’impazzata mentre il portiere le si avvicinava da dietro, le mani che le circondavano la vita per attirarla a sé. Il calore del suo corpo si tramutò in un brivido quando sentì la punta del cazzo premere contro la schiena. «Tuo figlio non è l’unico che ha segnato oggi», sussurrò, la voce una promessa oscena.
Fu il difensore a strapparle il vestito, i bottoni che schizzarono via come proiettili. Il reggiseno di pizzo si disintegrò tra le sue mani, i seni liberati che ondeggiarono al ritmo del respiro affrettato. Una bocca si chiuse su un capezzolo, i denti che lo mordicchiavano fino a farla gemere, mentre un’altra lingua tracciava un sentiero bollente lungo il collo. Le mani si moltiplicavano, strizzando, pizzicando, accarezzando. Petra non sapeva più dove finiva lei e iniziavano loro.
Qualcuno le piegò le ginocchia, costringendola a inginocchiarsi davanti al portiere. Il suo cazzo, enorme e pulsante, le si infilò in gola senza preavviso. Deglutì a fatica, il naso che affondava nei peli pubici, mentre una mano le spingeva la testa in avanti. «Succhialo bene, troia», ringhiò, le dita che le stringevano i capelli. Nello stesso momento, un dito, poi due, le entrarono nella fica, ruotando, scavando, fino a quando non fu zuppa e urlante.
Il difensore la prese per i fianchi, la penetrò entrandogli nella fica con un colpo solo, il cazzo che si apriva un varco tra le labbra vaginali gonfie. «Cazzo, è stretta come una vergine», ansimò, affondando fino alle palle. Petra si sentiva dilaniata, invasa, viva. Le mani del centrocampista le aprirono le natiche, il cazzo che scorreva tra le pieghe del culo, la punta che cercava l’anello stretto dell’ano. «Vuoi prenderlo qui, vero?», le sussurrò all’orecchio, il fiato caldo che si mescolava al suo. «Di’ sì».
«Sì!», urlò, la parola soffocata dal cazzo ancora in bocca. La pressione aumentò, il dolore acuto che si trasformò in piacere quando la penetrò fino in fondo. Tre cazzi dentro di lei, che la spaccavano, che la riempivano, che la facevano sentire regina di quel caos. Il portiere le afferrò i polsi, inchiodandola al pavimento mentre pompava più forte, il glande che strofinava il clitoride a ogni spinta.
«Sto per sborrare!», ringhiò il difensore, i testicoli che sbattevano contro la sua fica, le mani che le stringevano i seni fino a farle male. lo sperma bollente le invase la fica, spargendosi tra le pieghe, mentre il centrocampista accelerava il ritmo nel culo, le palle che tremavano. «Glielo riempio tutto, cazzo», urlò, riversandosi dentro di lei a scaglie bollenti.
Petra sentì l’orgasmo esplodere come un vulcano, le pareti vaginali che si contraevano intorno al cazzo del portiere, lo squirt che inzuppava le piastrelle sotto di lei. «Sì, vengoooooo!», urlò, il corpo che si inarcava, i seni che sbattevano contro il petto sudato del difensore.
Petra si sentiva come una preda circondata da lupi, il corpo teso in attesa del prossimo morso. Era il turno del portiere, con le vene del collo rigonfie, aumentò il ritmo delle spinte, il glande che raspava il punto più sensibile della sua vagina. «Sto per venire, troia», ringhiò, affondando le unghie nei suoi fianchi. Petra lo sentì irrigidirsi, il cazzo che pulsava come un cuore impazzito prima di esplodere dentro di lei, lo sperma che schizzava a ondate bollenti. «Cazzo, sì!», urlò, inarcandosi, la fica che si contraeva intorno al cazzo ancora eretto.
Il centrocampista, con il respiro affannoso, le strappò di bocca il cazzo di un suo compagno e ci infilò il suo, spingendole la testa all’indietro. «Mangialo tutto, troia», ordinò, pompando con foga. Petra lo prese fino in gola, la gola che si contraeva mentre lo sperma le inondava la lingua. Lui venne con un grido roco, il corpo scosso da spasmi, estraendosi appena in tempo per non soffocarla.
Ma non c’era tregua. Il difensore, il tatuaggio sul bicipite che si contraeva a ogni movimento, la sollevò di peso e la girò, inchiodandola con la schiena contro il muro. «Ora ti scopo il culo come si deve», sibilò, infilandole due dita nell’ano per prepararla. Petra gemette, sentendo il cazzo grosso e caldo sostituirsi alle dita. Quando la penetrò, il dolore si trasformò in un piacere selvaggio, un’altra ondata di orgasmo che le esplose nelle viscere. «Succhialo», ordinò a qualcuno alle sue spalle. Un altro giocatore, il viso giovane e gli occhi lucidi di desiderio, si inginocchiò davanti a lei, il cazzo che pulsava contro le sue labbra. Petra lo prese in bocca, sentendo il sapore muschiato mescolarsi al sangue del labbro che si era morsa.
I compagni si davano il cambio con una precisione crudele: uno la teneva ferma per i capelli mentre un altro le riempiva la fica, un terzo le piantava il cazzo nel culo, un quarto le schizzava lo sperma in faccia. Petra perdeva il conto delle penetrazioni, dei gemiti, degli orgasmi. Ogni volta che pensava di non poterne più, un nuovo cazzo le entrava dentro, una nuova bocca le mordicchiava i capezzoli, una nuova lingua le leccava il clitoride gonfio.
«Fatevi da parte», tuonò una voca profonda. Era il capitano della squadra, un uomo maturo con un fisico da gladiatore e un cazzo lungo e grosso come un bratwurst. «Questa è roba seria», disse, spingendola a terra. Le allargò le gambe con forza, le dita che si piantavano nei muscoli interni delle cosce. «Apri bene», ordinò, e con una spinta decisa le infilò il cazzo fino alle palle. Petra urlò, il corpo che si inarcava come un arco teso, l’orgasmo che la squassava con violenza, lo squirt che bagnò il pavimento intorno a loro. Il capitano pompò con furia, il sudore che gli colava dal mento sul petto di lei. «Sto per riempirti tutta, troia», ansimò, il viso che si contraeva in una smorfia. Il cazzo pulsò, e lo sperma le inondò l’utero, caldo e abbondante.
Ma non era finita. I compagni, ancora eccitati, si avvicinarono di nuovo, pronti a sostituirsi. Petra, ormai in delirio, sentiva di essere diventata un oggetto, un tempio di piacere da profanare. Il portiere le afferrò i polsi, inchiodandola al pavimento, mentre il centrocampista le spalancava la bocca e ci infilava il cazzo semi-eretto. «Succhialo, troia, fammi diventare duro di nuovo», sibilò. E lei lo fece, con foga, la lingua che ruotava intorno al glande, i denti che graffiavano appena. Quando lui fu di nuovo duro, il difensore lo sostituì, spingendole il cazzo in gola fino a farla vomitare.
Nel frattempo, il figlio, in disparte, si masturbava furiosamente, il cazzo che pulsava al ritmo dei gemiti della madre. I compagni, accorgendosene, si scambiarono un’occhiata complice. «Tocca a lui», disse il capitano, asciugandosi il sudore dalla fronte. Quattro mani sollevarono Petra, tenendola in piedi, le gambe tremanti. Il figlio, esitante, si avvicinò, il cazzo che oscillava tra loro. «Prendila tu, adesso», lo incitò il portiere, spingendolo verso di lei.
Petra, con gli occhi annebbiati dal piacere, lo vide avvicinarsi. «Vieni qui, tesoro», sussurrò, allungando una mano per accarezzargli il viso. Lui esitò, lo sguardo che cercava il suo. «Fallo», lo incoraggiò, «prendimi come loro».
Il figlio si inginocchiò dietro di lei, il cazzo che scivolava nella sua fica bagnatissima tra le sue secrezioni e le sborrate dei suoi compagni. Quando la penetrò, Petra gemette, sentendo la differenza: non la furia dei giocatori, ma una dolcezza struggente. «Bravo, tesoro», lo incitò, spingendo il culo incontro alle sue spinte. «Prendi tua madre».
I compagni, intorno a loro, applaudivano, incitandolo. «Più forte!», gridò il difensore. «Falle sentire chi sei!». Il figlio, eccitato dall’approvazione, aumentò il ritmo, le mani che si aggrappavano ai fianchi. Petra sentì montare un altro orgasmo, diverso dagli altri: più lento, più profondo, come un’onda che la trascinava via. «Sì, vieni dentro di me», ansimò, il corpo che si contraeva intorno a lui. Il figlio urlò, il cazzo che si irrigidiva prima di esplodere, il seme che si mescolava a quello dei compagni.
Quando crollò su di lei, Petra lo abbracciò, le labbra che cercavano le sue. «Sei stato fantastico», sussurrò, il sangue che pulsava ancora nelle orecchie. Fuori, il sole tramontava, ma dentro gli spogliatoi, il calore non si sarebbe mai spento.
Gli uomini si voltarono all’unisono. Un difensore, i muscoli ancora lucidi d’acqua dopo la doccia, lasciò cadere il telo a terra, il cazzo semieretto che pulsava al ritmo del suo respiro affannoso. «Cazzo, sembra una pornostar», sibilò tra i denti, le nocche delle mani sbiancate intorno alla bottiglia di birra che stringeva. Il portiere, seduto su una panca con le gambe divaricate, fece scivolare lo sguardo dalla scollatura profonda fino alle cosce scoperte dalle autoreggenti, la punta della lingua che inumidiva le labbra.
«Mamma!». Suo figlio, il volto arrossato dalla vittoria, si alzò in piedi, l’asciugamano che non nascondeva l’erezione improvvisa. Petra gli sorrise, ma il suo sguardo incrociò quello del centrocampista, che avanzava verso di lei con un bicchiere di whisky in mano. «Tuo figlio ha il talento del padre, ma…», il tono si fece roco, «…tu hai un culo stellare». Le sue dita, callose per gli allenamenti, si insinuarono sotto la stoffa del vestito, premendo sulle natiche sode.
Petra si inumidì le labbra, il cuore che batteva all’impazzata mentre il portiere le si avvicinava da dietro, le mani che le circondavano la vita per attirarla a sé. Il calore del suo corpo si tramutò in un brivido quando sentì la punta del cazzo premere contro la schiena. «Tuo figlio non è l’unico che ha segnato oggi», sussurrò, la voce una promessa oscena.
Fu il difensore a strapparle il vestito, i bottoni che schizzarono via come proiettili. Il reggiseno di pizzo si disintegrò tra le sue mani, i seni liberati che ondeggiarono al ritmo del respiro affrettato. Una bocca si chiuse su un capezzolo, i denti che lo mordicchiavano fino a farla gemere, mentre un’altra lingua tracciava un sentiero bollente lungo il collo. Le mani si moltiplicavano, strizzando, pizzicando, accarezzando. Petra non sapeva più dove finiva lei e iniziavano loro.
Qualcuno le piegò le ginocchia, costringendola a inginocchiarsi davanti al portiere. Il suo cazzo, enorme e pulsante, le si infilò in gola senza preavviso. Deglutì a fatica, il naso che affondava nei peli pubici, mentre una mano le spingeva la testa in avanti. «Succhialo bene, troia», ringhiò, le dita che le stringevano i capelli. Nello stesso momento, un dito, poi due, le entrarono nella fica, ruotando, scavando, fino a quando non fu zuppa e urlante.
Il difensore la prese per i fianchi, la penetrò entrandogli nella fica con un colpo solo, il cazzo che si apriva un varco tra le labbra vaginali gonfie. «Cazzo, è stretta come una vergine», ansimò, affondando fino alle palle. Petra si sentiva dilaniata, invasa, viva. Le mani del centrocampista le aprirono le natiche, il cazzo che scorreva tra le pieghe del culo, la punta che cercava l’anello stretto dell’ano. «Vuoi prenderlo qui, vero?», le sussurrò all’orecchio, il fiato caldo che si mescolava al suo. «Di’ sì».
«Sì!», urlò, la parola soffocata dal cazzo ancora in bocca. La pressione aumentò, il dolore acuto che si trasformò in piacere quando la penetrò fino in fondo. Tre cazzi dentro di lei, che la spaccavano, che la riempivano, che la facevano sentire regina di quel caos. Il portiere le afferrò i polsi, inchiodandola al pavimento mentre pompava più forte, il glande che strofinava il clitoride a ogni spinta.
«Sto per sborrare!», ringhiò il difensore, i testicoli che sbattevano contro la sua fica, le mani che le stringevano i seni fino a farle male. lo sperma bollente le invase la fica, spargendosi tra le pieghe, mentre il centrocampista accelerava il ritmo nel culo, le palle che tremavano. «Glielo riempio tutto, cazzo», urlò, riversandosi dentro di lei a scaglie bollenti.
Petra sentì l’orgasmo esplodere come un vulcano, le pareti vaginali che si contraevano intorno al cazzo del portiere, lo squirt che inzuppava le piastrelle sotto di lei. «Sì, vengoooooo!», urlò, il corpo che si inarcava, i seni che sbattevano contro il petto sudato del difensore.
Petra si sentiva come una preda circondata da lupi, il corpo teso in attesa del prossimo morso. Era il turno del portiere, con le vene del collo rigonfie, aumentò il ritmo delle spinte, il glande che raspava il punto più sensibile della sua vagina. «Sto per venire, troia», ringhiò, affondando le unghie nei suoi fianchi. Petra lo sentì irrigidirsi, il cazzo che pulsava come un cuore impazzito prima di esplodere dentro di lei, lo sperma che schizzava a ondate bollenti. «Cazzo, sì!», urlò, inarcandosi, la fica che si contraeva intorno al cazzo ancora eretto.
Il centrocampista, con il respiro affannoso, le strappò di bocca il cazzo di un suo compagno e ci infilò il suo, spingendole la testa all’indietro. «Mangialo tutto, troia», ordinò, pompando con foga. Petra lo prese fino in gola, la gola che si contraeva mentre lo sperma le inondava la lingua. Lui venne con un grido roco, il corpo scosso da spasmi, estraendosi appena in tempo per non soffocarla.
Ma non c’era tregua. Il difensore, il tatuaggio sul bicipite che si contraeva a ogni movimento, la sollevò di peso e la girò, inchiodandola con la schiena contro il muro. «Ora ti scopo il culo come si deve», sibilò, infilandole due dita nell’ano per prepararla. Petra gemette, sentendo il cazzo grosso e caldo sostituirsi alle dita. Quando la penetrò, il dolore si trasformò in un piacere selvaggio, un’altra ondata di orgasmo che le esplose nelle viscere. «Succhialo», ordinò a qualcuno alle sue spalle. Un altro giocatore, il viso giovane e gli occhi lucidi di desiderio, si inginocchiò davanti a lei, il cazzo che pulsava contro le sue labbra. Petra lo prese in bocca, sentendo il sapore muschiato mescolarsi al sangue del labbro che si era morsa.
I compagni si davano il cambio con una precisione crudele: uno la teneva ferma per i capelli mentre un altro le riempiva la fica, un terzo le piantava il cazzo nel culo, un quarto le schizzava lo sperma in faccia. Petra perdeva il conto delle penetrazioni, dei gemiti, degli orgasmi. Ogni volta che pensava di non poterne più, un nuovo cazzo le entrava dentro, una nuova bocca le mordicchiava i capezzoli, una nuova lingua le leccava il clitoride gonfio.
«Fatevi da parte», tuonò una voca profonda. Era il capitano della squadra, un uomo maturo con un fisico da gladiatore e un cazzo lungo e grosso come un bratwurst. «Questa è roba seria», disse, spingendola a terra. Le allargò le gambe con forza, le dita che si piantavano nei muscoli interni delle cosce. «Apri bene», ordinò, e con una spinta decisa le infilò il cazzo fino alle palle. Petra urlò, il corpo che si inarcava come un arco teso, l’orgasmo che la squassava con violenza, lo squirt che bagnò il pavimento intorno a loro. Il capitano pompò con furia, il sudore che gli colava dal mento sul petto di lei. «Sto per riempirti tutta, troia», ansimò, il viso che si contraeva in una smorfia. Il cazzo pulsò, e lo sperma le inondò l’utero, caldo e abbondante.
Ma non era finita. I compagni, ancora eccitati, si avvicinarono di nuovo, pronti a sostituirsi. Petra, ormai in delirio, sentiva di essere diventata un oggetto, un tempio di piacere da profanare. Il portiere le afferrò i polsi, inchiodandola al pavimento, mentre il centrocampista le spalancava la bocca e ci infilava il cazzo semi-eretto. «Succhialo, troia, fammi diventare duro di nuovo», sibilò. E lei lo fece, con foga, la lingua che ruotava intorno al glande, i denti che graffiavano appena. Quando lui fu di nuovo duro, il difensore lo sostituì, spingendole il cazzo in gola fino a farla vomitare.
Nel frattempo, il figlio, in disparte, si masturbava furiosamente, il cazzo che pulsava al ritmo dei gemiti della madre. I compagni, accorgendosene, si scambiarono un’occhiata complice. «Tocca a lui», disse il capitano, asciugandosi il sudore dalla fronte. Quattro mani sollevarono Petra, tenendola in piedi, le gambe tremanti. Il figlio, esitante, si avvicinò, il cazzo che oscillava tra loro. «Prendila tu, adesso», lo incitò il portiere, spingendolo verso di lei.
Petra, con gli occhi annebbiati dal piacere, lo vide avvicinarsi. «Vieni qui, tesoro», sussurrò, allungando una mano per accarezzargli il viso. Lui esitò, lo sguardo che cercava il suo. «Fallo», lo incoraggiò, «prendimi come loro».
Il figlio si inginocchiò dietro di lei, il cazzo che scivolava nella sua fica bagnatissima tra le sue secrezioni e le sborrate dei suoi compagni. Quando la penetrò, Petra gemette, sentendo la differenza: non la furia dei giocatori, ma una dolcezza struggente. «Bravo, tesoro», lo incitò, spingendo il culo incontro alle sue spinte. «Prendi tua madre».
I compagni, intorno a loro, applaudivano, incitandolo. «Più forte!», gridò il difensore. «Falle sentire chi sei!». Il figlio, eccitato dall’approvazione, aumentò il ritmo, le mani che si aggrappavano ai fianchi. Petra sentì montare un altro orgasmo, diverso dagli altri: più lento, più profondo, come un’onda che la trascinava via. «Sì, vieni dentro di me», ansimò, il corpo che si contraeva intorno a lui. Il figlio urlò, il cazzo che si irrigidiva prima di esplodere, il seme che si mescolava a quello dei compagni.
Quando crollò su di lei, Petra lo abbracciò, le labbra che cercavano le sue. «Sei stato fantastico», sussurrò, il sangue che pulsava ancora nelle orecchie. Fuori, il sole tramontava, ma dentro gli spogliatoi, il calore non si sarebbe mai spento.
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