#1 “Il sapore osceno” Confessioni di una rispettabile troia.

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Il sole di giugno inondava il mercato rionale con una luce dorata, liquida, che si insinuava tra i banchi. L’aria era densa del bouchet di profumi maturi: basilico, melone, formaggio stagionato, salumi e quel sentore acre e terroso delle verdure appena colte. La cacofonia delle voci aveva come sfondo il borbottio dei veicoli. Liliana camminava lentamente, il vestitino a fiori leggero che le accarezzava le gambe abbronzate. I capelli raccolti con eleganza lasciavano scoperto il collo, dove scivolavano gocce minuscole di sudore. Era una casalinga piena di interessi che spaziavano dalle attività sociali a quelle culturali; una bella donna, ancora piena di fascino a sessant’anni, e lo sapeva. Non ci contava, ma capiva quando uno sguardo si posava con troppa insistenza e lo gradiva.
Luciano, colpito dall’aspetto della donna, si era fermato a pochi passi da lei, il sole negli occhi e un mezzo sorriso sul volto. Osservò il cetriolo che Liliana stava valutando con attenzione, poi le lanciò un'occhiata maliziosa.
— Vedo che le piacciono quelli grossi, belli tosti.
Liliana sollevò gli occhi. In un’altra circostanza avrebbe ignorato una battuta simile. Ma ora sorrise, benevolmente complice.
— Serve una buona consistenza, in effetti.
— Scelta interessante, — con voce bassa, — ma sono un appassionato di pesche. Vellutate, morbide, dolci... specie se mature. Liliana sollevò appena un sopracciglio, incuriosita. Il doppio senso non era certo velato e tanto meno raffinato, tuttavia non si sottrasse a quella schermaglia. Si girò verso di lui, tenendo ancora il cetriolo tra le mani.
— Le pesche, eh? — rispose, quasi distrattamente. — Eppure anche il cetriolo ha un suo fascino. Massiccio, deciso.
Luciano sorrise, inclinando leggermente il capo.
— Certo, certo. Ma vede… il meglio è quando pesca e cetriolo si incontrano. Sa…per creare un equilibrio. Liliana rise piano, colpita più dal tono che dalle parole. C’era un’ironia, non ricercata, ma che tuttavia non sfociava nella volgarità becera. Gli occhi di lui non la lasciavano.
— Interessante teoria. — ribatté rilassata. — E secondo lei… dovrebbero incontrarsi qui, tra i banchi del mercato?
Luciano fece un gesto con la mano, come a indicare l’inadeguatezza di quel luogo.
— Oh, no. Per certe combinazioni ci vuole il tempo opportuno e un luogo adeguato.
— Apparterrei quindi alla categoria delle pesche? — chiese con finta ingenuità, il tono caldo, il sorriso a metà.
Luciano serrò le distanze, calmo. Le sue parole erano un sussurro tra il brusio del mercato.
— Vellutata fuori, succosa dentro. Profumata… sì, direi, e a buon diritto.
Liliana finse uno sguardo di rimprovero, ma c'era una luce divertita nei suoi occhi.
— E, immagino, lei sarebbe cetriolo? — chiese sollevando l’ortaggio e rigirandolo lentamente, le dita eleganti che indugiavano sul nodo più pronunciato.
Luciano rise, basso.
— Beh…non lo troverà mai in frigo, tutto freddo, ma piuttosto, ardente e tosto.
— Curiosa lo sono, ammetto. Ma... non sono sicura…temo che la stagione delle pesche volga al termine per me.
Luciano non si scompose. Inclinò la testa, sorridendo.
— Credo che un frutto maturo quando è bello, sia insuperabile nel suo sapore intenso.
Liliana lo guardò per un momento, sentì il caldo salire dal collo al viso. Il mercato continuava a girare intorno a loro, ma era come se si fossero chiusi in una bolla.
. — Lei è molto sfrontato, — disse, ma la voce non aveva tono di rimprovero. Solo un tremito.
Luciano annuì.
— Lo sono. Ma solo quando ne vale la pena. Sediamoci a prenderle un caffè.
La discussione che ne seguì fu piacevole, divertente, di curiosa morbosità, e dopo l’insistenza dell’uomo si scambiarono i numeri di telefono. Liliana mentre si dirigeva verso casa pensò fosse finita lì. Non poteva non riconoscere di essere stata lusingata dall’interesse di quell’uomo di circa vent’anni più giovane di lei; risvegliava un interesse per un aspetto della sua vita ormai relegato in un angolo. La sessualità con suo marito era ormai così insoddisfacente da viverla con fastidio. In bagno si esaminò nuda allo specchio. Dovette convenire con se stessa che non era poi male: i seni pieni e voluminosi, belle gambe e un culo ancora tonico. Certo un filo di pancia e qualche ruga rivelavano il fluire del tempo. Aveva rinunciato all’ornamento del suo bruno vello, via via un po’ sfoltito ed esibiva un inguine glabro e liscio.
La telefonata di Luciano la sorprese mentre era sulla via di casa dopo una passeggiata solitaria, il giorno successivo.
— Ciao, ti va di passare da me? Una pesca così non si può, prima o poi, non assaggiarla!
— Ehi che irruenza! — Rise divertita. — Ok, il tempo di sistemarmi. Mi preparo e son da te.
— No. Vieni subito. Ti voglio come sei. Solo con quel profumo di te che hai addosso. Una pesca al naturale.
Liliana era decisa a denudarsi nel corpo e assecondare il desiderio.
— Cinque minuti e son lì.
Liliana suonò il campanello con un nodo allo stomaco. Non era paura, era un’eccitazione che le faceva vibrare la pelle. Indossava ancora i leggings e la canotta umida di cammino. Non si era sistemata, non si era rinfrescata. Si era solo pettinata con le dita, lasciando che il desiderio facesse da profumo. Luciano aprì la porta. Aveva una camicia sbottonata sul petto e gli occhi accesi.
— Così come sei… sei perfetta.
Le prese il viso tra le mani e la baciò, l’assaggiò, la gustò. Non le disse altro. Chiuse la porta alle sue spalle e si inginocchiò davanti a lei. Si dedicò ai leggings umidi, che si aggrappavano tenacemente alle sue cosce. Li abbassò con uno strattone deciso, rivelando le gambe lucide di sudore. Per poterli rimuovere sfilò le sneaker e le tirò giù i calzini. Liliana lo guardava dall’alto, incredula e accesa. Non si fermò: la maglietta, aderente e intrisa, scivolò via in un gesto unico. Liliana restò in piedi, in reggiseno e slip sportivi, il ventre che si sollevava leggero a ogni respiro. Il profumo del corpo, vero e vissuto, riempiva l’aria. Luciano passò dietro di lei, affondando il viso tra le scapole nude. Annusò l’incavo caldo delle ascelle, sfiorandole con la punta del naso prima di posare un bacio umido. La lingua seguì, lenta, e Liliana si piegò leggermente, un brivido lungo la schiena. Poi fu la volta dell’inguine. Lì si fermò. Non lo scoprì subito. Portò il viso vicino al tessuto ancora indossato, premendovi le labbra, respirando a fondo.
— Qui c’è tutto, — sussurrò. — Sale, sole, femmina. È questo che voglio.
La spogliò del tutto, Liliana era scossa. Non tanto dall’imbarazzo, quanto da quella forma di adorazione carnale, senza filtri, che non aveva mai provato. Non si sentiva più solo “bella per la sua età”. Si sentiva viva, e propriamente desiderata.
Luciano l’adagiò sul tavolo, senza chiedere nulla. Le aprì le gambe e si inginocchiò di nuovo. Il suo viso affondò tra le cosce. Non con foga, ma teso a non perdersi nulla. Le sue labbra sfiorarono la pelle, assaporando il sudore, quel sapore misto di desiderio e cammino, come fosse il condimento perfetto. Proseguì con la lingua.
Liliana si afferrò al bordo del tavolo, la testa rovesciata all’indietro, gli occhi chiusi. Ogni movimento della bocca dell’uomo era lento, preciso, come se volesse farla sciogliere goccia dopo goccia e, quando le sue dita si unirono alla bocca, entrandole piano, lei gemette. Era un’onda lunga, un piacere che saliva da dentro, lento ma inarrestabile.
Quando lui si alzò, si tolse la maglietta e i jeans con movimenti semplici, naturali. Il suo corpo era asciutto, forte, senza ostentazione. Eretta, la sua virilità pulsava viva, quasi orgogliosa.
Liliana allungò le braccia verso di lui, lo attirò a sé e gli sussurrò fremente:
— Prendimi, fino in fondo.
E Luciano la scopò. Quando la penetrò, lo fece con un unico, violento affondo. Liliana emise un gemito profondo, non tanto di dolore — certo sentiva un po’ bruciare — quanto di pura, primordiale sorpresa per quella invasione così vigorosa di cui da tempo aveva perso memoria. C’era forza in quel gesto istintivo, animale, desiderio di riempirla, renderla sua. E lei lo accolse, come terra assetata sotto un temporale.
La carne giovane di lui premeva contro la sua, più morbida, più vissuta, esperta. Ogni spinta rimbalzava in onde che le attraversavano il ventre, le scapole, i pensieri. Liliana si sentiva invasa da quella giovinezza che non era solo fisica: era ardore, era fame, era la sfacciata bellezza di chi non conosce il limite. I seni pieni le tremavano a ogni colpo, e le mani di Luciano, larghe e forti, li afferravano con avidità, alternando carezze e strette. Le sue dita lasciavano impronte leggere sulle sue anche, segni rossi che raccontavano quella presa. La bocca di lui si abbassò poi sul suo collo, sulla spalla, sul solco tra i seni, mentre continuava a muoversi dentro di lei con vigore crescente. Liliana sentiva il suo corpo cedere e vibrare. Ogni sua parte — dal capezzolo gonfio alla gola asciutta — sembrava parlare la stessa lingua: quella dell’abbandono. Gli artigli del desiderio, salivano lungo la schiena. Aveva vissuto il sesso con suo marito, certo, ma quell’impatto tra corpi diversi, quell’essere così presa da un uomo tanto più giovane, così “duro” contro il suo essere sensualmente soffice, era qualcosa che la disarmava e la esaltava.
Lui le sollevò una gamba, poggiandola sulla spalla, affondando ancora più in profondità. Liliana urlò il suo piacere, senza più freni, mentre le pareti interne si contraevano a ondate attorno a quel membro gonfio che la possedeva senza esitazione.
— Sei incredibile… una splendida porca, — le sussurrò al limite del fiato.
— Prendimi ancora… chiavami…aprimi come una cozza. Voglio ogni goccia della tua giovinezza. Dentro di me.
Luciano aumentò il ritmo, ansimante, mentre la stanza si riempiva dell’odore dei loro corpi, del sudore, del sesso. Il legno del tavolo cigolava sotto di loro, testimone silenzioso di un incontro feroce e necessario. Un bisogno che nessuno dei due aveva previsto, ma che ora li stava trasformando.
Liliana, piegata, sfinita e trionfante, non ricordava da quanto tempo non godeva così.
Luciano la teneva aperta, stretta sotto di sé, il bacino che martellava senza tregua. Ogni colpo era più violento, più profondo, come se volesse penetrarle l’anima oltre che il corpo. I loro respiri ansimanti si confondevano, il sudore colava sulle schiene, tra le cosce, sulla pelle tesa e vibrante.
— Oooh…splendido! — ringhiò lui, affondando con forza, mentre la guardava contorcersi. — Una figa da perderci la testa, bagnata da annegarci dentro.
Liliana ansimò, il volto arrossato, la bocca semiaperta. I suoi occhi lucidi non cercavano più resistenza. Si stava lasciando andare, completamente.
— Sfondami, — sussurrò con voce roca. — Fammi sentire quanto la vuoi, questa puttana dalle grosse mammelle che spalanca le cosce per te. Ti piace la mia figa?
Il suo linguaggio era così lontano dalle riunioni delle associazioni in cui prestava il suo tempo. Luciano grugnì, abbassandosi su di lei, afferrandole i seni con forza, leccandoli, mordendoli. Le sue mani la stringevano come se volessero farla sua in ogni angolo, in ogni respiro.
— Troia…
— Si, troia… chiamami così che mi piace e continua… voglio sentirtelo fino in gola, hai un cazzo meraviglioso — lo incitava, ormai persa, sentendo le contrazioni dentro la propria carne farsi più rapide, più violente. Le sue parole erano colme di un’eccitazione nuova, animalesca.
— Bastardo, non fermarti, allagami il ventre con la sborra, voglio tutto, voglio che mi sporchi, mi insozzi.
Luciano si irrigidì, emettendo un muggito. Il corpo teso, il volto piegato sulla curva del suo collo, il cazzo che pulsava mentre veniva, forte, a lungo, dentro di lei. Un’esplosione calda che Liliana accolse con un brivido lungo la spina dorsale, pienamente spalancata, bagnata, sazia.
Rimasero fermi così, uniti, ansimanti, i corpi appiccicati, impiastricciati come se fossero una sola carne.
— Sei… sei fatta per il peccato, pia dama — mormorò lui caustico.
Liliana rise piano, sfiorandogli i capelli sudati. Era ancora piena di lui, femmina appagata come non succedeva da anni.
scritto il
2025-05-22
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