Il richiamo.
di
rotas2sator
genere
tradimenti
Le sere erano le più dure. Dopo la doccia, il corpo ancora umido, la camicia da notte che non restava addosso più di dieci minuti, Viola si stendeva nuda sul letto, le finestre socchiuse e il caldo che la faceva brillare di sudore. Avrebbe voluto pensare al marito, alle sue parole gentili nelle telefonate lontane, ma non ci riusciva. L’immagine che tornava sempre era un’altra: la grossa mano di Domenico** che le afferrava i capelli, giocava con le sue mammelle, violava le sue intimità, il fiato greve sul collo, lo sguardo crudo che la trapassava.
— Basta. Non devo più cercarlo. Lo ripeteva come un mantra, ma l’ossessione scavava in lei piano, fino a incendiarle ogni fibra. Colpa e desiderio la maceravano, due corde intrecciate che la tenevano ferma e la facevano desiderare nello stesso tempo.
La mano scivolò verso il comodino. Il telefono era lì. Bastava un gesto, un numero. Il cuore batteva come se stesse per commettere un crimine.
— Non devo… Eppure il display si accese, e sotto il pollice comparve il suo nome. Rispose subito. La voce di Domenico era un graffio. — Ehi, puttanella… hai voglia di me? —
Viola deglutì, incapace di articolare una parola. — Sei nuda sul letto, vero? La figa che cola…— sussurrò lui, laido e volgare, con un tono che la pervadeva sordidamente. Un ansito le sfuggì, un sì involontario. — Sono da te.
La comunicazione s’interruppe. E in quel silenzio sospeso Viola sentì crescere l’attesa, il cuore che martellava, le cosce che già si preparavano.
Il tempo tra la chiamata e i suoi passi fu breve, ma a lei parve interminabile. Ogni secondo la dilatava, la faceva tremare. Non aveva chiuso a chiave, l’aspettava distesa sul letto, indifesa, ricettiva.
Domenico entrò senza esitazione. L’odore acre di sudore e fumo lo precedeva. Si strappò la maglietta e la gettò a terra. «Te l’avevo detto che mi avresti cercata… puttanella.»
Le fu addosso con la furia di un diritto reclamato. Le mani ruvide ai polsi, il suo corpo caldo che la sovrastava, la pelle che bruciava contro la sua. Viola tremava e si tendeva insieme, divisa tra resistenza e resa, tra colpa e un piacere che la divorava.
Il cazzo affondò di colpo nella figa fradicia, martellando senza tregua, marchiandole la carne. Viola si lasciava andare, i suoi gemiti non erano lamento: erano supplica, erano confessione di un corpo e di una volontà messi a nudo e sottomessi.
— Lo sai che non puoi più farne a meno…— le ringhiò all’orecchio, serrandole i polsi, schiacciandola con tutto il suo peso al materasso. Il suo fiato sapeva di sigarette, di vino, di notte sporca. E quel sentore la faceva vibrare, come se favorisse il cadere più a fondo.
Viola non rispose. Non poteva. Il corpo parlava per lei: si arcuava, stringeva quel cazzo con spasmi che lo incitavano, tradendo la sua resa. Era una sottomissione consapevole, inevitabile a quella voracità bestiale e insaziabile che le appagava totalmente i sensi. Il marito lontano le passava davanti agli occhi come una visione pallida, fantasma evanescente, e intanto Domenico le entrava dentro fino al midollo.Quando venne, lei era sfinita.
Domenico la riempì di sé, lasciandola disfatta tra le lenzuola bagnate, i capelli arruffati, il respiro spezzato. Si rialzò, accese una sigaretta, le soffiò il fumo addosso. Uno sguardo lento la inchiodò: il corpo abbandonato, vinto e col sesso ancora spalancato e gocciolante.
— A domani, zoccola.»
La porta si richiuse. L’odore di lui restò nell’aria, il corpo di Viola ancora scosso sotto pelle. Con le cosce aperte e la mente in guerra, chiuse gli occhi.
Un fremito le percorse la schiena, un pensiero dolce amaro le attraversò la mente, poi il proposito. — Questa è stata l’ultima volta… Lo pensava davvero, ne era fermamente intenzionata. Poi chiudeva gli occhi e sapeva già che domani sera, col corpo che reclamava, con la volontà annullata, avrebbe rialzato quel telefono. E tutto sarebbe ricominciato.
** La carne della sposa
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