Troia Bianca
di
rotas2sator
genere
confessioni
Massi,
ho le mani che tremano mentre ti scrivo. Non so se desidero davvero che tu legga… o se voglio invece immaginarti con il respiro accelerato mentre ti immergi in queste righe. Tante volte ci siamo abbandonati alle fantasie, ma quella volta era tutto reale, concreto. Questa è la mia confessione più scura, più ardente e più sporca. La notte in cui mi sono persa e lasciata marchiare.
Ero alla fine della tesi, e di lì a poco ci saremmo sposati. Mi sentivo svuotata, annoiata, bisognosa di qualcosa che mi scuotesse dalle ossa. Un’amica mi parlò di lui: il ricco africano che impazziva per le bianche. Le riempiva di regali, le scopava fino allo sfinimento. Non pensavo ad altro. Lo immaginavo sopra di me, il suo membro enorme che mi sfondava, la sua voce che mi comandava. Così finii per contattarlo. Mi chiese di mostrarsi foto e gliele inviai. Pochi giorni dopo mi diede l’appuntamento.
Quella sera mi vestii per lui: vestito stretto, tacco 12, lingerie nuova. Mi aprì la porta, elegante, sicuro, e mi guardò come se fossi già sua. Mi spogliai. Mi prese e mi leccò tutta: dai piedi, alle tette a goccia che sparirono nella sua bocca, fino all’inguine.
— Sei molto più bella dal vero…gran figa.
Quando poi lo vidi nudo, mi mancò il fiato. Il suo cazzo era mostruoso: enorme, gonfio di vene, il glande lucido e duro, privo di prepuzio. Lo presi tra le mani, ma non riuscivo a stringerlo tutto. Tremavo.
Sorrise tracotante nella sua albagia. — Le tue manine da bambola non bastano, son curioso di vedere cosa farai con la bocca. Apri.
Mi spinse in ginocchio e me lo ficcò in bocca. Avvertivo la gola tappata, avevo difficoltà a respirare e le lacrime agli occhi. Mi teneva per i capelli, mi guidava. — Brava troia bianca… succhia. Voglio vederti piangere.
La saliva tracimava, scendeva sul mento, sui seni. Lui godeva nel guardarmi ansimare. — Brava, continua così. Che bocca da puttana! Sei nata per succhiare cazzi.
Le cosce mi colavano nell’attesa rovente. Mi sollevò come fossi un giocattolo, mi buttò sul letto e mi aprì le gambe. Fu dentro con un colpo violento. Urlai sentendomi squarciare. — Ti piace? Ti sto spaccando. Nessun bianco ti ha mai aperto così. Dillo!
— Si, oddio è così grosso!
Ogni affondo mi scuoteva, sentivo le vene del suo cazzo strusciarmi dentro. Mi girò a pecora, le sue mani enormi sui miei fianchi. La sua voce profonda, roca mi incalzava, mi dileggiava:
— Guarda come ti sbatto, senti come ti apro, pallida troia. Ti faccio a pezzi e tu gemi come una cagna, riempita dal mio cazzo nero
— Sei solo un buco di carne bianca da fottere e sporcare. Ti piace essere ridotta schiava, vero? D’altronde le bianche, si sa, sognano solo cazzi neri enormi che le spacchino e le riempiano di sborra! Dillo! Ammettilo!
Io non rispondevo quasi, solo ansimi, singhiozzi, qualche frase strozzata di sottomissione. Tremavo, mi piegavo, lo lasciavo fare. Ogni parola era una frustata, e più mi annullava più il piacere cresceva, incontrollabile.
Mi costrinse a succhiarmi le dita bagnate della figa, mi fece aprire completamente, mi penetrò ovunque, senza limiti. Un rapporto sporco, morboso, ossessivo. Io non resistevo, mi lasciavo piegare, ridurre, spingere oltre ogni limite.
— Sì! Sììì! Non fermarti che sto per venire!
— Ora vieni sul cazzo del tuo padrone!
E venni, urlando, contorcendomi, in uno stato di beata esaltazione, mentre lui continuava a sfondarmi senza pietà. Poi godette anche lui, riempiendomi di sperma caldo fino a farmelo colare fuori.
— Tienilo dentro. Voglio vederti camminare gocciolando il mio seme.
Rimasi a terra, gambe spalancate, la figa gonfia e pulsante. Poi feci quello che mi aveva chiesto, muovendomi nuda dinanzi al suo sguardo libidinoso.
E i regali costosi promessi che sapevo sarebbero arrivati, non erano che la firma di quella condizione. Ogni oggetto prezioso mi avrebbe ricordato che ero stata pagata, usata, ridotta a puttana. Eppure proprio quell’umiliazione mi incendiava le viscere, mi eccitava ancor più della sua carne. Essere segnata dai suoi doni era come portare addosso un collare invisibile, il simbolo della mia resa: quella sera mi ero sentita la schiava bianca di un re africano, il suo giocattolo, e lui aveva fatto di me tutto ciò che aveva desiderato.
Massi, ora lo sai. Non ti scrivo per giustificarmi né per ferirti, ma per consegnarti anche questa mia ombra. La notte in cui ho gridato che tutte le bianche sognano cazzi neri che le riducono a troie. La notte in cui sono caduta e ho provato il piacere più proibito della mia vita.
E c’è un’ultima cosa che devo confessarti. Mentre ti scrivo queste righe, mentre ripercorro ogni colpo, ogni parola, sento il corpo che mi trema. Le cosce che si stringono, il respiro che si accorcia. Le dita che scivolano sulle intimità come per ritrovare quella sensazione. Scrivendoti questo, Massi, io mi sto eccitando di nuovo. Mi sto perdendo ancora una volta in quella notte. Voglio che tu lo sappia, che tu lo senta nella tua carne. Che il mio segreto proibito, il mio piacere sconcio, adesso passa da me a te.
S.
ho le mani che tremano mentre ti scrivo. Non so se desidero davvero che tu legga… o se voglio invece immaginarti con il respiro accelerato mentre ti immergi in queste righe. Tante volte ci siamo abbandonati alle fantasie, ma quella volta era tutto reale, concreto. Questa è la mia confessione più scura, più ardente e più sporca. La notte in cui mi sono persa e lasciata marchiare.
Ero alla fine della tesi, e di lì a poco ci saremmo sposati. Mi sentivo svuotata, annoiata, bisognosa di qualcosa che mi scuotesse dalle ossa. Un’amica mi parlò di lui: il ricco africano che impazziva per le bianche. Le riempiva di regali, le scopava fino allo sfinimento. Non pensavo ad altro. Lo immaginavo sopra di me, il suo membro enorme che mi sfondava, la sua voce che mi comandava. Così finii per contattarlo. Mi chiese di mostrarsi foto e gliele inviai. Pochi giorni dopo mi diede l’appuntamento.
Quella sera mi vestii per lui: vestito stretto, tacco 12, lingerie nuova. Mi aprì la porta, elegante, sicuro, e mi guardò come se fossi già sua. Mi spogliai. Mi prese e mi leccò tutta: dai piedi, alle tette a goccia che sparirono nella sua bocca, fino all’inguine.
— Sei molto più bella dal vero…gran figa.
Quando poi lo vidi nudo, mi mancò il fiato. Il suo cazzo era mostruoso: enorme, gonfio di vene, il glande lucido e duro, privo di prepuzio. Lo presi tra le mani, ma non riuscivo a stringerlo tutto. Tremavo.
Sorrise tracotante nella sua albagia. — Le tue manine da bambola non bastano, son curioso di vedere cosa farai con la bocca. Apri.
Mi spinse in ginocchio e me lo ficcò in bocca. Avvertivo la gola tappata, avevo difficoltà a respirare e le lacrime agli occhi. Mi teneva per i capelli, mi guidava. — Brava troia bianca… succhia. Voglio vederti piangere.
La saliva tracimava, scendeva sul mento, sui seni. Lui godeva nel guardarmi ansimare. — Brava, continua così. Che bocca da puttana! Sei nata per succhiare cazzi.
Le cosce mi colavano nell’attesa rovente. Mi sollevò come fossi un giocattolo, mi buttò sul letto e mi aprì le gambe. Fu dentro con un colpo violento. Urlai sentendomi squarciare. — Ti piace? Ti sto spaccando. Nessun bianco ti ha mai aperto così. Dillo!
— Si, oddio è così grosso!
Ogni affondo mi scuoteva, sentivo le vene del suo cazzo strusciarmi dentro. Mi girò a pecora, le sue mani enormi sui miei fianchi. La sua voce profonda, roca mi incalzava, mi dileggiava:
— Guarda come ti sbatto, senti come ti apro, pallida troia. Ti faccio a pezzi e tu gemi come una cagna, riempita dal mio cazzo nero
— Sei solo un buco di carne bianca da fottere e sporcare. Ti piace essere ridotta schiava, vero? D’altronde le bianche, si sa, sognano solo cazzi neri enormi che le spacchino e le riempiano di sborra! Dillo! Ammettilo!
Io non rispondevo quasi, solo ansimi, singhiozzi, qualche frase strozzata di sottomissione. Tremavo, mi piegavo, lo lasciavo fare. Ogni parola era una frustata, e più mi annullava più il piacere cresceva, incontrollabile.
Mi costrinse a succhiarmi le dita bagnate della figa, mi fece aprire completamente, mi penetrò ovunque, senza limiti. Un rapporto sporco, morboso, ossessivo. Io non resistevo, mi lasciavo piegare, ridurre, spingere oltre ogni limite.
— Sì! Sììì! Non fermarti che sto per venire!
— Ora vieni sul cazzo del tuo padrone!
E venni, urlando, contorcendomi, in uno stato di beata esaltazione, mentre lui continuava a sfondarmi senza pietà. Poi godette anche lui, riempiendomi di sperma caldo fino a farmelo colare fuori.
— Tienilo dentro. Voglio vederti camminare gocciolando il mio seme.
Rimasi a terra, gambe spalancate, la figa gonfia e pulsante. Poi feci quello che mi aveva chiesto, muovendomi nuda dinanzi al suo sguardo libidinoso.
E i regali costosi promessi che sapevo sarebbero arrivati, non erano che la firma di quella condizione. Ogni oggetto prezioso mi avrebbe ricordato che ero stata pagata, usata, ridotta a puttana. Eppure proprio quell’umiliazione mi incendiava le viscere, mi eccitava ancor più della sua carne. Essere segnata dai suoi doni era come portare addosso un collare invisibile, il simbolo della mia resa: quella sera mi ero sentita la schiava bianca di un re africano, il suo giocattolo, e lui aveva fatto di me tutto ciò che aveva desiderato.
Massi, ora lo sai. Non ti scrivo per giustificarmi né per ferirti, ma per consegnarti anche questa mia ombra. La notte in cui ho gridato che tutte le bianche sognano cazzi neri che le riducono a troie. La notte in cui sono caduta e ho provato il piacere più proibito della mia vita.
E c’è un’ultima cosa che devo confessarti. Mentre ti scrivo queste righe, mentre ripercorro ogni colpo, ogni parola, sento il corpo che mi trema. Le cosce che si stringono, il respiro che si accorcia. Le dita che scivolano sulle intimità come per ritrovare quella sensazione. Scrivendoti questo, Massi, io mi sto eccitando di nuovo. Mi sto perdendo ancora una volta in quella notte. Voglio che tu lo sappia, che tu lo senta nella tua carne. Che il mio segreto proibito, il mio piacere sconcio, adesso passa da me a te.
S.
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