Annegare

di
genere
etero


Ispirato a “Navigare” di Samas

La notizia l’aveva colpita all’improvviso, un frammento di cronaca ascoltato per caso:
«Un uomo di mezza età disperso in mare…»
Il nome della località la trafisse. Lo stesso luogo dove aveva conosciuto l’estate più ardente della sua vita.
L’aveva voluto cancellare quell’amore maturo, quasi come si fa con un’onta. Se lo era dovuto imporre, perché il ricordo era tenace e affiorava, gonfio di malinconia, nonostante tentasse di ricacciarlo nell’oblio.
Ora era tornata. Novembre aveva svuotato il lungomare: serrande abbassate, lampioni tremolanti, vento fresco che odorava di sale. Ogni passo sulla sabbia bagnata era un tuffo nel passato, un colpo al cuore. Chiuse gli occhi. Lui tornò.
Ricordava la prima volta che l’aveva accolta nella sua casa. Non un semplice appartamento, ma un luogo elegante, profumato di legno, di cuoio pregiato, colmo di ricordi: tappeti, maschere etniche, scaffali di libri e fotografie di viaggi. La testimonianza di una vita intensa, di successi, di una storia di cui lui era orgoglioso ma senza ostentazione. Lei si muoveva lì dentro con leggerezza, toccando gli oggetti con curiosità, come una ragazza che entra in un museo privato.
E lui, imbarazzato ma felice, la seguiva con lo sguardo, consapevole della distanza d’età, ma travolto dalla freschezza che lei portava in quelle stanze. Si baciarono nel buio, sul divano. Lui le sbottonò la camicetta con mani che tremavano più del solito. Lei rise, scivolò sopra di lui, lo liberò dai pantaloni e prese in bocca quel sesso duro, succhiandolo con spavalderia. Lui gemeva, la testa rovesciata all’indietro, incapace di resisterle.
Poi la sollevò e la prese lì, con impeto, sul tappeto, circondato da tutti i suoi ricordi di uomo maturo, mentre lei lo cavalcava nuda, le cosce strette ai suoi fianchi, i capelli che gli cadevano sul petto.

Un brivido le corse lungo la schiena mentre il vento, ora freddo e teso, le sferzava il viso.
Quella casa, quella collezione di memorie, era stata la cornice perfetta per il loro inizio. Ora, probabilmente, custodiva solo silenzio.

Poi c’era stata la spiaggia.
La luna bianca illuminava la sabbia, e lui, elegante e rispettato, aveva provato a resistere. «No, qui no… qualcuno potrebbe vederci».
Era un uomo in vista, abituato a controllare ogni gesto, timoroso di essere scoperto. Ma lei lo trascinò giù, ridendo, già nuda, la pelle che brillava alla luce lunare.
Lo fece sdraiare e lo cavalcò come una furia, le sue urla di piacere che si confondevano con il rumore delle onde.
Lui, per un attimo, si era sentito nudo non solo nel corpo ma nell’anima: spogliato di ogni maschera, completamente in balia di quella ragazza che gli rideva addosso mentre lo faceva venire dentro di sé, a cielo aperto.
Ricordava anche i pomeriggi di sole. Lei camminava sulla spiaggia con il suo corpo da dea, il culo rotondo e fiero, il seno perfetto che faceva girare teste e scatenava gli sguardi bavosi degli uomini.
Lui si accendeva di gelosia, trattenendo a stento il disappunto. Ma lei se ne accorgeva, e ne rideva. Lo prendeva in giro, scuotendo i fianchi apposta, godendo di quella tensione. Eppure, dentro di lui, l’orgoglio era più forte della rabbia: perché lei era sua, e nessuno di quei maschi avrebbe mai avuto ciò che lui stringeva tra le braccia ogni notte.

Ora, di fronte al mare scuro, non c’era nessuna risata, nessun corpo da mostrare, nessuna gelosia a scaldargli il sangue.
Solo onde lente, il silenzio, le ombre della sera. Lei piegò le ginocchia nella sabbia bagnata, lasciando che le onde le lambissero i piedi. Sentì le lacrime rigarle il volto.
Lo aveva perso due volte: la prima quando se n’era andata, leggera, verso amori più giovani; la seconda adesso, che il mare l’aveva inghiottito per sempre. Chiuse gli occhi e si abbandonò al vento.
Il suo corpo, ancora oggi, ricordava ogni spinta, ogni carezza, ogni gemito di quell’uomo.
E comprese che ad affogare stavolta era lei, nel mare sconfinato dell’assenza di lui.
scritto il
2025-09-18
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