Tecnicamente illibata

di
genere
corna

La sera era scesa come una carezza su quella giornata di fine maggio, lasciando nell’aria tiepida e profumata un odore di erba calpestata, terra viva e libertà. I rumori del giorno si erano dissolti lentamente, lasciando spazio al canto discreto dei grilli e al fruscio delle foglie, che si muovevano lente sotto un vento appena percettibile.La gita era stata un’idea dei colleghi di corso di Sara. Il suo iter universitario era agli sgoccioli, come una stagione che volge al termine. Mancava poco alla laurea. E, subito dopo, le nozze con Massi, l’amore di sempre.
Eppure, in quella radura nascosta tra gli alberi, mentre il sole cedeva il passo a una luna piena e discreta, qualcosa dentro di lei si muoveva. Una inquietudine sottile, un sussurro che non sapeva ignorare.
Si era ritrovata isolata con Davide, uno dei suoi compagni di corso. Gli altri si erano dispersi, attratti da una chitarra più in là o dalle ultime birre. I due si erano seduti sull’erba fresca, le ginocchia vicine, le risate ancora calde sulle labbra. La sua birra era ormai esaurita, ma il brivido che sentiva non aveva nulla a che vedere con l’alcol.
«Hai delle belle gambe,» aveva detto lui, con quel tono che fingeva leggerezza ma conteneva ben altro.
Sara aveva sorriso, compiaciuta. «Grazie, ma stanche e indolenzite, per non parlar dei piedi!»
Lui aveva riso e, in un gesto spensierato, le aveva tolto le scarpe, solleticandole le piante dei piedi. Un gioco innocente, almeno in apparenza. Avevano riso e lei lo aveva scherzosamente scalciato.
Il silenzio era calato di colpo, carico di elettricità. La natura attorno sembrava trattenere il respiro.
E lei, anche. Sara sentiva il calore dei polpastrelli che le accarezzavano la pianta del piede come se quella parte del corpo, spesso dimenticata, avesse improvvisamente acquisito una sensibilità nuova..
«Sei bellissima, Sara,» mormorò Davide avvicinandosi appena. Sara chiuse gli occhi un istante. Si sporse in avanti, appena. Fu un bacio sfiorato, il bacio si fece più sicuro, più profondo. Le mani di lui scivolarono sotto il tessuto leggero del vestito, risalendo con lentezza, come per imparare a memoria la topografia del suo desiderio. Le accarezzò la pelle del ventre , la spogliò, le mani sui seni a coppa che si sollevarono verso la bocca di lui. Il ragazzo vi si posò con una dolcezza affamata, alternando baci umidi a leggeri morsi che la fecero gemere piano, come una nota segreta.«Davide…» mormorò lei, quasi senza fiato, «non posso andare oltre...darti la cosa che deve arrivare intatta al giorno del matrimonio.»
Lui si incupì.
«Scusami. Non volevo metterti in difficoltà….Comprendo perfettamente, scusami.»
Il silenzio si distese tra loro, poi fu lei a romperlo, con una voce diversa. Più bassa. Più grave.
«Hai mai fatto qualcosa di pazzo, senza pensarci?» chiese lei, guardandolo con quegli occhi che di giorno sembravano ingenui, ma che ora, nella penombra, luccicavano di un’altra luce. Sussurrò:
«….La passera non posso dartela però…» mormorò.
Sara si piegò in avanti, il culo rivolto verso di lui, lucente alla luce lunare. Le sue natiche, lisce, tonde, si aprivano piano sotto la tensione naturale della posa.
Lui si avvicinò, le mani tremanti. Le accarezzò le natiche, poi con due dita le riaprì, godendosi la vista di quel buchino teso, palpitante.

«Guarda,» sussurrò, senza voltarsi. «È lì che voglio sentire il tuo cazzo.»
«Davvero?»
«Sì… ma fallo con calma. Ne ho voglia Ma anche paura.»
Lui sputò nel palmo, si lubrificò, poi lasciò cadere un filo di saliva direttamente su di lei.
Il liquido viscido colpì l’ano, scivolando tra le pieghe. Alesò l’ano con la sua lingua.
«È così stretto… Te lo sei tenuto tutto per me, eh?»
Con una mano le teneva il fianco, con l’altra puntava il glande al centro.
Spinse piano.
Il buco oppose resistenza, come un elastico che non vuole cedere. Ma poi… un gemito strozzato da parte di lei.
«Ah— ci sei… Diavolo, sei grosso…»
Davide serrò le labbra. Solo la punta era entrata, ma la sensazione era devastante.
Il calore, la pressione. Il suo cazzo sembrava risucchiato da qualcosa di vivo, ostinato, profondo.
«Respira… piano… rilassati,» le sussurrò, mentre spingeva ancora un po’.
Un altro gemito. «Lo sento… sento tutto. Dio mio, mi stai aprendo…»
Lo scivolamento fu lento, millimetro dopo millimetro, fino a far sparire metà del cazzo.
Lei tremava, ma non si fermava. Gli porgeva il culo, gli dava accesso, lo sfidava.
Poi — d’improvviso — girò la testa, con un’idea folle e accesa dallo sguardo:
«Chiama Massi.»
Davide la fissò, sorpreso.
«Cosa? Sei pazza?»
«Chiama il mio ragazzo. Fammi parlare con lui. Voglio farlo mentre lui pensa che io sia sola a letto»
Davide rise, incredulo, ma obbedì.
Il telefono squillò.
«Amore?» rispose una voce assonnata.
«Tesoro,» disse lei, cercando di non gemere troppo.
«Non riuscivo a dormire… mi manchi…»
Davide intanto la penetrava piano, millimetro per millimetro.
«Anche tu mi manchi,» rispose lui.
«Che fai?»
«Penso a te…»
Chiuse gli occhi. Si morse il labbro. Poi parlò di nuovo.
«Massi… mi sto toccando. Pensando a noi. Come sarebbe la tua lingua su di me…»
Davide accelerò. Lei quasi urlò, ma lo trasformò in un sospiro al telefono.
«Mi eccita sapere che mi ascolti. Sono nuda.»
Massimo taceva, sospirava. Lei lo sorprendeva comportandosi a quel modo.
«Lo stai facendo davvero?»
«Sì. E vorrei tu fossi qui… Vorrei…»
Ma fu lui, Davide, a interrompere il pensiero con un affondo più forte.
Lei quasi perse il fiato.
Poi, con un tono tremante, disse:
«Senti questo respiro, amore? È tutto per te… mentre dentro di me…mi sento così piena…»
Sara emise un gemito che sembrava un orgasmo, ma era anche una risata spezzata.
«Buonanotte, Massi… dormi bene.» Riattaccò.
Si voltò verso Davide, il viso ancora contratto nel piacere e nella colpa.
«Sei incredibile, Sara»
«Sono una porca»
«Sei una dea. E io ti adoro», rispose lui, ancora dentro. «Cazzo, Sara...»
«Sì… non parlare, continua… sei dentro… sento tutto… mi stai riempiendo. Ancora. Ancora!»
Lui spinse fino in fondo. Sentì le sue palle toccare le natiche di Sara. Ora era tutto dentro.
Lei lanciò un grido basso, quasi un ululato.
«Ti sto scopando il culo… e tu lo stai risucchiando dentro di te. Lo sento. Mi strizza… Dio, sì… è stretto, caldissimo. Sei una porca.»
Si muoveva con colpi lenti, profondi, calcolati. Ogni affondo faceva ansimare Sara, ogni uscita faceva schioccare il buco che sembrava non volerlo lasciar andare.
«Non ti fermare… voglio godere… fammi sentire che mi scopi forte, come se volessi spezzarmi.»
Lui aumentò il ritmo. Il suono era osceno: carne contro carne, schizzi di saliva, e quei gemiti rotti, animali.
«Sto per venire…Siii, sto venendo dentro il tuo culo, lo senti? Lo senti che ti riempio?»
«Sì… vieni… dentro… dammi tutto…»
«Madò… stai squagliando come burrata al sole…»
L’orgasmo lo travolse. Il cazzo pulsò, affondato in profondità, mentre lei si irrigidiva e gemeva, venendo anche lei, quasi senza toccarsi, solo per la brutalità del gesto, per quanto era sporco, carnale, totale.
Erano ancora stesi, mezzi nudi sull’erba umida, con l’odore del sesso che galleggiava nell’aria. Il silenzio della radura rotto dai rumori della notte.
Sara si tirò su a fatica, le cosce leggermente tremanti, una smorfia di piacere e fastidio sul viso. Si massaggiò la zona lombare con una mano.
«Mio Dio… mi hai aperta in due,» disse, con un filo di voce, tra lo stanco e il soddisfatto.
Davide rise piano, ancora mezzo nudo, con lo sguardo beato.
«Te l’ho detto che era grosso.»
Lei si voltò a guardarlo. «Più che grosso….»
Fece un paio di passi traballanti verso un cespuglio, con la mano dietro al fondoschiena.
«Aspettami qui… devo, ehm… liberarmi un attimo.»
«Evacuare?» scoppiò a ridere Davide. «Hai proprio bisogno di svuotarti? Te l’ho data grossa, eh? Una bella trapanata!»
«Cretino!» gridò lei da dietro le foglie, mentre si chinava a disagio. Ma rideva anche lei.
«Sta uscendo la mia sborra, eh?» rise lui, senza freni. «Il tuo culo non ce la fa a tenerla tutta.»
«Davide, sei uno stronzo!»
«Senti… se lo sapesse Massimo ci rimarrebbe malissimo. Ma, in fondo, la figa l’hai tenuta per lui. Un gesto d’onore, no?»
Sara sbucò dal cespuglio dopo essersi lavata con l’acqua minerale, si asciugò il sedere con un fazzolettino da borsa, e si strofinò le mani col gel disinfettante che teneva con sè. Si rimise le mutandine.
«Davide… sei un bastardo. Ma hai ragione. La mia figa è solo sua e l’ho conservata per la prima notte di nozze.»
«Quindi sei ancora fedele?»
Lei lo guardò con un malizia.
«Tecnicamente illibata.»
scritto il
2025-05-18
3 . 2 K
visite
6 5
voti
valutazione
7.8
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.