Mia cugina: Parte 1

di
genere
incesti

Quando io e mia cugina eravamo piccoli, ci divertivamo a giocare al dottore. Lei voleva sempre fare il dottore, così mi obbligava a fare il paziente. Giocavamo dentro la macchina di mio padre, dietro la sua bottega di vini. Mi faceva stendere sui sedili posteriori e mi visitava.
Non ricordo come avveniva questa visita, ma essendo due bambini di 5 anni penso fosse qualcosa di innocente.
Eppure se ripenso a quei momenti comprendo che c'era qualcosa di strano in me. Non so se fosse un ricordo falsato dai sentimenti attuali, ma provavo eccitazione. Una forma di eccitazione infantile. Nulla di paragonabile a quella adulta.
Infine, io e mia cugina ci siamo persi di vista per più di vent'anni. O meglio, non giocavamo più, né ci parlavamo. Io sono stato rinchiuso in una casa famiglia per due anni per via di problemi in casa, poi la vita ci ha divisi.
Ci siamo rincontrati alle medie, ma non ci siamo mai parlati per tutti i tre anni. Insomma, non ricordo nemmeno di averci fatto caso che fosse nella mia stessa classe.
E così sono passati altri anni in cui non l'ho piu vista in giro. Forse negli ultimi dieci anni l'ho vista solo di sfuggita per un istante. Nulla di più.


Ora la rivedo di nuovo durante una visita in un'azienda vinicola molto importante. Sono lì insieme a un gruppo di visitatori e investitori interessati alla produzione dei vini. Mia cugina ci fa visitare le cantine e ci accompagna lungo i filari d’uva. Per tutto il tempo non lo guardo nemmeno. Anzi, non mi sovviene nemmeno in mente che sia mia cugina. Il fatto che non la veda mai me la fa sembrare un'estranea.
Alla fine della visita, ceniamo nella trattoria dell'azienda. Il vino gira come acqua e gli animi si accedono. Grasse risate, battute scadenti e parole biascicate. Sono quasi tutti ubriachi.
Mia cugina ha bevuto poco. Durante la cena l'ho guardata di sfuggita. È stata l'unica donna che non ha toccato il vino.
Nel frattempo, uno degli investitori si è sentito male dopo aver bevuto troppo ed è finito in ospedale. Gli animi si sono raffreddati e pian piano tutti sono andati via.
Io ho preferito fare una passeggiata lungo i filari d’uva esterni. Essendo notte, vedo poco e nulla. Ma mi piace guardare il cielo stellato.
Dopo un po' sono tornato all'azienda e ho sentito qualcuno piangere. Non capivo se era un pianto o qualcos'altro. Così mi sono avvicinato. Era mia cugina. Stava piangendo seduta sugli scalini del retro della trattoria.
L'ho guardata per un po' e mi sono avvicinato. Non sapevo cosa dire. Sapevo solo che mi dispiaceva.
Lei non si è accorta di me finché non si è alzata per andare via. Ha sussultato e smorzato un gridolino.
Non so perché, ma sono scoppiato a ridere.
Mia cugina mi ha guardato malissimo e se n'è andata dentro.
Volevo seguirla per scusarmi, ma ho preferito lasciar perdere.


Sono passati diversi giorni. L'ho incontrata di nuovo in strada. Ci siamo solo scambiati uno sguardo. E sempre quello stesso giorno l'ho incontrata di nuovo in un supermercato mentre faceva la spesa. Me la sono ritrovata davanti quando ho svoltato l'angolo della corsia. I nostri carrelli si sono quasi scontrati.
Lei mi guarda e tira dritto.
Le vado dietro. — Scusa per l'altro giorno.
Mi riguarda come se non sapesse di cosa stessi parlando. Poi sgrana gli occhi. — Va bene.
— Perché stavi piangendo? — domando di getto.
Si limita a fissarmi per un istante e va via.


Tre settimane dopo sono tornato all'azienda vinicola con lo stesso gruppo di uomini e donne. Solita visita alle cantine e lungo i filari. Poi cena e vino a volontà. Per tutta la serata ho tenuto d'occhio mia cugina che ha bevuto parecchio. Alla fine si è addormentata con la testa poggiata sul muro.
Più tardi la cena è finita in allegria e tutti sono andati via. Nessuno ha fatto caso a mia cugina addormentata in un angolo. L'ho lasciata là e sono andato a fare una passeggiata lungo i filari esterni. Ho camminato per quasi un'ora e sono ritornato alla trattoria.
Ho sentito di nuovo piangere e ho pensato a mia cugina. Così mi sono diretto nel retro della trattoria e l'ho trovata seduta di nuovo sugli scalini. Aveva il lungo vestito nero alzato fino sopra le mutandine grigie. Ho osservato le sue cosce sode e le sue mutandine per un po'. Mi sono eccitato, ma in un modo strano. Non so spiegarlo.
Alla fine mi sono accigliato e l'ho raggiunta. — Tutto bene?
Lei mi ha ignorato. Forse sapeva già che ero lì, o sarebbe sobbalzata come l'ultima volta.
Non sapevo cosa fare, così mi sono seduto accanto a lei. L'ho ascoltata piangere per un po'. La mia vista cadeva sulle sue gambe, ma ero sia eccitato che in pena. Forse dire eccitato non è la parola giusta. So solo che le guardavo le cosce.
Lei si è alzata e ha barcollato in avanti. L'ho presa per il polso prima che potesse cadere e si è mantenuta in equilibrio. Era ubriaca marcia. Il suo viso era rosso e gli occhi messi peggio. Ha cominciato a ridere di colpo finché si è messa di nuovo a piangere. Io la guardavo in mezzo alle mutandine grigie, dove si intravedeva la forma e la linea della vagina.
— Siediti — dico.
Lei scuote la testa, sale gli scalini, inciampa e ruzzola per terra. Il mio occhio cade sul suo culo. Largo e sodo, ma non grasso. Un culo armonioso con i fianchi larghi. Ancora una volta non provo eccitamento, ma qualcos'altro che non so descrivere. L'aiuto ad alzarsi e le abbasso il vestitino lungo per sistemarlo.
Mia cugina mi sorride e se ne va.
Resto lì ancora per un po'. Appena faccio per andare via, lei esce dalla trattoria barcollando e la prendo per un braccio. Biascica qualcosa che non capisco.
— Vuoi che ti accompagni a casa? — domando.
Lei annuisce con gli occhi semichiusi.
La faccio sedere in macchina e guido verso casa sua. Per tutto il viaggio è rimasta addormentata con la testa sul finestrino. Ogni tanto le guardo le cosce e anche il seno. Non so, iniziavo a guardarla un po' troppo e la cosa non mi piaceva. Non perché avessi cattive intenzioni, ma perché era mia cugina.
Alla fine sono arrivato davanti a casa sua e l'ho svegliata toccandole ripetutamente il braccio.
Lei mi ha guardato confusa per un attimo, poi è scoppiata a piangere.
— Perché stai piangendo? — domando.
Non risponde.
Aspetto in macchina mentre la sento piangere e singhiozzare per un pezzo.
— Che devo fare? — mi chiede con voce rotta.
La guardo perplesso. — In che senso?
— Oronzo mi ha lasciato.
Non so chi sia questo Oronzo, quindi non so bene cosa dire. — Mi dispiace.
— Che devo fare?
— Non lo so. Non lo conosco.
— Mi ha tradita con un'altra… Si è scopata quella troia! — urla con il viso infiammato.
— Ah...
Mi guarda con gli occhi rossi. — Sono brutta?
Mi acciglio perplesso. — No.
— Se non fossi tua cugina, verresti a letto con me?
— Sei ubriaca.
— Verresti?
— Ti accompagno a casa.
Mi stringe il polso, lo sguardo corrucciato. — Non verresti?! Anche tu pensi che sia brutta?!
Perché sta facendo così? Non è brutta, ma nemmeno bellissima. Non avrebbe problemi a farsi un altro. — Non lo sei.
— Quindi faresti l'amore con me?
— Certo.
— Anche adesso?
— Eh!?
Mi sorride in modo giocoso e mette la mano con cui mi stringeva il polso sulla coscia. Ridacchia.
Le allontano la mano, esco dalla macchina e apro la sua portiera. Mia cugina scende, barcolla ubriaca, si mantiene su di me mentre ridacchia e si addormenta tra le mie braccia. Prendo le chiavi della sua borsetta, apro la porta al quinto tentativo con la quinta chiave e la conduco al letto. Le tolgo le scarpe e la copro con il lenzuolo.
Vado via.


Il giorno dopo mi manda un messaggio ringraziandomi per averla accompagnata a casa. Le rispondo con una faccina sorridente. Mi chiedo se si ricorda di cosa abbia detto ieri, ma lascio perdere.
Nel pomeriggio la incontro di nuovo al supermercato. Fa finta di non vedermi e così faccio anch'io.
Una volta fuori, l'avvicino. — Tutto bene?
Lei evita di guardarmi. — Sì. Grazie per ieri.
— Figurati.
— Ho detto o fatto qualcosa di sbagliato?
— No.
— Oh, meno male.
Mente? O non ricorda davvero?
Restiamo in un silenzio imbarazzante per un attimo.
— Allora vado — dico.
— Sì.
Mi allontano. Sono sicuro che si ricorda tutto, o non sarebbe stata in imbarazzo.


Dopo un mese la rivedo di nuovo all'azienda vinicola. Questa volta ho accompagnato suo fratello che ho incontrato in strada. Non avendo una macchina, l'ho accompagnato da sua sorella che non vedeva da mesi per via dell'università. Si sono abbracciati e parlati mentre facevo il terzo incomodo. Poi è arrivato mio zio, il loro padre, e abbiamo cenato alla trattoria. Mio zio si è dilungato in aneddoti nostalgici, ma nessuno lo ascoltava. Alla fine lui e mio cugino sono andati via mentre io ho fatto la mia solita passeggiata notturna lungo i filari esterni dell'uva.
Dopo sono tornato alla trattoria, ma non ho sentito piangere. Sono andato lo stesso dietro la struttura e ho trovato mia cugina seduta sugli scalini.
Ci siamo guardati per un momento.
— Stavolta non sto piangendo — dice con un sorriso amaro.
— Già — rispondo. Mi siedo di fianco. — Come va?
— Bene
— Lo zio è il solito chiacchierone. Non è cambiato affatto.
— Non lo vedi da molto? — mi domanda.
— Sì, da sei anni.
— Oh, è tanto.
— Eh sì, il tempo vola.
— Gli zii come stanno? — mi chiede.
— Bene. La zia?
— Bene anche lei.
Rimaniamo in silenzio per un po'.
— Scusa — dice mia cugina quasi in un bisbiglio.
La guardo. — Per cosa?
— Per le cose che ti ho detto in auto.
— Ah... Non fa niente.
— Non volevi che mi vergognassi, vero? Per questo hai detto che...
— Eri ubriaca. Non eri in te.
Un breve silenzio.
— Ti ricordi quando giocavamo al dottore? — domanda lei con un sorriso nostalgico.
— Sì, ricordo.
— Ti obbligavo a fare il paziente.
Sorrido. — Già. Non credo di aver mai fatto il dottore.
Il suo sorriso si fa più radioso. — No, non l'hai mai fatto.
— Volevi fare la dottoressa da grande?
— Sì... Come lo sai?
— Non lo so. Ho tirato a indovinare.
— Capito.
— Non l'hai più fatta?
Mio cugina abbassa lo sguardo. — Non ero portata. Un conto è farlo per gioco. Un altro è farlo per davvero. Non ero tagliata per fare il medico.
— Capisco.
Un lungo silenzio.
Lei si alza. — Sarà meglio che vada.
— Va bene.
Mi fissa per un momento in una maniera strana.
— Che c'è? — chiedo.
— Le risposte che mi hai dato in macchina. Le pensi davvero?
Mi acciglio turbato. — Sì.
Distoglie lo sguardo per un attimo. — Buonanotte.
— 'Notte.
La guardo entrare nella trattoria. Perché mi ha posto quella domanda? Voleva farmi imbarazzare?
scritto il
2025-05-18
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