La figlia del socio (parte 5)
di
Kugher
genere
sadomaso
I due uomini, anzi, i due Padroni, in piedi davanti alla preda inginocchiata, ammirarono il suo corpo così decorato.
I capelli biondi, alle spalle, spettinati, ornavano il viso semi contratto dal dolore provato, testimonianza della sottomissione e del corrispettivo potere.
Il collare nero, grosso, spesso, forte come il simbolo che era, contrastava col colore dei capelli.
Il guinzaglio pendeva sulla schiena per non rovinare la bellezza dell’immagine del corpo ornato da quelle pinzette che univano capezzoli e figa, lasciando alla schiava una tensione continua che le girava dal cervello alla figa, passando dalla bocca dello stomaco per prendere maggior forza e vigore.
“A quattro zampe tra le due poltrone, col viso verso una e il culo esposto all'altra".
Benchè inutile per farle assumere la posizione, Mattia, posto alle spalle della schiava, posò un piede tra le scapole e spinse nel momento in cui diede l’ordine.
Micaela era concentrata sulla nuova esperienza che le sembrava le trafiggesse la testa, incapace, in quel momento, di pensare ad altro se non ad eseguire passivamente l’ordine.
Simone prese posto sulla poltrona posta davanti alla schiava. Accavallando la gamba aveva il piede che arrivava vicinissimo al viso della ragazza.
Da quella posizione, meglio che da quella eretta, poteva osservare i seni pendenti ai quali erano attaccate le pinzette e, ad esse, la catenella che si dirigeva verso altra zona sessuale.
Solo in quel momento Simone comprese l’utilità di quel piccolo ripiano di cristallo posato sul tavolo centrale, apparentemente parte di un tavolino, viste le dimensioni, ma dalla funzione sconosciuta se appoggiato sul mobile.
Mattia prese l’oggetto trasparente e lo pose sulla schiena della schiava, in modo che appoggiasse sul bacino e sulle spalle.
“Allarga un poco le braccia”.
Col piede invitò la ragazza ad allargare il sostegno così da avere le spalle alla stessa altezza del bacino.
La scomodità di Micaela soccombeva rispetto all’utilità di avere quel cristallo livellato rispetto al terreno. Senza tacere il fatto che la scomodità della sottomessa era essa stessa fonte di ulteriore piacere per i Dominanti che si apprestavano ad usarla come tavolino.
Mattia, infatti, si allontanò per tornare con un vassoio sul quale erano appoggiati due bicchieri, una bottiglia e alcuni stuzzichini, tutte cose utili per un aperitivo che si apprestava ad essere molto particolare.
Sul cristallo poggiato sulla schiena di Micaela vennero posati gli oggetti che prima erano sul vassoio. Se questo fosse stato posato direttamente sul tavolino umano avrebbe privato della vista del corpo sotto il cristallo.
Mattia prese posto sulla poltrona posta alle spalle dell’oggetto umano.
Entrambi i Padroni si erano tolti scarpe e calze.
La posizione strategica delle due poltrone in mezzo alle quali era stata fatta mettere la schiava, implicava di per sé avere la nudità del piede.
I due uomini si servirono da bere e presero qualche stuzzichino.
Tra un sorso e l’altro appoggiavano il bicchiere sul tavolino.
“Naturalmente non devi far cadere niente, cagnetta. Se accadesse verresti riempita di frustate”.
La tensione della ragazza era evidente. Questo elemento si aggiunse alle circostanze che davano piacere mentale ai Padroni.
Mattia, mentre beveva il suo aperitivo, passava il frustino sulla natica della schiava, volendo anticipare ciò che sarebbe accaduto, così che cominciasse ad assaporarlo e, soprattutto, a temerlo, sapendo che sarebbe arrivato ma non “quando” e “quanto”, nemmeno “come” e “dove”.
I Padroni, che sapevano l’effetto che il frustino poteva fare in chi ancora non aveva mai avuto modo di conoscerlo, sentivano il piacere alla bocca dello stomaco nel vedere la cagnetta che, pur non soffrendo al presente ma nel timore della sofferenza futura, cercava di muovere le natiche come a sottrarle a ciò che sapeva essere inevitabile e sconosciuto, come se quel minimo movimento laterale potesse essere idoneo o sufficiente per preservarla o allontanarla dalla promessa di eccitazione altrui.
Anche Simone impugnò il frustino per divertirsi con la giovane preda, mettendo la paletta sotto al mento per costringerla ad alzare lo sguardo, quello sguardo che cercava sempre il pavimento per evitare il suo, carico di promesse di piaceri egoistici.
I capelli biondi, alle spalle, spettinati, ornavano il viso semi contratto dal dolore provato, testimonianza della sottomissione e del corrispettivo potere.
Il collare nero, grosso, spesso, forte come il simbolo che era, contrastava col colore dei capelli.
Il guinzaglio pendeva sulla schiena per non rovinare la bellezza dell’immagine del corpo ornato da quelle pinzette che univano capezzoli e figa, lasciando alla schiava una tensione continua che le girava dal cervello alla figa, passando dalla bocca dello stomaco per prendere maggior forza e vigore.
“A quattro zampe tra le due poltrone, col viso verso una e il culo esposto all'altra".
Benchè inutile per farle assumere la posizione, Mattia, posto alle spalle della schiava, posò un piede tra le scapole e spinse nel momento in cui diede l’ordine.
Micaela era concentrata sulla nuova esperienza che le sembrava le trafiggesse la testa, incapace, in quel momento, di pensare ad altro se non ad eseguire passivamente l’ordine.
Simone prese posto sulla poltrona posta davanti alla schiava. Accavallando la gamba aveva il piede che arrivava vicinissimo al viso della ragazza.
Da quella posizione, meglio che da quella eretta, poteva osservare i seni pendenti ai quali erano attaccate le pinzette e, ad esse, la catenella che si dirigeva verso altra zona sessuale.
Solo in quel momento Simone comprese l’utilità di quel piccolo ripiano di cristallo posato sul tavolo centrale, apparentemente parte di un tavolino, viste le dimensioni, ma dalla funzione sconosciuta se appoggiato sul mobile.
Mattia prese l’oggetto trasparente e lo pose sulla schiena della schiava, in modo che appoggiasse sul bacino e sulle spalle.
“Allarga un poco le braccia”.
Col piede invitò la ragazza ad allargare il sostegno così da avere le spalle alla stessa altezza del bacino.
La scomodità di Micaela soccombeva rispetto all’utilità di avere quel cristallo livellato rispetto al terreno. Senza tacere il fatto che la scomodità della sottomessa era essa stessa fonte di ulteriore piacere per i Dominanti che si apprestavano ad usarla come tavolino.
Mattia, infatti, si allontanò per tornare con un vassoio sul quale erano appoggiati due bicchieri, una bottiglia e alcuni stuzzichini, tutte cose utili per un aperitivo che si apprestava ad essere molto particolare.
Sul cristallo poggiato sulla schiena di Micaela vennero posati gli oggetti che prima erano sul vassoio. Se questo fosse stato posato direttamente sul tavolino umano avrebbe privato della vista del corpo sotto il cristallo.
Mattia prese posto sulla poltrona posta alle spalle dell’oggetto umano.
Entrambi i Padroni si erano tolti scarpe e calze.
La posizione strategica delle due poltrone in mezzo alle quali era stata fatta mettere la schiava, implicava di per sé avere la nudità del piede.
I due uomini si servirono da bere e presero qualche stuzzichino.
Tra un sorso e l’altro appoggiavano il bicchiere sul tavolino.
“Naturalmente non devi far cadere niente, cagnetta. Se accadesse verresti riempita di frustate”.
La tensione della ragazza era evidente. Questo elemento si aggiunse alle circostanze che davano piacere mentale ai Padroni.
Mattia, mentre beveva il suo aperitivo, passava il frustino sulla natica della schiava, volendo anticipare ciò che sarebbe accaduto, così che cominciasse ad assaporarlo e, soprattutto, a temerlo, sapendo che sarebbe arrivato ma non “quando” e “quanto”, nemmeno “come” e “dove”.
I Padroni, che sapevano l’effetto che il frustino poteva fare in chi ancora non aveva mai avuto modo di conoscerlo, sentivano il piacere alla bocca dello stomaco nel vedere la cagnetta che, pur non soffrendo al presente ma nel timore della sofferenza futura, cercava di muovere le natiche come a sottrarle a ciò che sapeva essere inevitabile e sconosciuto, come se quel minimo movimento laterale potesse essere idoneo o sufficiente per preservarla o allontanarla dalla promessa di eccitazione altrui.
Anche Simone impugnò il frustino per divertirsi con la giovane preda, mettendo la paletta sotto al mento per costringerla ad alzare lo sguardo, quello sguardo che cercava sempre il pavimento per evitare il suo, carico di promesse di piaceri egoistici.
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