La figlia del socio (parte 6)

di
genere
sadomaso

Simone sfiorava con l'alluce le labbra di Micaela senza penetrarle, nonostante la schiava, quasi a volerlo compiacere, le dischiudesse promettendo umidi spazi anticipatori di ben altro piacere.
“Tira fuori la lingua”.
L’uomo adorava l’uso della lingua, sul cazzo, nel culo, sui piedi, sulle palle. Lo eccitava, gli dava brividi di piacere ai quali difficilmente ometteva di farvi ricorso nelle sue avventura di dominante.
La paletta del frustino costringeva la ragazza a tenere la testa alta.
L’uomo, mentre passava la pianta del piede sulla lingua, pretendeva che gli sguardi, dalla diversa altezza, si incrociassero.
Davanti non aveva una schiava qualsiasi, aveva la figlia del suo socio, quella che lo arrapava da tempo con i suoi vestiti aderenti fino a mezza coscia, con le movenze da stronza, tipici di colei che, conscia della sua bellezza, si diverte ad esibirsi sapendo di essere inarrivabile, in quanto figlia del capo.
Girava spesso tra gli uffici, anche quando studiava le piaceva mettersi in un locale a lei dedicato.
Davanti a sé, anzi, ai suoi piedi, aveva il raffronto tra sé e Gerardo, colui che aveva una compostezza e fermezza del quale era sempre stato invidioso, pur non riuscendo ad imitarlo. A lui piaceva divertirsi, bere, viaggiare, avere donne o, meglio, a volte solo corpi da usare e dentro i quali godere.
Gerardo no, era tutto di un pezzo. Pensava al lavoro, ai suoi studi di piacere, alla famiglia. Cazzo, ma come hobby uno poteva avere lo studio del rinascimento? Quando era stato a casa sua si era soffermato a guardare la quantità di libri di quell’epoca storica successiva al medioevo. Li aveva guardati incredulo che qualcuno potesse sottrarre tempo ai divertimenti per leggerli. Aveva smesso di dedicare loro attenzione quando gli avevano presentato Micaela, da poco iscritta all’università, con quei capelli biondi, ben oltre alle spalle, quel seno giovane ed eccitante. La gnocca stava uscendo, sicuramente per fare impazzire qualche ragazzo, viste le sue calze nere sotto il miniabito e sopra i tacchi a spillo.
Eppure invidiava Gerardo per ciò che lui non avrebbe potuto o saputo essere. Si sentiva inferiore rispetto alla sua cultura e al suo carattere che gli ricordava il compianto padre.
In quel momento provò il desiderio, al quale non resistette, di accogliere l'invito della cagnetta e infilare l’alluce nella bocca, per tenercelo a lungo e godersi la simulazione di pompino.
Alzò lo sguardo per distogliere i suoi pensieri dal confronto con il padre della schiava e cercare il suo amico Mattia.
Mattia non era mai piaciuto a suo padre che lo considerava troppo superficiale e, a volte, anche senza scrupoli. Aveva ragione suo padre. Parte del successo dell’azienda era dovuto all’inventiva di Simone ma anche alla spregiudicatezza di Mattia che, spesse volte, si ritrovava ad operare senza i freni di Simone che faceva finta di non vedere ciò che il socio faceva.
Anche Mattia si stava divertendo col piede il cui alluce cercava, riuscendoci, di penetrare la figa della schiava. Simone si chiese se la trovasse umida o asciutta. Sicuramente questa circostanza non sembrava interessare Mattia il quale spingeva dentro l’alluce e, sembrava, con gran divertimento.
Fu il socio a rispondere alla domanda inespressa.
“Sentissi com’è bagnata questa puttanella. Il piede entra che è una meraviglia. Pare proprio che l'adrenalina dell’esperienza da schiava la bagni come una cagna in calore.”
Simone distrasse i pensieri da sé, da Mattia, dal padre, dal socio, per concentrarsi sul suo cazzo.
La frase del suo compagno di avventure lo eccitò e spinse il piede in bocca alla schiava.
Uno sguardo di intesa portò Mattia a calare la paletta del frustino sulla natica della schiava che, colta di sorpresa, ebbe uno scatto di lato, facendo ballare il tavolino sul quale vi era ancora la bottiglia.
“Puttana! Attenta a non far cadere la bottiglia altrimenti dovrai leccare da terra tutto il nettare disperso mentre ti riempiamo di frustate”.
La minaccia fu seguita da altro colpo di frustino che, non più inaspettato, la vide restare ferma.
La tensione la portò, però, a stringere i denti sull’alluce che aveva ancora in bocca.
Questo le costò una frustata sulla parte di spalla non coperta dal ripiano di cristallo che la condannava alla sua funzione di tavolino eccitante.
“I denti cagna, devi dimenticarti di averli fino a domani mattina”.
Ricevette un colpo di frusta ancora sulla spalla ed uno sulla natica, ma riuscì a mantenere la posizione senza grossi danni.
Simone memorizzò la minaccia del socio e si ripromise di gettare a terra qualche salatino per il solo piacere di farglielo raccogliere con la bocca da terra.
di
scritto il
2025-04-22
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