Aretusa. 2. Amore senza tempo

di
genere
saffico

L'emozione mi prende e mi fa battere forte il cuore. Davvero sto vivendo questo sogno? Sto parlando con una dea dell'antica Grecia, seppure si tratti di una divinità minore?
Decido di non cercare troppe risposte e di non farmi troppe domande.
Mi è sembrato di capire che questo Alfeo sia rimasto qui ad aspettare che la ninfa gli si concedesse, sotto forma di donna o anche solo di flusso acquoso, e che, in buona fede, voglia fare di lei la sua sposa. E credo che Aretusa non sia molto dell'idea, né di cedere al corteggiamento amoroso, né di fare sesso col dio e ancora meno di diventare sua moglie.
“Ma spiegami bionda ninfa, qual è, di preciso, il problema con Alfeo?” Cerco di verificare.

“Fuggo del dio quel suo desìo di sesso.
Non cederò all'effusione amorosa.
Voglio servir la dea Diana, oggi stesso.
Non ti scordar che un dì mi chiese in sposa!”

“Ma ascolta, Aretusa, davvero non vuoi diventare la moglie di Alfeo? Vuoi rimanere la scudiera della dea cacciatrice per tutta la vita? È così deplorevole la vita coniugale?”

“Questa mia nuova non desti il tuo orrore:
Devi sapere, mia giovane amica,
Non m'interessa dell'uomo l'amore.
Della dea Diana io adoro la fi...”

“Ok, ok! Ho capito perfettamente!” La interrompo mettendo le mani avanti. Non vorrei che questa conversazione fosse percepita al di fuori delle acque della sorgente. Questa povera ragazza è davvero così devota alla sua protettrice che se ne è realmente innamorata. Non so se la cacciatrice sappia di questa tendenza e, nel caso, se approfitti delle sue ancelle.
“Senti, cara ninfa. Ma Artèmide è al corrente di questo tuo particolare affetto? Che tipo è? Le piace il fringuello”, e intanto muovo indice e medio uniti per rendere l'idea, “o preferisce la passera?”
Ma lei mi guarda senza capire. Aggrotta la fronte in un'espressione di fatica e non percepisce le metafore del linguaggio moderno.
“Mi spiego: Diana ama le donne? Si congiunge in amore con le sue ninfe?”
Lei ora assume un'espressione distesa. Ha afferrato il concetto.

“Anche tu questo pensier l'avrai fatto,
e in questo modo già l'hanno dipinta.
La confessione richiede del tatto:
del modo di Saffo, Diana è convinta.”

Bene, mi dico. Ora il concetto è più chiaro. Aretusa ama Diana e la dea ama le sue ninfe. In effetti ho sempre avuto quella sensazione anch'io.
“Ma scusa, Aretusa; Diana non può riferire ad Alfeo che tu fai parte del suo corredo e di levarsi, gentilmente, dalle palle?”
Ancora lei mi guarda senza capire. Devo controllare il linguaggio. Traduco, allora, il messaggio in un idioma più consono per la ninfa.

“Fosse così, o novella mia amica!
Ma il fiume è figlio del dio Oceàno.
Della dea Diana non vale fatica,
e le sue ninfe proteggere è vano.”

Bella rogna, devo constatare. Questi dèi dell'Olimpo non si prendono a cuore delle miserie umane, ma nemmeno di quelle delle loro ancelle. Questa povera divinità minore ha bisogno di aiuto. Rischia di rimanere nascosta in forma d'acqua in questa crepa del terreno, oppure di dover subire attenzioni maschie cui non aspira per nulla. Già, e poi Aretusa è un'amante della libertà, delle corse nei boschi e dei bagni nei fiumi, senza vesti. Non ce la vedo in moglie ad Alfeo.
“Giovane ninfa, io vorrei aiutarti, ma come posso fare? Hai qualche idea per uscire da questa situazione?”
Lei mi guarda e pensa, finchè una scintilla di speranza illumina il suo bel volto, sempre fresco come se avesse realmente vent'anni.

“Non puoi andar tu a giacere col dio?
Sanar per sempre la sua fame antica
dando il tuo corpo per salvare il mio,
Fargli annusare e leccar la tua f...”

“Ahooo! Ho colto la perifrasi! Accidenti, quando vuoi riesci a farti capire alla perfezione!”
Lei annuisce e mi guarda piena di attesa, prendendosi il pugno in una mano. La situazione sta evolvendo con una piega imprevista e rischio di perderne il controllo.
“Ma fammi capire: devo farmi scopare io da Alfeo perchè tu sia liberata?”
Lei mi guarda senza capire.
“Cioè, mi correggo: devo giacere io in amore con Alfeo perchè così si sopisca l'ardore del fiume e quello riprenda le sue sembianze acquose acciocché tu possa ritrovare la tua libertà?”

“Sì”

Ottima risposta, sintetica, senz'altro, ma molto chiara. Al posto dei soliti quattro versi di endecasillabi, una secca affermazione. Ma almeno non ci perdiamo in antifone, metafore e giri di parole.
“Aretusa, ti rendi conto di cosa mi stai chiedendo? A parte che non sta bene chiedere a una amica appena conosciuta di fare sesso con uno mai visto per salvarti il culetto. Io non sono esattamente di quella pasta. E se quello, poi, ci prova gusto e mi vuole in moglie? Insomma, non è così semplice. Cioè: non dico che avrei eccessivi problemi a giacere con un uomo, anche se in questo momento preferirei giacere con te, però non è che mi puoi chiedere di colpo una cosa così. Io stavo invece per chiederti se per caso Diana avesse bisogno di un'altra scudiera, una che conosce l'arte di Ippocrate. Sai, a una certa età può tornare utile.”
Ma lei cade in ginocchio scoppiando a piangere.

“Pensavo, invano, che fossi qui giunta
per aiutarmi a fuggire dal fiume.
Come una vacca non voglio esser munta.
D'una speranza mi desti il barlume.”

Si prende il volto tra le mani e singhiozza, qui, ai miei piedi. Ora mi fa tenerezza, la povera ragazza. Qui da due millenni, senza alcuna possibilità, finora, di cambiare la sua sorte. Di fatto prigioniera, lontano dai suoi boschi, dalle sue corse, dalla dea che ama così teneramente. Mi avvicino, mi inginocchio di fronte a lei e l'abbraccio. Lei pure distende le sue braccia e mi avvolge. È la prima volta che tocco una dea, in carne e ossa, che ne sento l'abbraccio. I suoi capelli sono profumati di mughetto, la sua pelle è incredibilmente liscia e morbida e, veramente, è bellissima, come descritto nelle antiche odi. Sarei forse anche disposta a lasciarmi sedurre dal dio Alfeo, per poterla liberare. Non sono proprio il tipo che se la fa con uno che neanche conosce, ma vorrei tanto liberarla, e poi, in fondo, se Alfeo è un dio, magari potrebbe anche essere bello e focoso e il sesso con lui risultarne imprevedibilmente molto piacevole.
Ma più ancora vorrei congiungermi con questa ragazza. Non solo amarla o farci sesso, ma poterla frequentare, conviverci, conoscerla, diventare amiche e magari, dopo essere entrate in confidenza ed esserci trovate affini, diventare compagne. Chissà, forse potrei anche fare un'esperienza al servizio della dea sua protettrice. Certo, io sono mortale e non credo che Diana possa cambiare la mia sorte, tuttavia sarei molto curiosa di provare a fare da servitrice, o collaboratrice, conoscerla ed entrare in confidenza con lei. Senza necessariamente una finalità sessuale, anche se a priori non me ne priverei, se ce ne fosse l'occasione.
Intanto Aretusa ha smesso di singhiozzare. Ha appoggiato il suo capo sul mio seno. Mi ritrovo ad accarezzarle i capelli e a baciarla sul collo, quasi senza accorgermene, ma lei lascia fare e forse anche questa tenerezza l'ha aiutata a tranquillizzarsi.
Ora solleva il suo viso, mi guarda con gli occhi arrossati e umidi di lacrime, poi lo sguardo le si addolcisce, socchiude le palpebre e apre appena le labbra invitandomi a baciarla.
Le nostre bocche si uniscono e ci baciamo.
La sua lingua è fresca come acqua di fonte e le sue labbra morbide e accoglienti come petali di rosa.
La stringo a me e sento le sue braccia che mi cingono come tentacoli per avvicinarmi al suo corpo.
Quando i nostri seni si toccano, sussulto per il sensuale contatto e sento che lei geme nella mia bocca. Il suo petto è sodo e consistente, soffice come polpa di fichi maturi al contatto col mio.
Le nostre mani cercano i corpi giovani e fragranti e i nostri capelli si mescolano, e continuiamo a baciarci, come se questa ragazza non avesse avuto alcun contatto amoroso negli ultimi duemila anni e volesse ora recuperare tutto l'affetto saffico di cui ha dovuto privarsi.
Mugugna nella mia cavità orale, forse anche parla, pronuncia parole che non riesco ad afferrare, e io mi chiedo come fossero le usanze nell'antica Grecia o nell'Italia latina.
Le sue unghie mi scavano nella schiena e io la stringo più forte, spostando una mano sul suo sedere che si delinea al tatto, alla base della sua schiena, come invitante sporgenza tondeggiante in cui distinguo l'eminenza dei due glutei.
Allungo le dita su una chiappa senza perdere il contatto con la piega tra le natiche, spingendomi in cerca dei punti di maggior sensibilità.
Le unghie che mi graffiano la pelle mi rispondono che la ragazza sta apprezzando le mie insinuazioni e, senza ancora interrompere quel bacio eterno, cadiamo sulla sabbia, rotolandoci nella rena.
Presto mi ritrovo anch'io a pronunciare il suo nome, che rimbomba cupo nella sua gola mentre il nostro bacio continua.
Il mio ventre è appiccicato al suo, gemiamo e invochiamo i nostri nomi mentre ancora ci baciamo.
Le mie gambe cercano il suo corpo e quando lo trovano lo avvolgono come una pianta rampicante.
Il mio pube aderisce al suo, sento i suoi peli ricci sulla mia vulva ed in quel momento smettiamo di baciarci.
Mi sollevo, sono sopra di lei, ci guardiamo: siamo senza fiato, affannate e col viso arrossato nell'impeto di questo bacio chilometrico, di questo amplesso vorace, di questa sete atavica.
I suoi capelli fluiscono sulla sabbia ramificandosi come il delta aureo della foce di un fiume di miele; i miei capelli neri scivolano sul suo corpo, sul suo seno, sulle sue spalle, come morbide unghiate di inchiostro corvino. Marcato contrasto, come grida di tenebra sulla sua pelle candida.
I nostri occhi saettano gli uni incontro agli altri e, incapaci di proferire verbo, ci tuffiamo di nuovo nel gorgo nelle nostre bocche.
Ma questa volta le mani non stanno ferme e, divincolando i nostri corpi come molluschi strappati dal mare e gettati sulla sabbia, ci cerchiamo e ci esploriamo.
Io le afferro il seno e lei urla di piacere e di sorpresa. Si distacca dalla mia bocca e mi guarda con un'espressione sconvolta dalla lussuria.
Con un ringhio roco mi ribalta e affonda la sua bocca nel mio petto, mi morde fino a farmi urlare dal dolore e subito mi succhia e mi lecca per lenirmi le sensazioni addomesticandole con i suoi baci.
Poi sono io a rovesciarla, avventandomi sul suo collo, mentre le sue dita si infilano tra i miei capelli come punte di compassi. La mia mano scorre sul suo ventre, supera il pube e si infila tra le sue gambe, scivolando su un sentiero bagnato e viscido di piacere.
Le mie dita sono dentro di lei mentre la ninfa mi urla nelle orecchie il suo piacere.
Mi serra al suo corpo e mi avvinghia con i suoi tentacoli. Le sue dita oltre il mio sedere mi raggiungono la vulva impiantandosi come lance acuminate nel mio ventre.
Ora è un movimento vorticoso quello che anima le nostre mani predatrici, affogate nei vortici di schiume e di desideri delle nostre vulve.
Rumori bagnati sguazzano dai nostri nidi più sensibili, nelle tane di piacere, gorghi di nettare e di miele di donne eccitate.
Ci scardiniamo un orgasmo dietro l'altro, insaziabili, inappagate, vogliose e insoddisfatte.
Incastonate una sull'altra, come un unico groviglio di membra, gambe, capelli, braccia; dita in continuo movimento, lingue bramose, labbra frementi e suoni di sinfonie di piacere, di donne in incontenibile godimento, finchè, dopo l'ultimo orgasmo, giacciamo una accanto all'altra, nude e ansimanti, sudate e spossate.
Ci guardiamo mentre i nostri seni sono ancora scossi dai sussulti, mano nella mano; le schiene sulla sabbia, i capelli appiccicati alla fronte, alle labbra, ai seni e alle spalle sudate.

“Tenera donna, t'ho desiderato,
Yuko, gentile, dal seno fremente,
per tanto tempo che ho dimenticato
sia di baci che di carezze lente!

Or che la mano di una donna tocca
questo mio corpo mai sopito o anziano
freme la lingua, cerca la tua bocca:
mi abbandono, resisterti mi è vano!

Prendi il mio corpo! Donami piacere
fammi sentire che sono ancor viva.
Son, questi, baci e carezze vere
dentro al tuo abbraccio mi perdo lasciva!”

Io la guardo e mi accorgo di essere già innamorata di questa donna, di questa ragazza, di questa creatura di cui mi sfugge la natura, ma non l'essenza. La guardo e non sono capace di dire nulla che non rischi di scalfire questa gemma preziosa, questo sogno, questa poesia idilliaca.
Lei mi guarda e i nostri respiri non si chetano; anzi, come getto di benzina sul fuoco, il nostro affanno cresce; un gorgoglio, un rantolo emerge dalle nostre bocche affamate, emissarie di voglie represse. Ci buttiamo di nuovo una sull'altra, ci rotoliamo sulla sabbia ringhiando come due pantere che lottano tra morsi e artigli, due belve che si cercano e che si desiderano.
E le mani non si sedano, e le lingua non si chetano.
Io le tiro i capelli, lei mi tira i peli del pube. Urliamo di dolore e di passione, ci dimeniamo, ci ribaltiamo ritrovandoci col mio volto tra le sue cosce e la sua bocca sulla mia vulva.
Mi aggrappo alle sue gambe e immergo la faccia nella sua fica spumeggiante, il suo sapore, il suo odore di dea in orgasmo, di divinità in amore fremente.
La sua lingua si muove dentro di me come nessun dito, nessun uomo e nessun oggetto mi ha fatto mai provare. La penetrazione profonda, la stimolazioni clitoridea, il caldo umido della sua lingua, le sue labbra che mi succhiano e mi rilasciano e il suo ventre che mi strofina i seni.
Urlo, piango, gemo tra le sue cosce pallide, sotto il suo cespuglio ispido, in questo stagno tiepido di morbidi petali dal sentore obnubilante.
E ancora mi scuoto in un nuovo orgasmo, ancora la sento dibattersi in preda all'estasi tra i miei baci e le mie carezze.
Scivoliamo tra le tiepide onde del mare Egeo, su spiagge cristalline di sabbia abbagliante, tra il vellutato profumo di mare e il suono tentatore di languide onde.
Il sole caldo ci colpisce le spalle, ci scotta le cosce, ci schiaffeggia i seni e il sedere.
Piccoli spilli ci feriscono la pelle, come migliaia di gamberi e paguri a scalare le vette delle nostre curve assopite.
Abbracciate, avvolte, compenetrate ci abbandoniamo al dolce deliquio senza mai lasciare la mano che ci unisce.

- Continua
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2023-01-04
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