All I Want For Christmas

Scritto da , il 2021-12-24, genere etero

Ciao, sono Annalisa. Buon Natale a tutti. Non so perché pubblico questo racconto proprio oggi. In realtà non so proprio perché lo pubblico. Anche se avevo cercato di scriverlo seguendo gli stilemi di ER, mi sembrava una cosa troppo personale per farla leggere in giro. Doveva chiamarsi “Come comincia un amore” e invece si chiama così. Voi leggetelo come se l’avessi scritto… uh, mi pare a ottobre.

*****

- Sai una cosa che mi fa DAVVERO impazzire di te?

Mi volto a guardarlo mentre chiudo insta e poggio il telefono sul tavolino davanti al divano. Piccolo senso di colpa, ero distratta, non lo stavo proprio ascoltando.

Incrocio il suo sguardo da stronzetto. La postura, con quella bottiglietta di birra nella mano appoggiata al bracciolo. Qualcosa mi dice che c’è sotto una sòla.

- No, cos’è? – domando interlocutoria.

- E’ il modo in cui ti sistemi la ciocca di capelli dietro l’orecchio quando ti pieghi a farmi un pompino… e anche la faccia che fai, come apri la bocca…

Lo guardo. All’inizio con sorpresa poi con commiserazione. Poi scoppio a ridere. Lo sapevo che c’era la sòla: una pensa a una coccola, invece questo vuole un pompino.

Non c’è nulla di male, anzi. Ma bastava la richiesta, o anche meno. Ora invece se lo deve guadagnare. Lo scenario è completamente cambiato. E gli scenari su questo divano contano.

Con il tempo ne abbiamo costruiti diversi, più o meno volontariamente. Non lo facciamo per non annoiarci, lo facciamo perché a entrambi piace il gioco. A occhio e croce direi che il copione di stasera prevede che, prima di farmi mettere sotto, lo sfotta e lo insulti un po' e che lui reagisca. Un duello cerebrale, una sfida.

Anche per questo rido, per accettare la sfida. E la mia risposta dovete immaginarvela detta da una che sghignazza fino a lasciarsi cadere sull’angolo del divano.

- Poteva essere un complimento, invece è una maialata…

Lui ha l’espressività di un salmone affumicato. Finge di essere uno che si attende come risposta “oh sì, tiralo fuori che te lo succhio right now”.

Mi chino un po' verso il suo inguine, la ciocca precipita giù, come da protocollo. Me la sistemo dietro l’orecchio, guardandolo come di solito in momenti come questo non faccio mai (sono impegnata a guardare altro, semmai lo guardo dopo). Gli sorrido: "Cosi?". Annuisce con un'espressione beata. Povero illuso, ma davvero ci crede? Non è possibile. Mi ritiro su di scatto e torno a sedere dall'altra parte del divano, gettandogli un'occhiata beffarda.

- Bene, ora fammi vedere come impazzisci…

- E il pompino? - domanda con il tono di chi ha subodorato la fregatura.

- Uh, per quello se ne riparla tra centocinquanta, centosessant'anni...

- Se è così sarò costretto a ricorrere al mercato...

Bravo, però, lo ammetto, "ricorrere al mercato" è una locuzione che non avrei proprio messo in conto, chissà come gli è venuta. E non ha nemmeno protestato.

- Voglio proprio vedere chi te se pija... - replico pensando a una risposta un po' meglio di questa, puramente difensiva. E anche un po’ rischiosa.

E infatti.

- Tu me te sei pijato, se vede che stavi proprio a pezzi…

E’ vero, io me lo sono “pijato”, preso. Da due anni ormai. E se lui sapesse… Dio, se lui sapesse. Sarò mai capace di dirgli tutto ma proprio tutto? Senso di colpa più forte di prima.

Di colpo la sceneggiatura semi-erotica dentro la quale stavamo recitando scompare. Cioè, scompare per me, per lui non credo. Ma sticazzi. Mi muovo verso di lui e mi vado a sedere sulle sue ginocchia, gli getto le braccia al collo e nascondo la faccia nell’incavo tra la spalla e il suo collo. Mi piacerebbe che adesso arrivasse il remake di quella sera in cui mi disse “mi piaci perché non pesi un cazzo”, ma non è aria. Qualcosa è cambiato.

All’inizio la sua reazione è la stessa di prima, sempre quella di un salmone affumicato. Poi piano piano capisce, lo so che capisce, lo sento. Mi abbraccia anche lui, mi stringe delicatamente a sé. E in quell’abbraccio io mi perdo come Leopardi oltre la siepe. La sfida cerebrale la facciamo un’altra sera, eh?

Avrei dovuto saperlo che Luca era quello speciale. Avrei dovuto capirlo dal semplice fatto che dopo averlo conosciuto ci ho messo cinque giorni per scoparmelo.

No, ok, scherzi a parte. Il vero problema è che sono stata al tempo stesso una scema e una stronza.

Scema, appunto, perché non l’ho capito. Non lo prendevo sul serio, lo pensavo vacuo, futile, indeciso. Un bel manzo e basta. Con il quale divertirmi qualche mese sfruttando per di più la sua (notevole) capacità di spesa.

Mi ammazzerei solo per questo. Dico sul serio, sbatterei la testa al muro.

E mi ammazzerei anche per averlo tradito. E mica una volta o due. Un anno intero, con un uomo sposato. In quell’uomo cercavo cose che pensavo che Luca non potesse darmi e che probabilmente mai mi darà. Cose brutte, se viste da un certo punto di vista, ma di cui sentivo il bisogno. Di cui anche in passato ho sentito il bisogno.

Ma questo è un discorso molto lungo e ci porterebbe troppo lontano.

Invece restiamo qui, con me seduta sopra le sue gambe in questo abbraccio senza principio e senza fine.

Quanto era? Otto mesi fa, mas o meno. Stessa ora della sera, stesso divano, stesso appartamento nello scantinato. Adesso lo chiamo “casa”, allora lo chiamavo “scannatoio”.

Se vi va, seguitemi. Io torno indietro a quella sera, come da allora ci sono tornata un sacco di volte, e mi rivedo così, con la faccia nascosta in quell’esatto punto tra il suo collo e la spalla. Così come sono adesso.

Solo che stavo piangendo da almeno un quarto d’ora.

Era venuta così, all’improvviso, come una cosa che preme, preme e alla fine sfonda tutto. E in quel quarto d’ora abbiamo passato ogni stazione della via crucis. Dal “che hai?” al “perché piangi?”. “E’ successo qualcosa?”. “Mi dici cos’hai?”. Tutte le domande che si possono fare, tutte le preoccupazioni che si possono avere. Poi solamente le sue braccia che mi stringevano. E il silenzio interrotto solo dai miei singhiozzi. Mi sentivo come Papa Francesco il Venerdì Santo del 2020, durante il lockdown: da sola in mezzo a uno spazio immenso.

Eppure non ero sola. Anzi. Per tutto il giorno non avevo visto l’ora che Luca arrivasse. E adesso che era arrivato io non facevo altro che piangergli addosso.

Ogni tanto ho le mie malinconie. Strane, per essere malinconie, perché poi capita che mi agito e sono nervosa, incazzosa. L’ho già scritto. E magari qualcuno avrà pensato che ho scritto una stronzata, ma è proprio così: penso di allontanare questa malinconia agitata con il sesso, scopami-e-calmami. Il bello è che qualche volta funziona pure, ha anche un fondamento scientifico, ormonale. Ma quella volta no. Non poteva funzionare.

Piangevo perché avevo paura che il Mostro fosse tornato. Erano giorni che questa paura mi cresceva dentro e adesso era diventata panico. Ognuna (ognuno) reagisce a modo suo, mi hanno detto. Ma c’è una manifestazione classica del Mostro: la malinconia, appunto, la tristezza, la convinzione che il piacere sia qualcosa di molto futile e che non valga la pena cercare. E che comunque sia una cosa che non ti riguarda. Puoi avere avuto tutte le più belle esperienze del mondo ma questa idea ti si fissa in testa e non schioda. E’ una battaglia dura, quella con il Mostro. Perché non vuole farti dormire, non vuole farti mangiare, non vuole farti studiare, non vuole farti vedere le amiche, non vuole farti divertire. Ti vuole tutta per sé, sei sua. Poi, di colpo, ti molla. Anzi, più che mollarti ti dice va’ via, mi hai rotto il cazzo, vai a rompere i coglioni a qualcun altro. E tu ci vai, perché non ti sembra vero, di colpo ti senti forte e in grado di fare tutto, anche se in realtà non combini quasi nulla di buono. Perché in fin dei conti è sempre il Mostro che ti controlla.

Poi sì, finalmente se ne va. Ma tu sai che può tornare, che ritornerà prima o poi a impedirti di vivere. Ogni quanto? Per quanto? Chi lo sa, forse non lo sa nemmeno lui. A lui che cazzo gliene frega, si diverte. Si diverte con me.

E’ un bel casino, è una condizione disordinata, fatta di eccessi di varia natura. Anche geniali, a volte. Un po’ li controlli, un po’ no, un po’ sei convinta di controllarli ma non è così.

- E come si cura? – ha domandato Luca.

- Con le pillole, con le medicine… ti stabilizzano.

- Le prendi?

- Certo che le prendo… cioè, qualche volta no.

- Perché?

Eh, perché. Come facevo a spiegartelo? Come reagiresti se ti dicessero che devi fare una cosa per forza. Forse per tutta la vita? Non ti viene mai da dire vaffanculo a tutto? E poi a lungo andare è rischioso, devi starti a bucare il braccio ogni tot per controllare i dosaggi. Non te l'aspettavi, eh? Una tipa un po' strana, a volte, d'accordo, ma questo... Sapessi come ci sono rimasta io quando me l'hanno detto. Anzi, spiegato. Io non sapevo manco cosa fosse. La sottile ipocrisia dei dottori: "disturbo", "disordine"... ma chiamatela malattia che facciamo prima.

Comunque non gli ho risposto. Ho scosso la testa, scrollato le spalle. Non mi andava di parlarne più. O meglio, mi sarebbe andato, ma non ce la facevo.

- Senti amore – mi ha fatto alzando un po’ il volume della voce dopo una lunga pausa di silenzio – per me non cambia niente e, te l’ho detto tante volte, vorrei che qui ci vivessimo proprio. Io e te.

Ha pronunciato queste parole prendendomi il mento tra le dita e girando la mia faccia verso di lui. Occhi negli occhi. E’ vero, me l’ha detto un po’ di volte. Non tantissime, non esageriamo. Ho sempre sorvolato, glissato. “E’ un po’ troppo presto” oppure “ma tu sei proprio sicuro?”. Ecco, in generale ho sempre rovesciato su Luca quello che è invece sempre stato il mio scetticismo su noi due, sulla nostra storia. E talvolta ho reagito anche con un po’ di fastidio.

Tuttavia in quel momento l’ho apprezzato, eh? L’ho apprezzato davvero tanto, dico sul serio. E anche se dopo un po’ gli ho chiesto di riportarmi a casa, e lui l’ha fatto senza fiatare, mi sono sentita rassicurata, protetta. Mi sono attaccata a quello. Non era tanto, ma era qualcosa. E soprattutto il tormento della confessione era finito.

Però, sapete com’è, ci vuole poco a dire “per me non cambia niente”. Bisogna vedere come vanno le cose dopo, nel prosieguo. Perché magari in quel momento è solo buona volontà, oppure una forma di pietà.

Con il passare del tempo, devo ammettere che Luca mi ha stupita. Era davvero come se per lui non fosse mai cambiato nulla. Sapete, in queste situazioni ci si sente messe sotto un microscopio e osservate. E invece niente, mai un’occhiata fuori posto, di quelle che indagano per vedere come stai, mai nemmeno una rottura di cazzo tipo “l’hai presa la pillola?”. Il giorno dopo quel pianto sul divano, tra l’altro, non l’avevo presa apposta, aspettavo solo che me lo chiedesse per saltargli alla giugulare. Al contrario, mi ha chiesto se mi andava di restare lì, nello scannatoio, a dormire. Non a scopare, a dormire.

Ci sono rimasta. E dopo quella sera è successo spesso, non solo nei week end.

E alla fine… alla fine è andata così. Che adesso ci vivo insieme e anche per i miei – che un mio legame stabile penso l’abbiano al tempo stesso sempre atteso e sempre temuto - Luca è ormai qualcosa di più del “mio ragazzo”.

Scusate se torno indietro nella narrazione. Ma prima di prendere questa decisione c’è stata quella che poteva sembrare una coincidenza e che invece forse no, non lo è stata. Ne sono quasi certa, anzi, perché riguarda il sesso, e il sesso è sempre stato uno dei nostri linguaggi.

E’ successo una sera che mi sentivo meglio. Per la verità erano un po’ di giorni che stavo meglio, ma quella sera in particolare. Penso che avessi voglia e, chissà, magari quando mi ha vista me l’ha letto negli occhi o l’aveva già capito nei giorni precedenti.

Sta di fatto che, mentre stavo finendo di scrivere una cosa al computer, lui ha versato da bere per tutti e due e si è appoggiato al tavolo. E ha tirato fuori quella sua aria da stronzetto.

- Come era quella storia del legame con il sesso compulsivo?

Detto da chiunque altro, gli avrei sfasciato il laptop in testa. Detto da lui, nella nostra koinè fatta di ironie, prese per il culo e allusioni nemmeno mai troppo velate, è stata davvero la conferma che nulla era cambiato, per lui. So che è una cosa difficile da spiegare e forse da capire, ma scherzare sopra il mio “disturbo” con quella domanda del cazzo – per come siamo fatti e per come funzioniamo noi due – è stato meglio di mille abbracci. Nemmeno mille ore in una spa mi avrebbero regalato quella sensazione di benessere. Non so come dirvelo: avete presente quando qualcosa ti fa sentire i brividi dalla cima dei capelli ai piedi?

In quella domanda, in quell’atteggiamento, in quel trattarmi come mi aveva sempre trattata, c’era tutto Luca. Ne ho sentito l’amore e il desiderio. Il suo. L’ho percepito proprio, era quasi materia solida.

E immediatamente dopo, il mio. Il desiderio, ma anche una cosa che forse ho provato solo qualche anno fa.

- Ahahahah ma quanto sei stronzo – gli ho risposto sollevando lo sguardo.

- Beh, l’hai detto tu che è, come si dice, una manifestazione del disordine, no?

L’ho guardato a lungo dal basso in alto, per essere proprio certa che stesse facendo l’imbecille apposta.

- Sì ma nel mio caso è diverso, nel mio caso è che sono troia di natura – gli ho detto sostenendo lo sguardo e restituendogli lo stesso sorriso.

Si è messo dietro di me e ha poggiato le mani sulle mie spalle. La sensazione della spa, della massaggiatrice dalle mani fantastiche, del benessere fisico, si è reimpossessata di me. Si è chinato a sussurrarmi all’orecchio “Significa che ho una ragazza troia?”, “mmm… già”, “Che culo…”.

E niente, adesso siamo qui sul divano. Io sulle sue gambe, lui che mi sostiene senza sforzo perché non peso nulla. No, non ve lo dirò se poi gli ho fatto un pompino piuttosto che un’omelette ai funghi. Non stavolta. Mi dispiace se qualcuno ha cominciato a leggere pensando che questo fosse un racconto porno. Non lo è, anche se c’è chi pensa che il fatto stesso che sia pubblicato su questo sito lo renda tale.

C’è totale libertà di pensiero, del resto. E io stessa mi sento molto libera adesso.

*****

E anche adesso, in queste ore di vigilia, mi sento molto libera. Davvero. Buon Natale.

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