Il prezzo della sottomissione (parte 7)

di
genere
sadomaso

Mentre andavano a casa era evidente l’eccitazione del Padrone.
Lei non sapeva cosa dire e cosa le sarebbe capitato. Era frastornata.
Appena entrati in casa non ebbe dubbi sul fatto che subito si sarebbe dovuta spogliare.
Ormai da mesi, infatti, a casa del Padrone doveva restare sempre nuda, fatta eccezione per l’abito da cameriera quando lui glielo ordinava.
Niccolò la prese per i capelli e la spinse coi seni contro il muro, schiacciandola col suo peso.
Simona aveva modo di capire la sua eccitazione e, questo, le diede modo di eccitarsi, provando sempre piacere quando avvertiva il desiderio di lui.
“Sei stata bravissima e meriti di essere promossa a schiava da frusta”.
Si ritrovò subito il cuore in gola facendole mancare il fiato.
“C...cosa significa schiava da frusta?”
“Stupida, cosa vuoi che significhi, che mi voglio divertire frustandoti”.
“Ma fa male”
“Appunto!”.
Tirandola per i capelli la fece inginocchiare e appoggiare le mani al muro.
Simona sapeva cosa stava per accadere. Aveva paura, molta paura, ma non riusciva ad alzarsi.
Il Padrone, ancora vestito, iniziò a frustarla sulla schiena con uno scudiscio che faceva malissimo.
La colpiva senza regole, a volte aspettando qualche secondo, altre un minuto intero. Erano entrambi terribili. Nel primo caso non aveva ancora assorbito il colpo precedente che già doveva sopportare altro dolore. Il secondo caso era quasi peggio, perché l’attesa la sfibrava e la portava a tremare mentre cercava di stare ferma aspettando la prossima frustata.
Sembrava che il Padrone non volesse fermarsi mai, nemmeno quando iniziò a piangere e, le sembrò, i colpi aumentarono nella forza.
Era sfinita. Più di una volta si accasciò a terra e strisciò ai suoi piedi supplicandolo di smettere. Mai, pensandoci tempo dopo, lei pensò di andarsene. Voleva solo che finisse, ma non voleva andarsene.
Niccolò era eccitato e, tra le sue lacrime, la possedette sul pavimento, con forza, senza nemmeno pretendere che glielo prendesse in bocca in quanto era già durissimo.
Le godette dentro, spingendo con decisione, affermando il suo potere ad ogni affondo.
Si alzò e la osservò, segnata, piangente e tremante, ai suoi piedi.
Quello era possesso, proprietà di un’altra persona. Quella giovane donna aveva sofferto molto dolore, fino alle lacrime, solo per consentirgli di eccitarsi. Ci era arrivato. Ne aveva intuito il potenziale e i punti deboli sui quali fare leva.
Ora era sua, sua davvero, sua schiava. Da tempo aggiornava i suoi amici sui progressi della giovane donna.
La lasciò lì, a terra, mentre ancora piangeva dal dolore e andò a farsi la doccia.
Mentre si lavava pensò che era stata una bella giornata. Aveva superato due prove. Quella del pomeriggio e della frusta.
Ancora un po’ di tempo e sarebbe stata pronta per essere la schiava di quel ristrettissimo gruppo. L’ennesima, quella del momento.
Arrivata a casa, Simona con orgoglio fece vedere al marito la sua schiena, testimonianza di quanto fosse una brava schiava.
Per tutta risposta alle sue domande, gli prese la mano e se la passò tra le cosce, facendogliele trovare ancora tutte bagnate.
A Giorgio era ormai precluso l’accesso al suo corpo, per ordine del Padrone. Avrebbe solo potuto masturbarsi ascoltando i racconti.
Da quella volta fu sempre più frequente l’uso della frusta che, scoprì, eccitava moltissimo il Padrone.
Si abituò a quel dolore ed arrivò a desiderarlo per quel che significava.
La frusta era diventata strumento di punizione e di piacere, a insindacabile scelta di Niccolò.
Era solo corpo. Per entrambi, Nessuna anima coinvolta. Anche per il marito, Giorgio. nessuna complicità. Solo piacere del corpo.
La macchina era lanciata, Simona e Giorgio ne erano a bordo ma la prima voleva correre sempre più, dando respiro al suo corpo, accorgendosi che per troppo tempo il rapporto col marito aveva due velocità diverse costrette ad una sola.
Giorgio scoprì nuove fantasie sue, nuove perversioni, nuovi piaceri che, però, non viveva assieme alla moglie. Si accorsero, molto dopo, che da troppo tempo, ancor prima dell’arrivo del Padrone, non condividevano anima e complicità.
Il Padrone non si era creato uno spazio, lo aveva trovato già pronto e ci era solo entrato, intuendo le potenzialità di quella giovane donna che in sé aveva desideri di sottomissione mai espressi e che ora stavano esplodendo.
In quei giorni accadde il primo “incidente”.
Se due persone non iniziano insieme un viaggio, questo necessariamente arriva ad un punto in cui i due viaggiatori sono attratti dalla propria velocità.
Simona smise di raccontare a Giorgio cosa accadeva quando era dal Padrone. Non tanto per disinteresse, quanto perché si rendeva conto che Giorgio ascoltava solo per il proprio piacere e, forse, perché nemmeno le interessava farlo.
Anche Niccolò pensava solo al corpo, al proprio piacere, e fece così quella proposta (che in realtà era un ordine) che avrebbe portato Simona a dare una accelerata non tanto al rapporto col Padrone, ma al proprio corpo, alle proprie necessità di vivere quella esperienza di sottomissione che stava sempre più sconfinando nella schiavitù, dandole molti piaceri, procurandole quel continuo stato di tensione alla bocca dello stomaco.
La eccitava quell’altalena, quelle montagne russe, nelle quali, in pubblico, veniva esaltata, mentre nel privato quel corpo era a disposizione dei piaceri altrui e, così facendo, soddisfava quella parte di sé che le era esplosa, come una fionda a lungo trattenuta.
Adorava il contrasto che la vedeva desiderata in pubblico da chi la vedeva col suo Padrone e, inarrivabile, la corteggiava come fosse una principessa. Invece, quella donna desiderata, nel privato era una succhiacazzo.
Dopo avere sentito la proposta, decise di lasciare a terra il marito, che ormai viaggiava su un’altra auto, diversa dalla sua, più lenta e con combustibile diverso.
Non erano partiti complici e la complicità non si era creata. In realtà non si era creata neppure col Padrone, in quanto con lui c’era eccitazione e adrenalina. La sottomissione, latente in lei per anni, le era scoppiata dentro e Niccolò le faceva vedere il mondo dove le sue esigenze del corpo avrebbero potuto respirare.
Quella sera Niccolò si era da poco soddisfatto con il corpo di lei. Il Padrone non pensava mai all’orgasmo della schiava. Se avesse goduto, bene, se non avesse goduto si sarebbe masturbata dopo. A lui non interessava.
Erano stesi a letto assieme.
Accadeva spessissimo. Dopo aver goduto il Padrone si “calmava”, le sue esigenze di dominio si sopivano e stavano spesso a letto assieme, magari abbracciati.
In quei momenti il Padrone si godeva il corpo della sua schiava per la sua bellezza. Gli piaceva il bello, al di là dell’erotismo. Il corpo di Simona era bello e lui traeva piacere da questa bellezza accanto a lui, accarezzarla, tenerla vicino, scaldarsi col suo calore.
In quei momenti regnava anche la tenerezza, finchè lui non si staccava per addormentarsi.
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scritto il
2021-11-26
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