Il vicino di casa

di
genere
tradimenti

Mi chiamo Irma, quarantadue anni, sposata con Giorgio da più di venti. Fedele, sì, senza tante storie e nemmeno trascurata: mio marito mi scopa ancora, non dico ogni notte, ma spesso, e senza finta tenerezza. A casa nostra si ride, si mangia, si scopa e si dorme con le gambe intrecciate, di quelle cose normali che ti fanno sentire protetta, donna intera, senza rimpianti.
Poi c’è il vicino nuovo. Si chiama Mario, ha una voce da camionista e il vizio di tenere la musica a palla, specialmente il sabato sera, quando io vorrei solo mettermi la crema sulle gambe e ascoltare la tv in silenzio.
L’altra notte l’ho sentito ridere con una voce da donna che non era sua moglie, e mi è salita una rabbia secca. Così, verso le dieci, ho infilato la vestaglia e sono scesa a bussare.
Mario mi ha aperto con una canottiera bianca incollata al petto e un odore di sudore e dopobarba che mi ha investita.
«Buonasera, scusa il disturbo…» ho cominciato, ma lui non mi ha fatto finire.
—Entra un attimo, così parliamo senza disturbare gli altri— mi ha detto, spalancando la porta e lasciandomi passare.
Avrei dovuto dire di no. Avrei dovuto tornare su, magari farmi scopare da Giorgio, e invece sono entrata. La casa sapeva di uomo, di roba vissuta, niente candele profumate né cucina in ordine. Mario mi guardava le gambe nude sotto la vestaglia, senza nemmeno fingere di non essere un porco.
—Scusa ancora per la musica, non volevo darti fastidio… Ma ormai sei qui, siediti. Vuoi qualcosa da bere?
—No, grazie.
—Ma tuo marito non è geloso se bussi alla porta del vicino a quest’ora?
Mi si stringe lo stomaco. Sorrido di cortesia. Poi lo vedo avvicinarsi, la canottiera che tira sul petto largo, il cazzo in evidenza sotto i pantaloni della tuta. Non capisco più un cazzo.
Quando allunga una mano e mi tocca la coscia, resto lì, tesa, ma non mi scosto. Dentro sento la figa bruciare, la pelle tirare, il cuore battere in gola.
—Irma, non fare la santa. Lo vedi che ti piace— sussurra, e mi passa un dito sotto la vestaglia, sfiorando le mutande già bagnate.
—Non dovremmo…— provo a dire, ma la voce si rompe.
Poi si abbassa la tuta e me lo mostra, grosso e duro, un cazzo che mio marito può solo sognare. Mi sento sciogliere, la testa leggera.
In un attimo sono in ginocchio davanti a lui, la bocca aperta, la fede che brilla sul dito mentre lo prendo tutto, la faccia sporca di desiderio e vergogna.
—Brava, così. Fallo vedere a tuo marito quanto ti piace il cazzo vero— mi sussurra in testa, mentre mi tira i capelli e mi scopa la bocca.

Da lì in poi non ho più pensato a niente. Me lo sono ritrovata in bocca che pulsava ancora di più. Mario aveva una mano sulla mia nuca e l’altra a reggermi il mento, mi teneva ferma mentre mi guidava, lento, poi sempre più deciso. Sentivo il cazzo scivolare sulle labbra, sulle gengive, fino a grattarmi la gola, e io tossivo piano ma senza tirarmi indietro.
Non l’avevo mai fatto davvero così, con Giorgio era tutto più pulito, controllato, mai che mi sbattesse in faccia la sua voglia. Con Mario invece il piacere era sporco, caldo, senza regole. Mi ha tirata su all’improvviso, senza dire una parola, e mi ha spinta contro il tavolo della cucina.
—Girati— mi ha ordinato, e io ho obbedito subito, con la figa già bagnata che mi colava sulle cosce. Mi ha sollevato la vestaglia e me l’ha strappata via dalle spalle, lasciandomi nuda, le tette schiacciate sul legno freddo, il culo esposto alla sua fame.
Me l’ha infilato dentro con una forza che mi ha fatto urlare. Nessuno era mai entrato così, nemmeno Giorgio quando si lasciava andare nei primi anni di matrimonio. Ho sentito la figa aprirsi, la carne bruciare e la vergogna esplodermi in testa.
—Ti piace, eh?— sussurrava Mario, schiacciandomi la schiena con una mano. —Guarda come mi prendi tutta, troia…—
Io ansimavo, non riuscivo a parlare. Ho provato a voltarmi, ma lui mi ha tirato i capelli e mi ha costretta a restare schiacciata al tavolo.
Sentivo il corpo sudato di Mario sopra di me, la sua pancia che mi sbatteva contro il culo, le mani grosse che mi stringevano i fianchi. Mi prendeva con tutta la rabbia che aveva, ogni colpo mi spostava in avanti, le tette che sbattevano sul tavolo.
—Fallo sentire a tuo marito come si scopa davvero una donna, eh?—
Ho gemuto più forte, la figa che si allargava sempre di più per prenderlo tutto, le gambe molli, la pelle accaldata.
Quando mi ha girata, mi ha presa per la gola e mi ha guardato negli occhi.
—Vuoi smettere?—
Ho scosso la testa, senza voce.
—Allora apri le gambe, fammi vedere quanto sei bagnata per me.
Ho spalancato le cosce, senza vergogna, sentendo il liquido scorrere, le dita che mi frugavano fino a farmi tremare.
Poi si è inginocchiato, mi ha infilato la lingua in figa, affondando senza pietà, leccandomi con una fame che nessuno mi aveva mai dedicato.
—Dai, vieni in faccia a Mario, fallo vedere quanto ti piace.
Ho urlato il suo nome, le mani nei capelli, la schiena piegata, le gambe che non mi reggevano più.
Quando mi sono ripresa, lui era di nuovo in piedi, il cazzo duro che mi sfiorava la bocca.
—Adesso finisci il lavoro, Irma. Fallo bene.
L’ho preso tra le labbra, succhiando con rabbia, la saliva che mi colava giù per il mento.
—Brava troia. Così, sì.
Gli ho sentito tremare i fianchi, poi lo sperma caldo mi ha riempito la gola. Ho deglutito tutto, senza smettere di guardarlo negli occhi.
Mi sono alzata, il respiro ancora corto, la vestaglia in mano, la fede ancora al dito.
Mario mi ha accarezzato il culo, poi mi ha sussurrato all’orecchio:
—Quando vuoi, Irma. Basta bussare.
Sono uscita dal suo appartamento con le gambe molli e la testa piena di vergogna e di voglia. Sapevo che Giorgio mi aspettava a casa, ma la figa già mi chiedeva di tornare da Mario.
Appena chiudo la porta dietro di me sento l’odore di casa, pulito e familiare, ma c’è qualcosa nell’aria che mi fa tremare. Giorgio è sul divano, completamente nudo, le gambe aperte, il cazzo già mezzo duro tra le mani.
Mi guarda con un sorriso storto, senza rabbia, ma con quella voglia di comando che ogni tanto tira fuori quando meno me lo aspetto.
—Ti sei divertita? — mi chiede senza staccare gli occhi da me.
Resto ferma, la vestaglia tra le dita, la figa che ancora pulsa e la gola piena del sapore di Mario.
—Mario me lo dice sempre che sei una troia travestita da santa — continua Giorgio, la voce calma, quasi divertita. —Adesso vieni qui e finisci il lavoro.
Mi avvicino a passi lenti, la testa bassa. Sento il sangue ronzare nelle orecchie, il cuore che picchia forte, e il corpo che non sa se provare vergogna o eccitazione.
Quando sono davanti a lui mi inginocchio senza dire una parola. Giorgio mi prende per i capelli e mi tira contro di sé, il cazzo ormai duro che mi sfiora le labbra.
—Apri la bocca. Fallo vedere che sei brava, che Mario ha ragione.
Gli obbedisco, la lingua fuori, il respiro corto. Gli prendo il cazzo tra le labbra, succhiando a fondo, sentendo la pelle calda e tesa. Giorgio geme piano, le mani che stringono forte i miei capelli, guidandomi su e giù senza pietà.
—Così, brava. Tutta la santa del condominio che si inginocchia davanti al marito, con la bocca ancora sporca di un altro. Ti piace, eh? — sussurra, spingendo più forte.
Non rispondo, ma la figa mi brucia ancora di più. Sento il piacere sporco che si mescola alla vergogna, alle parole di Mario che mi rimbombano in testa.
Giorgio si lascia andare, il corpo che si tende, poi lo sento venire, lo sperma che mi riempie la bocca ancora una volta.
Quando mi stacco lo guardo negli occhi, senza più paura. Lui mi accarezza la guancia, quasi tenero.
—La prossima volta, fammi vedere tutto, Irma. Voglio che tu sia mia, sempre. Anche quando ti fai scopare dagli altri.
Mi alzo dal tappeto, le ginocchia segnate dal parquet e la bocca ancora piena di sapore. Giorgio si stende sul divano senza smettere di guardarmi, il corpo rilassato ma lo sguardo feroce.
Mi passo la lingua sulle labbra, mi sento sporca e viva, la figa che pulsa come se non bastasse mai. Lui mi indica con un dito la sua pancia lucida di sudore.
—Sali qui. Fatti vedere bene.
Mi tolgo la vestaglia, resto nuda, le tette gonfie, la pelle accesa, i segni delle dita di Mario ancora impressi sulle cosce. Mi inginocchio sopra Giorgio, sento il suo cazzo che mi scivola tra le labbra della figa già gonfia e bagnata.
Mi afferra i fianchi con forza, senza dolcezza, e mi cala su di sé tutto d’un colpo.
Urlo piano, un misto di dolore e piacere. Lo sento dentro, ma la carne è ancora larga, ancora impregnata di un altro uomo. Giorgio lo capisce e mi guarda con un ghigno.
—Si sente che te l’ha allargata per bene, il manzo.
—Sì… — sussurro senza vergogna, cavalcando piano. —Me l’ha aperta tutta.
—Ti piace?
—Sì, cazzo…
—Vuoi ancora?
—Sì, voglio tutto.
Mi prende con rabbia, le mani che mi stringono i fianchi fino a farmi male.
Spingo contro di lui, gli sbatto le tette in faccia, mi lascia mordere il collo, sento le sue unghie che scavano nei miei fianchi.
—Troia mia. Dimmi che sei mia.
—Sono tua. Solo tua.
Mi scopa come se volesse cancellare le tracce di Mario, ma io gliele offro, gliele sbatto in faccia, lo faccio impazzire.
Ogni colpo è un misto di possesso e rabbia, mi prendo tutto quello che può darmi e glielo restituisco, il corpo che urla, la testa vuota, la pelle brucia.
Quando vengo, mi piego in avanti, le unghie affondate nel petto di Giorgio, le gambe che tremano. Lui mi tiene stretta, viene dentro di me con un mugolio rauco, la bocca sul mio seno, i denti che graffiano la pelle.
Restiamo fermi così, sudati e ansimanti. Sento lo sperma caldo che mi cola tra le gambe, la figa che pulsa ancora, il cuore che sembra esplodere.
Mi appoggio sul suo petto, il respiro piano piano si calma. Giorgio mi accarezza la schiena, mi bacia i capelli.
—Sei sempre stata una troia. Ma sei la mia troia, ricordatelo.
Mi rannicchio su di lui, ancora sudata, le gambe abbandonate, la figa calda e sporca del suo seme e di quello che resta di Mario. Sento il petto di Giorgio salire e scendere sotto la mia guancia, il battito forte, quasi feroce. Gli lecco il collo, sento il sale della pelle e il sapore di uomo.
Mi avvicino alla sua bocca, poi scendo all’orecchio e lo mordo piano, affondando i denti nel lobo. Lo sento rabbrividire, una scossa che gli attraversa tutto il corpo.
—Dovremo invitare Mario domani sera… — sussurro piano, con la voce roca, sporca di voglia.
Giorgio non dice niente per un attimo. Poi sento il suo cazzo che torna a pulsare sotto di me, duro e pronto di nuovo, solo al pensiero.
—Sì… — geme tra i denti — voglio vedervi, voglio vederti mentre ti fai scopare davanti a me.
Lo bacio, profondo, sporco, mordendogli le labbra. Mi sento invincibile, padrona di ogni desiderio, senza più freni.
—Vedrai, amore. Domani sera sarò la troia di tutti e due.
Giorgio mi prende di nuovo, affamato, le mani che mi stringono i fianchi e la bocca che mi azzanna il seno.

Mario arriva che è appena buio, la faccia rilassata e quel sorriso da bastardo che so già dove porterà la serata. Giorgio lo accoglie con una stretta di mano, due parole e subito lo fa accomodare in salotto, senza perdere tempo in chiacchiere inutili.
La cena resta lì, sul tavolo. Nessuno la guarda, nessuno ha fame di quella roba.
Io sono pronta da ore, la pelle liscia come una bambola, la figa che pulsa da quando ho chiuso la porta del bagno per l’ultima lavata. Il kimono di seta mi scivola addosso, aperto sul seno nudo, sulle cosce lucide. I capelli tirati su con l’elastico, il collo esposto, la schiena nuda.
Giorgio si siede, mi guarda negli occhi e annuisce.
—Irma, saluta Mario come si deve.
Non serve altro. Mi avvicino a Mario, lui è già in piedi, la tuta morbida che lascia intravedere la forma sotto. Mi inginocchio davanti a lui, le mani tremano ma la bocca sorride. Abbasso i pantaloni, lo sento caldo, il cazzo mezzo duro che sbuca fuori, pesante, vivo. Lo prendo tra le mani, sento il sangue che gli sale in fretta.
Mario mi guarda dall’alto, la mano sulla mia testa.
—Brava, così.
Non faccio in tempo a cominciare che sento Giorgio che si sfila i pantaloni dietro di me. Lo sento avvicinarsi, il respiro sul collo, il suo cazzo già duro che mi sfiora la schiena.
Mi volto, ora li ho tutti e due davanti: due uomini, due cazzi, due padroni del mio corpo. Sento la bocca che si riempie di saliva, la figa che pulsa, la testa che si svuota di tutto.
Mi prendo Mario in bocca, lenta, sento il calore crescere, il sapore di pelle e desiderio che mi scivola sulla lingua. Con una mano afferro Giorgio, lo stringo, lo sento pulsare tra le dita.
Mario mi tiene i capelli tirati, guida i miei movimenti, la tuta abbassata sulle cosce. Giorgio mi carezza la spalla, poi si fa avanti, il cazzo sfiora il mio viso.
Mi fermo, guardo Giorgio negli occhi, poi gli passo la lingua sulla punta, lenta, mentre succhio ancora Mario, la bocca piena, le guance tese.
—Così, brava troia — sussurra Giorgio —. Adesso facci vedere quanto vali.
Cambio ritmo, la lingua che gioca, la saliva che cola, la mano che stringe, il respiro che accelera. Li voglio entrambi, li voglio profondamente, voglio farmi usare, voglio che nessuno dimentichi questa notte.
Mario geme, mi spinge più a fondo. Giorgio si lascia sfuggire un mugolio, la mano che mi guida, la pelle che trema. Io li prendo tutti e due, una dopo l’altro, senza vergogna, la bocca che passa dall’uno all’altro, il desiderio che mi incendia tutta.
Non ho mai avuto due uomini tutti per me. Nemmeno nei sogni più sporchi, quelli che non avrei mai raccontato nemmeno a me stessa davanti allo specchio. Eppure, adesso sono in ginocchio davanti a loro, la bocca piena, le mani occupate, la testa che gira di piacere e vergogna. Li assaporo uno dopo l’altro, sento le vene pulsare sotto la lingua, la carne che si fa sempre più dura, più prepotente.
Giorgio mi prende il viso e mi bacia con forza, le labbra invadenti che sanno di possesso e di rivincita.
—Alzati — ordina.
Mi solleva quasi di peso e mi lascia con Mario. Giorgio si inginocchia dietro di me, le mani grandi sulle mie anche, la bocca che mi lecca la schiena, la lingua che scende tra le natiche. Sento il respiro di Mario davanti, il suo cazzo che mi accarezza la guancia.
Mi piego a quattro zampe sul tappeto, il kimono ormai buttato a terra, nuda, con i seni che oscillano e la figa che pulsa, spalancata e pronta. Mario si inginocchia davanti, me lo ficca di nuovo in bocca mentre Giorgio mi infila le dita tra le cosce, saggiante, feroce.
Sento il calore della lingua che mi scivola tra le chiappe, mi prepara, mi scava, mi accende. La bocca si riempie di Mario, mi sento usata, adorata, violentata dal piacere. Poi Giorgio mi entra da dietro, senza esitazione, il cazzo che mi apre, che mi riempie tutta. Grido, ma la voce si strozza nella carne di Mario.
Mario geme, mi tira i capelli, mi scopa la bocca con movimenti decisi. Giorgio mi prende da dietro, con colpi profondi che mi fanno sbattere avanti e indietro, le mani sulle mie anche, le dita che scavano segni rossi sulla pelle.
—Guarda come se la gode tua moglie — sussurra Mario, lo sguardo sporco rivolto a Giorgio.
Giorgio ride, mi lecca il culo, mi spinge ancora più dentro di lui.
—È una troia felice, non l’ho mai vista così.
Il ritmo si fa selvaggio. Quando mi sento esplodere, vengo con un urlo muto, la figa che si stringe su Giorgio, la bocca ancora impegnata su Mario.
Si fermano, mi fanno girare, mi sollevano. Mario mi prende di peso, mi appoggia sul tavolo, mi apre le gambe e mi penetra di colpo, profondo, affamato. Giorgio si fa avanti, mi prende la testa e me la fa abbassare sul suo cazzo, stavolta è lui che vuole la bocca.
Mi sento squartata di piacere, spalancata per tutti e due, usata come un giocattolo. Cambio posizione, Mario mi prende in piedi, Giorgio mi tiene sollevata per i fianchi e poi si mettono uno davanti e uno dietro, mi scopano a turno, mi stringono, mi mordono, mi fanno urlare, piangere, venire di nuovo.
Proviamo tutto: il cavallo, la pecorina, mi fanno sedere sopra uno mentre l’altro mi prende dietro, mi girano, mi sollevano, mi mordono i capezzoli, mi leccano ovunque. Sento la bocca, la figa, il culo pieni, tesi, brucianti.
A un certo punto Mario si inginocchia dietro di me, mi spalanca le chiappe e mi lecca fino a farmi perdere il respiro, poi mi infila un dito, poi due, la lingua che mi scava dentro, mentre Giorgio mi riempie la bocca. Cambiano di nuovo, Mario mi penetra da dietro, Giorgio davanti, mi tengono ferma, la testa che gira, la pelle che brucia.
Quando vengono, lo fanno entrambi urlando il mio nome, mi riempiono tutta, il viso, la bocca, la figa. Io ingoio tutto, sorrido, mi sento invincibile, sporca e viva come mai in vita mia.
Alla fine, resto stesa sul pavimento, sudata, tremante, le gambe ancora divaricate, i seni segnati dalle mani, il sesso che pulsa di nuovo. Loro mi guardano, esausti e fieri, come due uomini che hanno preso tutto quello che volevano.
Restiamo nudi in salotto, il pavimento macchiato di vino e sperma, la pelle che ancora brucia, i respiri che si intrecciano lenti e pesanti.
Mario si rialza per primo, prende la tovaglietta e la mette sul tavolo, si siede con quel suo modo da padrone di casa, la tuta buttata in un angolo, il cazzo rilassato ma ancora imponente tra le cosce.
Giorgio lo segue, si versa un bicchiere di rosso, lo alza verso di me con un sorriso beffardo.
—Vieni qui, Irma. È ora di fare onore alla cena, almeno un po’.
Mi siedo in mezzo a loro, il kimono ormai dimenticato, la pelle che profuma ancora di sesso e sapone. Mangiamo quello che ho comprato in gastronomia: affettati, formaggi, olive, qualche fetta di pane, niente di caldo, ma qui la fame è solo un’altra scusa per restare vicini, guardarci, accarezzarci sotto il tavolo.
Beviamo a turno, i bicchieri che tintinnano, le dita che si intrecciano tra una fetta e l’altra. Mario ogni tanto mi sfiora la coscia, Giorgio mi morde l’orecchio e ride basso, mi sussurra quello che vorrebbe farmi dopo. Io li ascolto, li guardo, mi sento desiderata, pronta, la figa che torna a bagnarsi solo a pensarci.
Quando il vino inizia a far sentire il suo effetto e i piatti sono vuoti, Giorgio si alza, mi prende per mano.
—Andiamo di là. La notte è ancora lunga.
Mario lo segue, si porta dietro la bottiglia.
Attraversiamo il corridoio, la luce soffusa delle abat-jour che disegna ombre sui nostri corpi nudi, le risate basse che diventano sussurri. In camera da letto l’aria profuma di lenzuola pulite e voglia antica.
Mi sdraio al centro del letto, le gambe aperte, i seni gonfi, la bocca sporca di vino. Giorgio e Mario si avvicinano, si scambiano uno sguardo di complicità e potere.
—Stavolta facciamo le cose con calma — sussurra Giorgio, sfiorandomi il ventre —. Abbiamo tutta la notte.
Mario si abbassa, mi bacia una coscia, poi la pancia, la bocca calda che risale lenta. Sento Giorgio che si stende alle mie spalle, mi abbraccia, le sue mani che stringono i seni, la bocca che mi morde piano il collo.
La camera è semibuia, solo il taglio di luce calda delle abat-jour sulle lenzuola bianche, sui corpi che si muovono piano, sulle ombre che si fondono e si rincorrono alle pareti.
Mi sento distesa, aperta, offerta: la schiena che affonda nei cuscini morbidi, le gambe divaricate, il cuore che batte forte, le dita che tremano d’attesa.
Giorgio mi stringe da dietro, il petto premuto contro la mia schiena, le mani grandi che scivolano sulle costole, sulle tette ancora gonfie e sensibili, le dita che giocano, che pizzicano, che accarezzano.
Mario mi si stende addosso, la pelle calda, il respiro denso di vino e voglia, la bocca che mi bacia piano il ventre, la lingua che traccia sentieri tra l’ombelico e la figa bagnata.
Sento le mani che mi aprono, che mi accarezzano lenta, la punta delle dita di Mario che mi sfiora le labbra, che mi separa, che mi trova pronta.
Il piacere sale, sordo, profondo, come un’onda che parte dal centro e si allarga ovunque: mi brucia il petto, mi fa girare la testa, mi scioglie la voce in un ansimare lungo, lento, sporco.
Giorgio mi morde la spalla, la bocca calda sulla pelle, mi sussurra nell’orecchio cose che mi fanno vibrare il ventre:
—Ti piace, eh? Sei tutta bagnata.
Rispondo con un gemito basso, la mano che stringe la sua coscia dietro di me, il corpo che si tende per prenderli entrambi.
Mario si infila tra le mie gambe, la lingua che mi assaggia, la bocca che succhia, le dita che entrano piano e mi aprono ancora di più.
Lo sento respirare forte, lo sento crescere mentre mi lecca, mentre mi possiede con la lingua, mentre mi guarda negli occhi e sorride sporco.
Giorgio si abbassa dietro di me, la sua mano che si infila tra le mie chiappe, il pollice che mi accarezza piano il buchino, che gioca, che provoca.
Mi sento piena, presa, usata, adorata, umiliata e celebrata nello stesso momento.
Ogni senso si accende, ogni parte di me viene toccata, stirata, spalancata.
La bocca di Mario che non smette mai, la lingua che si infila dappertutto, le dita che affondano, che girano, che mi accendono.
Giorgio mi entra da dietro, piano, il cazzo duro che mi spalanca, che mi riempie, che mi prende tutta.
Urlo piano, una voce che si scioglie contro la pelle di Mario, che mi lecca, che mi prende in bocca tutto il piacere che gli do.
Sento i loro corpi sopra e dentro di me, sento la pelle calda, le mani che stringono, i respiri che si mescolano.
Li voglio entrambi, mi sento viva, immensa, infinita.
Giorgio spinge lento, profondo, la mano che mi afferra i capelli, che mi piega la testa indietro.
Mario si solleva, mi bacia la bocca, mi fa assaggiare me stessa, mi sussurra:
—Così, brava, lasciati andare, sei bellissima.
Mi riempio di loro, mi lascio trasportare. Ogni movimento è una scossa, ogni ansimare una promessa che si avvera.
Vengo in mezzo a loro, tremando, piangendo, ridendo e ringhiando, la pelle lucida, il cuore che si spezza e si ricompone.
Loro mi tengono, mi scopano a turno, mi girano, mi fanno venire ancora, ancora e ancora, fino a lasciarmi stesa, svuotata e piena allo stesso tempo.
Resto tra loro, il fiato corto, la pelle rossa di morsi e carezze, la mente che non vuole dimenticare niente.
scritto il
2025-12-03
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