Tu sei il mio padrone
di
Marcela1979
genere
dominazione
Sono stesa sul letto, le braccia bloccate sopra la testa, le caviglie legate ai piedi del materasso. Ogni muscolo tirato, la pelle segnata dove le corde stringono. Il lenzuolo ruvido mi gratta la schiena, le cosce spalancate, offerte, indifese. Respiro corto, sento il sudore scorrere dietro la nuca. Sei tra le mie gambe, la tua faccia a pochi centimetri dalla figa nuda, appena depilata, lucida di eccitazione. Non mi dici nulla. Mi fissi, mi studi, poi ti chini e inizi a leccarmi, sporco, affamato.
La tua lingua parte dall’ano, risale, si infila tra le labbra, punta dritta sul clitoride. Le dita mi tengono spalancata, la carne tesa sotto il tuo sguardo, nessun pelo a nascondere niente. — Che effetto ti fa vedermi così? — sussurro, ma la voce è già spezzata dal respiro, dal tremore. — Cosa ti sembro adesso? Una troia legata, una paziente che aspetta di essere curata? — Ma tu non rispondi, ti limiti a leccare più forte, a succhiarmi con avidità, a spingere la lingua sempre più dentro.
Mi mordo le labbra, cerco di trattenermi, non voglio darti il piacere di sentirmi urlare. Ma il corpo non obbedisce, il bacino si solleva, la schiena si inarca per cercarti. Le corde tirano, i polsi fanno male, ma la figa pulsa, si apre, si gonfia. La tua bocca non lascia scampo, passi da un punto all’altro, mi sottometti con la lingua, mi apri, mi bevi tutta.
Ho ventuno anni, tu ne hai quarantanove, nella stanza il sole filtra attraverso le persiane, una radio gracchia in sottofondo. Il letto vecchio, la specchiera davanti, la polvere che galleggia nell’aria. Io sono solo carne legata, bocca aperta, respiro spezzato. Tu sei padrone, sei animale, mi domini senza una parola, solo con la lingua e le dita.
Non posso muovermi, posso solo subire. Eppure, la testa si riempie di immagini: vorrei stringerti il cazzo tra le mani, portartelo alla bocca, ma non posso. Posso solo guardare nello specchio, vedere la scena — le mie gambe spalancate, la testa piegata all’indietro, il tuo viso perso tra le cosce — e lasciarmi andare. L’urlo che mi sale in gola si trasforma in un gemito basso, sporco, che riempie la stanza, confuso col rumore della radio.
Le corde non lasciano scelta: sono tua, sono aperta, sono preda. E tu continui, lento, metodico, senza pietà, finché non crollo, il corpo che si scuote, la figa che si inonda, la testa che si svuota. Solo allora ti fermi, ti alzi, mi guardi, e io, ancora legata, ancora tremante, non posso fare altro che aspettare cosa verrà dopo.
La bocca ancora umida, la faccia lucida dei miei umori, ti fermi a guardarmi dall’alto, soddisfatto, feroce. Non sciogli neppure un nodo, non mi chiedi niente. Resti lì a fissarmi come se fossi una cosa tua, una carne esposta solo per te, un oggetto da usare. Sento la pelle che pulsa ovunque hai passato la lingua, la figa che ancora si stringe in spasmi involontari, la schiena bagnata di sudore.
Rimani in piedi accanto al letto, il cazzo duro che spinge contro i boxer. Te li sfili davanti a me, senza fretta, lasci che lo guardi, che lo desideri, ma senza poterlo toccare, senza potermelo prendere. È tutto nelle tue mani, la scena, il ritmo, la mia resa. Mi tocchi il viso con la punta, mi sporchi la guancia con una goccia di liquido, mi marchi senza vergogna.
Ti avvicini ancora, poggi il ginocchio sul letto, mi afferri per i capelli con una mano, pieghi la testa all’indietro. — Guarda nello specchio — ordini, la voce roca. E io obbedisco, vedo la mia bocca che si apre, che accoglie la punta calda, gonfia, che la succhia, la lecca, la vuole tutta dentro ma non può decidere nulla. Sento il cazzo che mi picchia sulle labbra, mi entra in bocca solo quanto vuoi tu, mi muovi la testa avanti e indietro, mi usi fino a farmi sbavare, tossire, lacrimare.
Non c’è dolcezza, non c’è gioco, solo la tua fame che mi domina, la tua mano che non molla i capelli, che mi tiene ferma, sottomessa, sfiatata. Gli occhi puntati nello specchio, le lacrime che colano, la saliva che scivola tra le tette, la gola che si allarga per farti spazio.
Il letto cigola, la stanza sa di sesso, di polvere, di caldo. Ti scosti un attimo, ti masturbi davanti al mio viso, mi schiaffeggi la bocca con il cazzo duro, poi torni dentro, più forte, più profondo. Sento il sale sulla lingua, il respiro che si fa corto. Vorrei poterti abbracciare, toccare, sentire la pelle contro la mia, ma sono solo legata, solo bocca, solo gola da riempire.
Quando capisci che sto per cedere, che sono lì per soffocare nel piacere, mi lasci andare. Esplodi sul mio volto, mi imbratti di tutto, sperma caldo che cola dagli zigomi, sulle labbra, gocce che scendono tra i seni. Ti guardo, ancora annodata, ancora offerta, la bocca aperta e sporca, gli occhi persi nello specchio.
E tu sorridi, ti chini a leccarmi via le ultime gocce dalla pelle, lento, crudele, senza nessuna fretta di sciogliermi. Resto così, nuda, legata, marchiata, in attesa che tu decida se concedermi tregua o se ricominciare daccapo.
Resto inchiodata al letto, il respiro ancora spezzato, la pelle segnata dal tuo sperma che si asciuga lento sulle guance, tra i seni. Le corde mordono i polsi, mi ricordano che non posso fare nulla, non posso nemmeno coprirmi, pulirmi, scappare dal tuo sguardo. Mi sento sporca, disfatta, eppure vorrei ancora, il corpo in allerta, la figa che brucia, le gambe che tremano dalla voglia.
Ti siedi sul bordo del materasso, studi ogni centimetro di me, ti prendi tutto il tempo, passi le dita dove hai lasciato il segno, spargi lo sperma sulla pelle, lo spalmi sui capezzoli, ci giochi tra le dita, mi torturi piano. Rido e piango insieme, incapace di difendermi. Mi tiri il seno tra le dita, lo succhi, mordi, mi fai male e mi ecciti.
Poi scendi di nuovo tra le gambe, stavolta non usi la lingua. Solo le dita, rudi, due dita dentro di me senza troppi complimenti, e il pollice che gira sul clitoride gonfio, bagnato. Spingi forte, mi scopi con le dita, mi fai fremere tutta. — Guarda come sei ridotta — sussurri, — una troia legata, sudicia, che non aspetta altro che essere riempita ancora. —
Mi sento il sangue salire in faccia, la vergogna si mescola al piacere. Ti guardo nello specchio: io stesa, braccia e gambe bloccate, il bacino che si solleva per cercarti, la bocca ancora sporca, gli occhi lucidi. Non ho più difese. Mi usi, mi apri, mi domini. Le dita entrano più a fondo, mi scavi, mi fai urlare, il letto che batte sul muro, le cicale fuori che coprono i miei gemiti.
Non ti fermi finché non esplodo di nuovo, la figa che si stringe attorno alle tue dita, la schiena che si inarca, le gambe che tremano. E tu ridi, soddisfatto, mi lasci ansimante, svuotata, ancora legata, ancora alla tua mercé. Mi baci il ventre, sali fino al viso, mi lecchi via le lacrime, il sudore, il resto del tuo piacere.
Resto così, aperta, disfatta, con la pelle che sa ancora di te, con il cuore che batte forte, pronta per qualsiasi altra cosa tu voglia farmi.
Ti avvicini di nuovo, mani sporche che mi accarezzano il viso ancora appiccicoso, mi afferri il mento e mi costringi ad aprire la bocca. — Sei la mia puttana, la mia santa da sconsacrare — sputi le parole come una bestemmia e me le ficchi addosso, pesanti, cattive. Sento il sapore delle tue dita sulle labbra, la pelle ruvida che si insinua tra i denti, mi fai succhiare ogni traccia del tuo sperma e del mio stesso piacere.
Sorrido con la bocca piena, sbavo, ansimo, ti fisso senza vergogna mentre ti infili tra le cosce, il viso ancora sporco, e mi mordi la carne tenera dell’interno coscia, lasci segni rossi, violenti. — Guarda come ti riduco, — sussurri, e il tono è sporco, feroce, quasi crudele.
Le corde tirano, mi stringono a te. Provi a infilare tre dita dentro, la figa si spalanca per accoglierti, schiaffi il palmo contro il pube, fai un rumore umido che sa di bestemmia. Ogni movimento è una tortura e una preghiera, sento il dolore e la voglia confondersi, le bestemmie che ti scappano quando ti rendi conto che mi viene da piangere dal piacere. — Cristo, quanto sei bagnata — ridi, la voce roca, — una vacca in calore, — mi insulti, mi sussurri all’orecchio parole che non avresti mai il coraggio di dire a nessun altro.
Ti senti il dio di questa stanza, il dio cattivo che mi inchioda al materasso, che mi scopa con le dita e con la voce, che mi fa tremare ogni muscolo senza lasciarmi scampo. Spingi ancora, più forte, mi riempi fino al limite, la mano che mi sbatte il clitoride, le dita che scavano, che affondano, che mi massacrano.
Urlo, bestemmio anche io, il nome di Dio buttato tra i denti, il piacere che mi squassa la gola, che si riversa in un’ondata calda tra le gambe. Sudo, tremo, piango, ti supplico di fermarti e insieme di non smettere mai.
Tu ridi, crudele, ti piace vedermi ridotta così: una santa crocifissa al tuo letto, una troia sfinita, una bocca da riempire di tutto il tuo peccato. Resti lì, a guardarmi, il cazzo ancora duro tra le mani, la pelle che brucia, il respiro spezzato, e io so che questa notte non finirà finché non decidi tu. Finché non mi sciogli. Finché non mi hai strappato tutto quello che resta.
Resto lì, inchiodata dal tuo sguardo e dai lacci che non cedono, la pelle in fiamme dove le corde mi hanno segnata. Il tuo corpo sovrasta il mio, il petto che si muove su e giù, il cazzo che pulsa ancora di rabbia e fame tra le dita, e sulla faccia il sorriso feroce di chi non si accontenta mai.
Mi schiaffeggi piano il viso, poi più forte, mi fai girare la testa verso lo specchio, costringendomi a guardare quello che sono: una ragazza ventunenne, nuda, con il volto lordo del tuo piacere, i capelli appiccicati, le gambe aperte e rosse di morsi, la figa spalancata e gonfia, la bocca sporca che ansima senza pudore. — Questa sei tu, — sussurri — e questa è la fine di tutte le brave ragazze. La mia puttana, la mia dannazione. —
Mi prendi la bocca, mi infili due dita tra le labbra, mi obblighi a succhiarle, a sentire il sapore di tutto quello che hai fatto. Sento la saliva che cola, il cuore che batte nelle orecchie, il corpo ancora scosso da brividi. Le tue dita escono, il palmo mi schiaffeggia la lingua, poi scendi ancora tra le gambe, la bocca che si incolla di nuovo sulla figa mi lecchi senza pietà, senza paura di sporcarti di tutto.
Mi scopi la bocca con le dita, mi scopi la figa con la lingua, mi scavi come una bestemmia che non chiede perdono. Mi muovo solo col bacino, quel poco che le corde lasciano, mi aggrappo all’aria, mi dimeno, cerco aria e piacere insieme. E tu non smetti mai. Le tue parole sporche si mescolano ai miei gemiti, mi chiami puttana, santa, bestia, mi riempi la testa di oscenità, mi spingi oltre ogni vergogna.
Quando il tuo cazzo mi schiaccia di nuovo la bocca, sento che questa notte potresti scoparmi fino a farmi perdere i sensi, e non avrei nemmeno la forza di chiedere pietà. Vorrei solo che le corde non si sciogliessero mai, che restassi qui, tua, marchiata, umiliata, innalzata sull’altare sporco di questo letto scompigliato.
Mi prendi ancora, senza fretta, senza limiti, il sudore che ci bagna entrambi, le bestemmie che ti scappano mentre vieni ancora una volta e mi sporchi di nuovo, ovunque vuoi tu. E mentre sento il tuo corpo collassare accanto al mio, il respiro pesante e la pelle che scotta, capisco che non mi sono mai sentita così viva, così dannatamente tua, così profondamente persa e finalmente trovata.
Le tue mani, finalmente, si posano sui nodi. Sento la corda che gratta la pelle, il bruciore dove ha inciso i suoi segni. Non dici nulla, sfili piano ogni legatura, srotoli le caviglie e poi i polsi, uno alla volta, le dita che mi sfiorano, che controllano se ho la forza di muovermi. Mi cade il braccio lungo il materasso, pesante, insensibile, la pelle segnata da strisce rosse che bruciano e pulsano.
Ti siedi accanto a me, osservi il corpo che hai appena finito di torturare: le cosce arrossate, il ventre umido, la faccia imbrattata. Mi massaggi i polsi, li baci come a scusarti, ma nei tuoi occhi c’è ancora quella scintilla feroce. Resti in silenzio, lasci che sia io a muovermi per prima.
Provo a sollevare la schiena, le gambe ancora molli. Sento il sudore seccarsi sulla pelle, il sale che brucia sulle ferite, lo sperma che cola lento tra le cosce. Mi rannicchio di lato, porto le ginocchia al petto, tremo tutta, esausta, sfinita, sporca.
Tu mi passi un asciugamano, mi pulisci il viso con una cura che sa di presa in giro, le dita che sfiorano la bocca, raccolgono i resti del tuo piacere, li portano di nuovo alle mie labbra. Mi fai leccare tutto, fino all’ultima goccia. Poi mi abbracci, mi stringi contro il petto, nudo, bollente. Sento il tuo cuore che batte, la voce che si fa bassa: — Guardati, — dici, — adesso sì che sei mia. —
Mi lasci respirare, per la prima volta dopo ore. Mi accarezzi i capelli, mi baci la fronte, la guancia ancora umida. Mi stringi a te e io, abbandonata, sento solo il sollievo e la fame ancora aperta, il corpo dolorante che chiede riposo e la mente che non vorrebbe mai che questa notte finisse.
Resto così, nuda, sfatta, appesa tra il sonno e la fame, e per un attimo, nelle tue braccia, mi sento invincibile e maledetta, protetta e perduta. E so che domani, quando tutto ricomincerà, sarò ancora io a chiedere di essere legata, usata, sciolta solo quando non resta più nulla da strapparmi.
La tua lingua parte dall’ano, risale, si infila tra le labbra, punta dritta sul clitoride. Le dita mi tengono spalancata, la carne tesa sotto il tuo sguardo, nessun pelo a nascondere niente. — Che effetto ti fa vedermi così? — sussurro, ma la voce è già spezzata dal respiro, dal tremore. — Cosa ti sembro adesso? Una troia legata, una paziente che aspetta di essere curata? — Ma tu non rispondi, ti limiti a leccare più forte, a succhiarmi con avidità, a spingere la lingua sempre più dentro.
Mi mordo le labbra, cerco di trattenermi, non voglio darti il piacere di sentirmi urlare. Ma il corpo non obbedisce, il bacino si solleva, la schiena si inarca per cercarti. Le corde tirano, i polsi fanno male, ma la figa pulsa, si apre, si gonfia. La tua bocca non lascia scampo, passi da un punto all’altro, mi sottometti con la lingua, mi apri, mi bevi tutta.
Ho ventuno anni, tu ne hai quarantanove, nella stanza il sole filtra attraverso le persiane, una radio gracchia in sottofondo. Il letto vecchio, la specchiera davanti, la polvere che galleggia nell’aria. Io sono solo carne legata, bocca aperta, respiro spezzato. Tu sei padrone, sei animale, mi domini senza una parola, solo con la lingua e le dita.
Non posso muovermi, posso solo subire. Eppure, la testa si riempie di immagini: vorrei stringerti il cazzo tra le mani, portartelo alla bocca, ma non posso. Posso solo guardare nello specchio, vedere la scena — le mie gambe spalancate, la testa piegata all’indietro, il tuo viso perso tra le cosce — e lasciarmi andare. L’urlo che mi sale in gola si trasforma in un gemito basso, sporco, che riempie la stanza, confuso col rumore della radio.
Le corde non lasciano scelta: sono tua, sono aperta, sono preda. E tu continui, lento, metodico, senza pietà, finché non crollo, il corpo che si scuote, la figa che si inonda, la testa che si svuota. Solo allora ti fermi, ti alzi, mi guardi, e io, ancora legata, ancora tremante, non posso fare altro che aspettare cosa verrà dopo.
La bocca ancora umida, la faccia lucida dei miei umori, ti fermi a guardarmi dall’alto, soddisfatto, feroce. Non sciogli neppure un nodo, non mi chiedi niente. Resti lì a fissarmi come se fossi una cosa tua, una carne esposta solo per te, un oggetto da usare. Sento la pelle che pulsa ovunque hai passato la lingua, la figa che ancora si stringe in spasmi involontari, la schiena bagnata di sudore.
Rimani in piedi accanto al letto, il cazzo duro che spinge contro i boxer. Te li sfili davanti a me, senza fretta, lasci che lo guardi, che lo desideri, ma senza poterlo toccare, senza potermelo prendere. È tutto nelle tue mani, la scena, il ritmo, la mia resa. Mi tocchi il viso con la punta, mi sporchi la guancia con una goccia di liquido, mi marchi senza vergogna.
Ti avvicini ancora, poggi il ginocchio sul letto, mi afferri per i capelli con una mano, pieghi la testa all’indietro. — Guarda nello specchio — ordini, la voce roca. E io obbedisco, vedo la mia bocca che si apre, che accoglie la punta calda, gonfia, che la succhia, la lecca, la vuole tutta dentro ma non può decidere nulla. Sento il cazzo che mi picchia sulle labbra, mi entra in bocca solo quanto vuoi tu, mi muovi la testa avanti e indietro, mi usi fino a farmi sbavare, tossire, lacrimare.
Non c’è dolcezza, non c’è gioco, solo la tua fame che mi domina, la tua mano che non molla i capelli, che mi tiene ferma, sottomessa, sfiatata. Gli occhi puntati nello specchio, le lacrime che colano, la saliva che scivola tra le tette, la gola che si allarga per farti spazio.
Il letto cigola, la stanza sa di sesso, di polvere, di caldo. Ti scosti un attimo, ti masturbi davanti al mio viso, mi schiaffeggi la bocca con il cazzo duro, poi torni dentro, più forte, più profondo. Sento il sale sulla lingua, il respiro che si fa corto. Vorrei poterti abbracciare, toccare, sentire la pelle contro la mia, ma sono solo legata, solo bocca, solo gola da riempire.
Quando capisci che sto per cedere, che sono lì per soffocare nel piacere, mi lasci andare. Esplodi sul mio volto, mi imbratti di tutto, sperma caldo che cola dagli zigomi, sulle labbra, gocce che scendono tra i seni. Ti guardo, ancora annodata, ancora offerta, la bocca aperta e sporca, gli occhi persi nello specchio.
E tu sorridi, ti chini a leccarmi via le ultime gocce dalla pelle, lento, crudele, senza nessuna fretta di sciogliermi. Resto così, nuda, legata, marchiata, in attesa che tu decida se concedermi tregua o se ricominciare daccapo.
Resto inchiodata al letto, il respiro ancora spezzato, la pelle segnata dal tuo sperma che si asciuga lento sulle guance, tra i seni. Le corde mordono i polsi, mi ricordano che non posso fare nulla, non posso nemmeno coprirmi, pulirmi, scappare dal tuo sguardo. Mi sento sporca, disfatta, eppure vorrei ancora, il corpo in allerta, la figa che brucia, le gambe che tremano dalla voglia.
Ti siedi sul bordo del materasso, studi ogni centimetro di me, ti prendi tutto il tempo, passi le dita dove hai lasciato il segno, spargi lo sperma sulla pelle, lo spalmi sui capezzoli, ci giochi tra le dita, mi torturi piano. Rido e piango insieme, incapace di difendermi. Mi tiri il seno tra le dita, lo succhi, mordi, mi fai male e mi ecciti.
Poi scendi di nuovo tra le gambe, stavolta non usi la lingua. Solo le dita, rudi, due dita dentro di me senza troppi complimenti, e il pollice che gira sul clitoride gonfio, bagnato. Spingi forte, mi scopi con le dita, mi fai fremere tutta. — Guarda come sei ridotta — sussurri, — una troia legata, sudicia, che non aspetta altro che essere riempita ancora. —
Mi sento il sangue salire in faccia, la vergogna si mescola al piacere. Ti guardo nello specchio: io stesa, braccia e gambe bloccate, il bacino che si solleva per cercarti, la bocca ancora sporca, gli occhi lucidi. Non ho più difese. Mi usi, mi apri, mi domini. Le dita entrano più a fondo, mi scavi, mi fai urlare, il letto che batte sul muro, le cicale fuori che coprono i miei gemiti.
Non ti fermi finché non esplodo di nuovo, la figa che si stringe attorno alle tue dita, la schiena che si inarca, le gambe che tremano. E tu ridi, soddisfatto, mi lasci ansimante, svuotata, ancora legata, ancora alla tua mercé. Mi baci il ventre, sali fino al viso, mi lecchi via le lacrime, il sudore, il resto del tuo piacere.
Resto così, aperta, disfatta, con la pelle che sa ancora di te, con il cuore che batte forte, pronta per qualsiasi altra cosa tu voglia farmi.
Ti avvicini di nuovo, mani sporche che mi accarezzano il viso ancora appiccicoso, mi afferri il mento e mi costringi ad aprire la bocca. — Sei la mia puttana, la mia santa da sconsacrare — sputi le parole come una bestemmia e me le ficchi addosso, pesanti, cattive. Sento il sapore delle tue dita sulle labbra, la pelle ruvida che si insinua tra i denti, mi fai succhiare ogni traccia del tuo sperma e del mio stesso piacere.
Sorrido con la bocca piena, sbavo, ansimo, ti fisso senza vergogna mentre ti infili tra le cosce, il viso ancora sporco, e mi mordi la carne tenera dell’interno coscia, lasci segni rossi, violenti. — Guarda come ti riduco, — sussurri, e il tono è sporco, feroce, quasi crudele.
Le corde tirano, mi stringono a te. Provi a infilare tre dita dentro, la figa si spalanca per accoglierti, schiaffi il palmo contro il pube, fai un rumore umido che sa di bestemmia. Ogni movimento è una tortura e una preghiera, sento il dolore e la voglia confondersi, le bestemmie che ti scappano quando ti rendi conto che mi viene da piangere dal piacere. — Cristo, quanto sei bagnata — ridi, la voce roca, — una vacca in calore, — mi insulti, mi sussurri all’orecchio parole che non avresti mai il coraggio di dire a nessun altro.
Ti senti il dio di questa stanza, il dio cattivo che mi inchioda al materasso, che mi scopa con le dita e con la voce, che mi fa tremare ogni muscolo senza lasciarmi scampo. Spingi ancora, più forte, mi riempi fino al limite, la mano che mi sbatte il clitoride, le dita che scavano, che affondano, che mi massacrano.
Urlo, bestemmio anche io, il nome di Dio buttato tra i denti, il piacere che mi squassa la gola, che si riversa in un’ondata calda tra le gambe. Sudo, tremo, piango, ti supplico di fermarti e insieme di non smettere mai.
Tu ridi, crudele, ti piace vedermi ridotta così: una santa crocifissa al tuo letto, una troia sfinita, una bocca da riempire di tutto il tuo peccato. Resti lì, a guardarmi, il cazzo ancora duro tra le mani, la pelle che brucia, il respiro spezzato, e io so che questa notte non finirà finché non decidi tu. Finché non mi sciogli. Finché non mi hai strappato tutto quello che resta.
Resto lì, inchiodata dal tuo sguardo e dai lacci che non cedono, la pelle in fiamme dove le corde mi hanno segnata. Il tuo corpo sovrasta il mio, il petto che si muove su e giù, il cazzo che pulsa ancora di rabbia e fame tra le dita, e sulla faccia il sorriso feroce di chi non si accontenta mai.
Mi schiaffeggi piano il viso, poi più forte, mi fai girare la testa verso lo specchio, costringendomi a guardare quello che sono: una ragazza ventunenne, nuda, con il volto lordo del tuo piacere, i capelli appiccicati, le gambe aperte e rosse di morsi, la figa spalancata e gonfia, la bocca sporca che ansima senza pudore. — Questa sei tu, — sussurri — e questa è la fine di tutte le brave ragazze. La mia puttana, la mia dannazione. —
Mi prendi la bocca, mi infili due dita tra le labbra, mi obblighi a succhiarle, a sentire il sapore di tutto quello che hai fatto. Sento la saliva che cola, il cuore che batte nelle orecchie, il corpo ancora scosso da brividi. Le tue dita escono, il palmo mi schiaffeggia la lingua, poi scendi ancora tra le gambe, la bocca che si incolla di nuovo sulla figa mi lecchi senza pietà, senza paura di sporcarti di tutto.
Mi scopi la bocca con le dita, mi scopi la figa con la lingua, mi scavi come una bestemmia che non chiede perdono. Mi muovo solo col bacino, quel poco che le corde lasciano, mi aggrappo all’aria, mi dimeno, cerco aria e piacere insieme. E tu non smetti mai. Le tue parole sporche si mescolano ai miei gemiti, mi chiami puttana, santa, bestia, mi riempi la testa di oscenità, mi spingi oltre ogni vergogna.
Quando il tuo cazzo mi schiaccia di nuovo la bocca, sento che questa notte potresti scoparmi fino a farmi perdere i sensi, e non avrei nemmeno la forza di chiedere pietà. Vorrei solo che le corde non si sciogliessero mai, che restassi qui, tua, marchiata, umiliata, innalzata sull’altare sporco di questo letto scompigliato.
Mi prendi ancora, senza fretta, senza limiti, il sudore che ci bagna entrambi, le bestemmie che ti scappano mentre vieni ancora una volta e mi sporchi di nuovo, ovunque vuoi tu. E mentre sento il tuo corpo collassare accanto al mio, il respiro pesante e la pelle che scotta, capisco che non mi sono mai sentita così viva, così dannatamente tua, così profondamente persa e finalmente trovata.
Le tue mani, finalmente, si posano sui nodi. Sento la corda che gratta la pelle, il bruciore dove ha inciso i suoi segni. Non dici nulla, sfili piano ogni legatura, srotoli le caviglie e poi i polsi, uno alla volta, le dita che mi sfiorano, che controllano se ho la forza di muovermi. Mi cade il braccio lungo il materasso, pesante, insensibile, la pelle segnata da strisce rosse che bruciano e pulsano.
Ti siedi accanto a me, osservi il corpo che hai appena finito di torturare: le cosce arrossate, il ventre umido, la faccia imbrattata. Mi massaggi i polsi, li baci come a scusarti, ma nei tuoi occhi c’è ancora quella scintilla feroce. Resti in silenzio, lasci che sia io a muovermi per prima.
Provo a sollevare la schiena, le gambe ancora molli. Sento il sudore seccarsi sulla pelle, il sale che brucia sulle ferite, lo sperma che cola lento tra le cosce. Mi rannicchio di lato, porto le ginocchia al petto, tremo tutta, esausta, sfinita, sporca.
Tu mi passi un asciugamano, mi pulisci il viso con una cura che sa di presa in giro, le dita che sfiorano la bocca, raccolgono i resti del tuo piacere, li portano di nuovo alle mie labbra. Mi fai leccare tutto, fino all’ultima goccia. Poi mi abbracci, mi stringi contro il petto, nudo, bollente. Sento il tuo cuore che batte, la voce che si fa bassa: — Guardati, — dici, — adesso sì che sei mia. —
Mi lasci respirare, per la prima volta dopo ore. Mi accarezzi i capelli, mi baci la fronte, la guancia ancora umida. Mi stringi a te e io, abbandonata, sento solo il sollievo e la fame ancora aperta, il corpo dolorante che chiede riposo e la mente che non vorrebbe mai che questa notte finisse.
Resto così, nuda, sfatta, appesa tra il sonno e la fame, e per un attimo, nelle tue braccia, mi sento invincibile e maledetta, protetta e perduta. E so che domani, quando tutto ricomincerà, sarò ancora io a chiedere di essere legata, usata, sciolta solo quando non resta più nulla da strapparmi.
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