La finestra sul giardino
di
Panny
genere
dominazione
Ero lì, alla mia finestra, come tante altre volte. Il cuore mi batteva forte, un misto di eccitazione e vergogna che mi stringeva lo stomaco. Dall’altra parte del giardino, oltre le siepi alte e fitte che separavano le nostre case, c’era Elisa. Cinquantotto anni, ma con un corpo che sembrava sfidare il tempo. Prendeva il sole nuda, sdraiata su quel lettino in giardino, le gambe leggermente aperte, i capelli neri sciolti che le cascavano come una cascata sulla schiena. La sua pelle era dorata dal sole, leggermente robusta ma morbida, con curve generose che mi facevano impazzire. Il seno, una seconda abbondante, grande e sodo, si alzava e abbassava piano col respiro; i capezzoli, di un marrone scuro e invitante, si indurivano appena al tocco dell’aria calda. E poi, tra le cosce, quella vagina depilata con cura, solo una sottile strisciolina di peli neri che la incorniciava, labbra piene e rosee che scintillavano sotto il sole.
Non potevo staccare gli occhi. La mano scivolava piano nei pantaloni, un tocco timido, colpevole. Cercavo di non farmi vedere, nascosto dietro la tenda, ma lei… lei sembrava non curarsene. Girava nuda anche in casa, con le finestre spalancate proprio verso di me. Ogni movimento era un invito involontario, e io, Matteo, venticinque anni e un mare di desideri repressi, non potevo resistere.
Quel giorno, però, tutto cambiò. Bussò alla mia porta, vestita solo di un vestitino leggero. “Matteo, tesoro,” disse con quel sorriso caldo, “domani potresti venire a potarmi gli alberi in giardino? Sono alti e il giardino è grande, ma con quelle siepi fitte non ti vedrà nessuno.” Annuii, la voce impastata: “Certo, Elisa, volentieri.”
Il giorno dopo, mi diede gli arnesi – cesoie, scala – e mi lasciò solo tra le siepi. Sudavo, tagliavo rami con le mani che tremavano al pensiero di essere così vicino al suo mondo segreto. Ero girato di schiena, concentrato su un albero alto, quando la sentii: “Matteo, vuoi qualcosa da bere? Fa caldo, no?”
Mi girai piano, e il mondo si fermò. Deglutii, gli occhi spalancati. Era lì, completamente nuda, a pochi metri da me. Il sole le accendeva la pelle, quel seno grande e sodo che ondeggiava appena mentre si avvicinava, capezzoli scuri turgidi come promesse. Il ventre morbido, leggermente rotondo, scendeva verso quel sesso perfetto: labbra rosa scuro, gonfie e invitanti, con quella strisciolina nera che le dava un’aria selvaggia e ordinata insieme. Il sedere, grosso e sodo, si contraeva piano ad ogni passo. Ero imbambolato, il cuore in gola.
“Sì… un po’ d’acqua, grazie,” balbettai, la voce un sussurro. Lei annuì, un sorrisetto complice, e si girò. Dio, quel sedere… rotondo, pieno, che ballava mentre entrava in casa. Rimasi lì, confuso, eccitato da morire. Non ci potevo credere. Era reale?
Tornò con il bicchiere, porgendomelo. Le mie mani tremavano mentre bevevo, e non potevo fare a meno di fissarla: il seno che si alzava, i capezzoli che sembravano chiamarmi, quella strisciolina nera tra le gambe. “Mi sono messa comoda,” disse piano, sorseggiando il suo. “Tanto, so che non ti dà fastidio. Ti vedo spesso, dalla tua finestra.”
Il cuore mi si fermò. Arrossii fino alle orecchie, lo sguardo che fuggiva a terra, sulle sue piante dei piedi nudi. “Io… scusa, non volevo…” balbettai, ma nei pantaloni sentivo crescere quell’erezione traditrice, dura e pulsante.
Lei rise piano, notando tutto. “Dai, non essere imbarazzato. Quando ti tocchi guardandomi, non lo sei mica. Ora tocca a te. Se vuoi pareggiare i conti, spogliati. Altrimenti… beh, potrei raccontare in giro che il bel Matteo mi spia nuda.”
Ero tintennante, le guance in fiamme. “Elisa, non sono… non ce la faccio ora.” Ma lei insistette, dolce ma ferma: “Su, coraggio. O ti prendi le tue responsabilità.” Alla fine, cedetti. Tolsi la maglietta, il cuore che martellava. Abbassai i pantaloni, e lei: “Anche le mutande, caro.”
Un respiro profondo, e via. Coprii subito con le mani quella erezione di dodici centimetri, dura come mai, circondata da un cespuglio nero mal curato. “Toglile,” disse lei, la voce vellutata. Obbedii, esposto, vulnerabile.
Rise, ma gentile. “Bravo. Entra in casa.”
Seguii quel sedere perfetto dentro, il mio corpo in fiamme per l’imbarazzo. Si sdraiò sul divano, gambe incrociate, il sesso che si intravedeva appena. “Fai come alla finestra, Matteo. Dai, comincia.”
Ero nel panico, le mani sudate. Ma qualcosa mi spinse: mi misi davanti a lei, la mano che avvolgeva piano il mio sesso. Iniziai a muoverla su e giù, lento, sensibile, gli occhi bassi per la vergogna. Ogni carezza era un’onda di piacere misto a umiliazione, il respiro corto, il cuore che scoppiava. La guardavo di sfuggita: il seno che tremava, i capezzoli duri.
“Ti vedo in difficoltà,” mormorò dopo un po’. “Ti do una mano?” Aprì le gambe piano, rivelando tutto. La sua vagina era magnifica: labbra rosa scuro, lucide di umidità, quella strisciolina nera bagnata ai bordi. Iniziò a toccarsi, due dita che scivolavano sulla fessura, aprendo le labbra per mostrare l’interno rosato, gonfio. I liquidi le colavano piano, trasparenti e viscosi, rendendo tutto lucido mentre il clitoride spuntava, turgido. Si accarezzava circolare, piano, gemendo sommesso, il seno che si alzava, i capezzoli scuri che si indurivano ancora di più. Le dita entravano e uscivano, lente, bagnate, il profumo muschiato che riempiva l’aria.
Non durai. Il piacere mi travolse, un’onda irresistibile. Venne quasi subito, schizzi caldi che le finirono sul ventre, sul seno. Crollai, ansimante, rosso come un peperone.
Lei scoppiò a ridere, una risata piena e calda. “Bravo, piccolo. Pulisciti e rivestiti. Ma sai… non siamo ancora pari.” Mi guardò, occhi maliziosi, e io seppi che non era finita.
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Non potevo staccare gli occhi. La mano scivolava piano nei pantaloni, un tocco timido, colpevole. Cercavo di non farmi vedere, nascosto dietro la tenda, ma lei… lei sembrava non curarsene. Girava nuda anche in casa, con le finestre spalancate proprio verso di me. Ogni movimento era un invito involontario, e io, Matteo, venticinque anni e un mare di desideri repressi, non potevo resistere.
Quel giorno, però, tutto cambiò. Bussò alla mia porta, vestita solo di un vestitino leggero. “Matteo, tesoro,” disse con quel sorriso caldo, “domani potresti venire a potarmi gli alberi in giardino? Sono alti e il giardino è grande, ma con quelle siepi fitte non ti vedrà nessuno.” Annuii, la voce impastata: “Certo, Elisa, volentieri.”
Il giorno dopo, mi diede gli arnesi – cesoie, scala – e mi lasciò solo tra le siepi. Sudavo, tagliavo rami con le mani che tremavano al pensiero di essere così vicino al suo mondo segreto. Ero girato di schiena, concentrato su un albero alto, quando la sentii: “Matteo, vuoi qualcosa da bere? Fa caldo, no?”
Mi girai piano, e il mondo si fermò. Deglutii, gli occhi spalancati. Era lì, completamente nuda, a pochi metri da me. Il sole le accendeva la pelle, quel seno grande e sodo che ondeggiava appena mentre si avvicinava, capezzoli scuri turgidi come promesse. Il ventre morbido, leggermente rotondo, scendeva verso quel sesso perfetto: labbra rosa scuro, gonfie e invitanti, con quella strisciolina nera che le dava un’aria selvaggia e ordinata insieme. Il sedere, grosso e sodo, si contraeva piano ad ogni passo. Ero imbambolato, il cuore in gola.
“Sì… un po’ d’acqua, grazie,” balbettai, la voce un sussurro. Lei annuì, un sorrisetto complice, e si girò. Dio, quel sedere… rotondo, pieno, che ballava mentre entrava in casa. Rimasi lì, confuso, eccitato da morire. Non ci potevo credere. Era reale?
Tornò con il bicchiere, porgendomelo. Le mie mani tremavano mentre bevevo, e non potevo fare a meno di fissarla: il seno che si alzava, i capezzoli che sembravano chiamarmi, quella strisciolina nera tra le gambe. “Mi sono messa comoda,” disse piano, sorseggiando il suo. “Tanto, so che non ti dà fastidio. Ti vedo spesso, dalla tua finestra.”
Il cuore mi si fermò. Arrossii fino alle orecchie, lo sguardo che fuggiva a terra, sulle sue piante dei piedi nudi. “Io… scusa, non volevo…” balbettai, ma nei pantaloni sentivo crescere quell’erezione traditrice, dura e pulsante.
Lei rise piano, notando tutto. “Dai, non essere imbarazzato. Quando ti tocchi guardandomi, non lo sei mica. Ora tocca a te. Se vuoi pareggiare i conti, spogliati. Altrimenti… beh, potrei raccontare in giro che il bel Matteo mi spia nuda.”
Ero tintennante, le guance in fiamme. “Elisa, non sono… non ce la faccio ora.” Ma lei insistette, dolce ma ferma: “Su, coraggio. O ti prendi le tue responsabilità.” Alla fine, cedetti. Tolsi la maglietta, il cuore che martellava. Abbassai i pantaloni, e lei: “Anche le mutande, caro.”
Un respiro profondo, e via. Coprii subito con le mani quella erezione di dodici centimetri, dura come mai, circondata da un cespuglio nero mal curato. “Toglile,” disse lei, la voce vellutata. Obbedii, esposto, vulnerabile.
Rise, ma gentile. “Bravo. Entra in casa.”
Seguii quel sedere perfetto dentro, il mio corpo in fiamme per l’imbarazzo. Si sdraiò sul divano, gambe incrociate, il sesso che si intravedeva appena. “Fai come alla finestra, Matteo. Dai, comincia.”
Ero nel panico, le mani sudate. Ma qualcosa mi spinse: mi misi davanti a lei, la mano che avvolgeva piano il mio sesso. Iniziai a muoverla su e giù, lento, sensibile, gli occhi bassi per la vergogna. Ogni carezza era un’onda di piacere misto a umiliazione, il respiro corto, il cuore che scoppiava. La guardavo di sfuggita: il seno che tremava, i capezzoli duri.
“Ti vedo in difficoltà,” mormorò dopo un po’. “Ti do una mano?” Aprì le gambe piano, rivelando tutto. La sua vagina era magnifica: labbra rosa scuro, lucide di umidità, quella strisciolina nera bagnata ai bordi. Iniziò a toccarsi, due dita che scivolavano sulla fessura, aprendo le labbra per mostrare l’interno rosato, gonfio. I liquidi le colavano piano, trasparenti e viscosi, rendendo tutto lucido mentre il clitoride spuntava, turgido. Si accarezzava circolare, piano, gemendo sommesso, il seno che si alzava, i capezzoli scuri che si indurivano ancora di più. Le dita entravano e uscivano, lente, bagnate, il profumo muschiato che riempiva l’aria.
Non durai. Il piacere mi travolse, un’onda irresistibile. Venne quasi subito, schizzi caldi che le finirono sul ventre, sul seno. Crollai, ansimante, rosso come un peperone.
Lei scoppiò a ridere, una risata piena e calda. “Bravo, piccolo. Pulisciti e rivestiti. Ma sai… non siamo ancora pari.” Mi guardò, occhi maliziosi, e io seppi che non era finita.
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