Dal ginecologo

di
genere
prime esperienze

Mi chiamo Silvia, ho venti anni, e fino a quel giorno non avevo mai affrontato una visita ginecologica. Non ne avevo parlato con i miei genitori, temendo che mi bombardassero di domande sul sesso, su esperienze che forse avevo già vissuto in segreto. Così, mi ero affidata alle chiacchiere tra amiche per trovare un buon medico, convinta che fosse una donna gentile e comprensiva. Immaginate la mia sorpresa – o meglio, il mio terrore – quando arrivai in clinica, tranquilla e preparata mentalmente, solo per scoprire che il dottor Giovanni era un uomo, un signore anziano sui sessantacinque anni, con capelli grigi radi e un’aria da nonno saggio ma distaccata.
Volevo sprofondare. Il mio viso sbiancò all’istante, l’ansia mi strinse lo stomaco come una morsa. Lui mi accolse con un cenno professionale, invitandomi a sedermi sulla sedia di fronte alla sua scrivania. Iniziò con le domande di routine, la voce bassa e monotona, come se stesse recitando un copione recitato migliaia di volte. “Quando è stato l’ultimo ciclo mestruale? Ha dolori addominali ricorrenti? Ha rapporti sessuali completi in questo periodo?” Risposi a tutto, balbettando un po’, sentendomi in soggezione per la sua età e per il semplice fatto che fosse un uomo. Le mie guance arrossivano a ogni parola, ma lui sembrava indifferente, annotando tutto sul suo blocco notes senza alzare lo sguardo più del necessario.
Finite le domande, mi indicò il divisorio dietro la scrivania. “Vada lì dietro, si tolga i pantaloni e l’intimo, poi si sdrai sul lettino.” Il mio cuore batteva forte mentre obbedivo, le mani tremanti che slacciavano i bottoni. Mi sedetti sul lettino freddo, le gambe serrate, le mani premute contro la mia intimità per coprirmi, come se quel gesto potesse rendermi invisibile. Lui, girato di spalle, si lavava le mani con una lentezza esasperante, l’acqua che scorreva nel lavandino come un conto alla rovescia. Quando finalmente si avvicinò, mi disse con tono neutro: “Apra le gambe, per favore.” Lo feci, esitante, il mio corpo teso come una corda.
Non me ne accorsi subito, ma iniziò la visita palpatoria infilando un dito all’interno della mia vagina senza guanti, la sua mano calda e callosa che procedeva con una indifferenza clinica che mi lasciò interdetta. Ero paralizzata dall’imbarazzo, volevo fuggire, essere ovunque tranne che lì, esposta sotto le sue luci fredde. Notai il suo sguardo attento sul mio pube, un cespuglio di peli pubici ben curato – non rasato del tutto, ma modellato con cura, folto ma ordinato, che incorniciava la mia vulva in modo naturale. Lui lo scrutava con precisione, come un esperto che valuta un reperto, ma c’era qualcosa di prolungato in quel fissare, un’esitazione che mi fece arrossire ancora di più.
“Si rilassi,” mormorò, “ora inserirò lo speculum. Mantenga il pavimento pelvico rilassato, non si irrigidisca.” Mentre procedeva, chiesi con voce tremante se fosse tutto a posto. Lui rispose elencando osservazioni con termini medici precisi, la voce impassibile: “Le piccole labbra sono di dimensioni ridotte, simmetriche e senza segni di irritazione. Il pavimento pelvico appare tonico e ben sostenuto. L’imene presenta lacerazioni pregresse, indicative di attività sessuale pregressa, ma senza cicatrici o anomalie. Non ci sono segni di depilazione irritante, né infezioni o arrossamenti evidenti.” Descriveva la mia vagina con distacco: pelosa ma ben curata, con i peli pubici morbidi e uniformi che coprivano il monte di Venere; le grandi labbra esterne piene e protettive, mentre le piccole labbra interne sporgevano leggermente, un po’ più lunghe del normale ma perfettamente sane, rosate e senza asimmetrie. Il clitoride era nascosto tra le pieghe, sensibile ma non esposto, e notò con lo stesso tono neutro una buona lubrificazione naturale, il mio corpo che reagiva involontariamente al tocco, producendo umori che facilitavano l’esame.
Chiusi gli occhi, sentendo le sue dita premere all’interno, esplorando la cervice e le pareti vaginali per la palpazione bimanuale. Era la mia prima volta, e lui sembrava approfittarne con tocchi che duravano un secondo di troppo, premendo sul fondo della vagina o sfiorando le ovaie con una pressione insistente, come se volesse assicurarsi di ogni dettaglio. Il suo viso anziano rimaneva impassibile, ma notavo come si soffermasse a guardarmi, gli occhi che vagavano mentre io mordevo il labbro inferiore, non per eccitazione, ma per trattenere qualsiasi suono, terrorizzata di fare una figuraccia o di lasciarmi sfuggire un ansito involontario.
Poi, infilò due dita in profondità, spingendo fino al fornice vaginale. “Devo verificare che tutto sia in ordine,” disse come scusa, la voce sempre calma, ma quel gesto mi fece irrigidire. Stavo per scoppiare, il mio corpo che tradiva un calore crescente, e un piccolo verso mi sfuggì dalle labbra, appena udibile. Lui lo sentì, i suoi occhi che si alzarono per un istante sul mio viso, e io volevo solo correre via, il rossore che mi invadeva il collo.
“Quasi finito,” annunciò, ritirando le mani. Si allontanò per prendere un fazzoletto di carta assorbente, e pensai che me lo avrebbe passato per pulirmi da sola. Invece, tornò e lo fece lui, con una dolcezza inaspettata, il tocco leggero e metodico. Con una mano mi allargò delicatamente le piccole labbra, esponendo il clitoride nascosto, e con l’altra strofinò il tessuto ruvido sulla mucosa umida, sfiorando il mio punto più sensibile in modo prolungato. Sentivo il ruvido strusciare sul clitoride ipertrofico dalla tensione, amplificando la mia lubrificazione naturale, facendomi bagnare ancora di più. Sembrava farlo apposta, quel movimento circolare che durava più del necessario, come se volesse prolungare il contatto sotto la scusa della pulizia professionale. Il mio imbarazzo era al culmine, il corpo che reagiva nonostante la mente urlasse di fermarsi.
Finalmente, mi permise di rivestirmi. Sentivo i suoi occhi su di me mentre infilavo le mutandine e i pantaloni, ma stranamente, l’imbarazzo si era attenuato; sapevo che era finita, che potevo andarmene. Prima di uscire, mi fermò: “Dovrebbe tornare per alcuni accertamenti di routine.” Stavo per rifiutare, ma alla fine annuii, mormorando che avrei preso appuntamento al centralino.
Mentre camminavo fuori dallo studio, sentii l’umidità tra le gambe: le mie mutandine erano intrise dei miei umori, un calore persistente che mi sorprendeva. Solo al pensiero di tornare da lui, di rivivere quel tocco indifferente ma insistente, un brivido mi percorse, misto a un desiderio inconfessabile che non volevo ammettere.
u6753739252@gmail.com
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2025-11-02
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