Primo giorno da maggiorenne
di
Panny
genere
prime esperienze
Era la mia prima volta in un posto del genere, e il cuore mi martellava nel petto come un tamburo impazzito. Avevo compiuto diciotto anni da poco, e fino a quel momento la mia vita sessuale era stata un deserto: solo fantasie solitarie, niente di reale, niente di vivo. Ma quella sera, spinto da una curiosità che mi consumava, decisi di varcare la soglia di un locale di spogliarelliste. Volevo vedere una donna nuda dal vivo, sentire l’aria carica di eccitazione, rompere quel guscio di inesperienza che mi avvolgeva. Erano le 00:00 in punto quando arrivai davanti all’ingresso, le luci al neon che pulsavano come un invito proibito.
Il buttafuori, un colosso con le braccia tatuate, mi squadrò dall’alto in basso. “Hai un viso da sbarbatello, sei maggiorenne?” mi chiese, la voce rauca e sospettosa. Arrossii all’istante, sentendo le guance bruciare mentre tiravo fuori la carta d’identità. La esaminò con attenzione, girandola tra le dita, e dopo un’eternità di silenzio mi fece cenno di entrare. “Vai pure,” borbottò, e io varcai la porta con le gambe che tremavano leggermente.
Dentro, l’aria era densa di profumi misti – alcol, sudore, un velo di vaniglia artificiale. Le luci soffuse danzavano su due grandi palchi illuminati, con pali da lap dance che scintillavano come promesse. Un bancone lunghissimo si estendeva da un lato, carico di bottiglie che riflettevano bagliori colorati. Appena entrai, i miei occhi si spalancarono: donne nude o seminude si muovevano con grazia felina sui palchi e sui divanetti, i corpi esposti senza vergogna. Una risata isterica mi sfuggì dalle labbra, un misto di ansia e incredulità. Non avevo mai visto nulla del genere, nemmeno una sola donna nuda dal vivo, e ora ce n’erano decine, tutte lì, reali e tangibili.
Al bancone, una barista mi fermò con un sorriso professionale. “Con l’entrata hai un drink obbligatorio,” spiegò. “E se vuoi parlare con le ragazze, offri loro da bere. Per un ballo privato, paghi a parte.” Annuii, cercando di sembrare disinvolto, anche se il mio stomaco era un nodo. Presi un cocktail semplice e mi ritirai in un angolo su un divano morbido, sperando di ambientarmi. Ma non ebbi nemmeno il tempo di respirare: due donne si avvicinarono con passo sicuro, i loro corpi avvolti in lingerie che lasciava poco all’immaginazione.
“Ciao, io sono Luana,” disse la prima, una bruna sulla cinquantina con un fisico leggermente robusto, segnato da smagliature che parlavano di vita vissuta. Indossava un body in pizzo rosso che metteva in evidenza un décolleté generoso, e il suo sorriso era caldo, esperto, come se avesse visto centinaia di ragazzi come me. L’altra, più snella e alta, con gambe slanciate e capelli biondi a caschetto, si presentò con una voce timida: “Io sono Debora.” I suoi occhi azzurri scintillavano dietro un apparecchio dentale, e il suo intimo azzurro in pizzo rivelava un seno piccolo ma invitante, con un tanga che accentuava le curve del sedere. Arrossii di nuovo, balbettando un “Piacere, Thomas.”
Decisi di offrire un drink a entrambe, per tenere viva la conversazione e calmare i nervi. “Cosa fate nella vita?” chiesi, cercando di suonare casuale. Luana rise piano, un suono profondo e rassicurante. “Io ho un figlio, sono una mamma single. Di giorno sto con mio figlio , e la sera… beh, mi impegno per lui. Quando ballo, do tutto me stessa.” Le sue parole trasudavano esperienza, una sicurezza che mi affascinava e intimidiva allo stesso tempo. Debora, invece, arrossì leggermente, giocherellando con l’orlo del suo tanga. “Io… studio psicologia all’Università di Parma. Di giorno lezioni, di notte qui, per pagarmi gli studi. Spero sempre in clienti nuovi.” La sua voce tremava un po’, gli occhi che evitavano i miei, e sentii un’onda di empatia mista a eccitazione: era nervosa quanto me.
Le loro storie mi colpirono, e offrii un altro giro di drink, sapendo che prendevano una percentuale. Parlammo di me – del mio lavoro nell’azienda di famiglia, senza dettagli – e di loro. Luana era loquace, le sue mani che sfioravano il mio braccio con tocchi leggeri, guidando la conversazione con maestria. “Quando ballo, è per farvi sentire speciali,” disse, i suoi occhi che catturavano i miei. Debora annuì, ma il suo imbarazzo era palpabile, le guance rosse mentre aggiungeva: “Se vuoi, posso ballare per te in privato… ti mostrerò tutto di me.” Le parole le uscirono esitanti, e notai come Luana la guardasse con un sorriso complice, quasi materno.
La tensione crebbe: sentivo che competavano sottilmente per la mia attenzione. “State tranquille,” dissi, la voce che mi usciva incerta. “Siete entrambe fantastiche. Se va bene, andrei prima con una e poi con l’altra.” Luana inclinò la testa, un bagliore malizioso negli occhi. “E se facessimo tutt’e due subito? Sarebbe più… intenso.” Il mio cuore saltò un battito. Pensai al costo – lo stesso di due separate – e annuii, l’eccitazione che superava l’imbarazzo. “Va bene,” mormorai, le mani sudate.
Luana mi prese per mano con fermezza, guidandomi alla cassa mentre Debora ci seguiva in silenzio. Pagai 200 euro per mezz’ora, e la cassiera recitò le regole: “Loro si spogliano, puoi guardarle e toccarle se vogliono, ma niente di più.” Un velo di delusione mi attraversò – dopo quella spesa, speravo in qualcosa di extra – ma ormai ero in ballo. Entrammo nella stanzetta privata, un divano in pelle comodo al centro. Debora tirò la tendina con mani tremanti, e io mi sedetti, il respiro affannoso.
Luana iniziò a ballare, i movimenti fluidi e sensuali, spogliandosi piano. Il suo body scivolò via, rivelando curve morbide che ondeggiavano al ritmo della musica soffusa. Debora si sedette al mio fianco, la sua vicinanza che mi faceva formicolare la pelle. “Abbassami le mutandine,” sussurrò, la voce un filo esitante. Le mie dita tremarono mentre obbedivo, sfiorando la sua pelle liscia; lei le prese e, con un gesto timido, me le infilò in bocca. Si slacciò il reggiseno, i suoi piccoli seni esposti, i capezzoli che si indurivano all’aria.
Debora iniziò a toccarmi da sopra i pantaloni, le sue dita leggere e incerte, mentre Luana si avvicinava, prendendomi la testa e guidandola verso il suo seno. “Lasciati andare,” mormorò, e io affondai il viso in quella morbidezza calda, i capezzoli duri che sfioravano le mie guance. Allungai una mano verso il suo culo, goffo e timido, e lei rise piano: “Toccami bene, non essere timido.” Incoraggiato, palpai con più decisione, sentendo la sua pelle vellutata sotto le dita.
Debora massaggiava il mio pacco sempre più insistentemente, e io sentivo l’eccitazione montare, il controllo che sfuggiva. Luana si fermò, prendendomi il viso tra le mani. “Per 50 euro, ti facciamo un pompino,” propose, la voce bassa e seducente. Arrossii violentemente, incapace di parlare, ma tirai fuori la banconota. Lei la infilò nel tacco con un gesto esperto. “Che aspetti, Debora? Prendiglielo in bocca,” ordinò, e notai la gerarchia: Luana comandava, Debora obbediva con un “Sì… va bene,” la voce tremante, gli occhi bassi per l’imbarazzo.
Debora slacciò i miei pantaloni con dita incerte, liberando il mio membro turgido. Iniziò a masturbarmi piano, la pelle che scivolava sotto il suo tocco, poi si chinò esitante. Luana, impaziente, le posò una mano sulla testa e la spinse giù, facendole prendere tutto in bocca. Debora emise un suono soffocato, le guance rosse, ma continuò, il ritmo dettato da Luana che la guidava con fermezza. “Così, brava,” disse Luana, prendendomi una mano e portandola alla sua intimità. “Toccami un po’.”
Le mie dita sfiorarono la sua vulva, calda e umida, con una peluria curata e labbra invitanti. Ero in estasi, sentendola bagnarsi sotto il mio tocco. Luana mi tolse il tanga di Debora dalla bocca e mi fece stendere. “Ora è tempo di assaggiare,” sussurrò, accovacciandosi sul mio viso, la sua femminilità che si posava sulle mie labbra. “Lecca.” Il suo sapore era pulito, con un retrogusto salato e pungente, e io obbedii, la lingua che esplorava mentre lei gemeva piano. Dal mio punto di vista, vedevo solo il suo culo rotondo, ma sentivo le sue parole a Debora: “Continua, devi farle bene le pompe se vuoi pagarti gli studi.” La spingeva in fondo, e i suoni di Debora – succhi e piccoli soffocamenti – mi eccitavano da impazzire, anche se un velo di compassione mi sfiorava per la sua timidezza.
Stavo leccando Luana con foga quando lei venne, i suoi succhi che mi inondarono il viso, quasi soffocandomi in un’onda di piacere. Non riuscii ad avvisare, e venni anch’io in bocca a Debora, sentendola tossire e ingoiare con gli occhi lucidi di lacrime per lo sforzo. Luana si alzò, e io mi sedetti. Il tempo era finito; mi rivestii in fretta, e ciascuna mi salutò con un bacio sulle labbra. Quello di Debora portava un gusto salato e amarognolo, un ricordo intimo che mi fece arrossire di nuovo.
Uscendo dalla stanza, sentii Luana dire a Debora: “Sei stata brava come primo giorno, continua così e pagherai tutti gli studi.” In macchina, ripensai a tutto: l’imbarazzo condiviso con Debora, la guida esperta di Luana, i tocchi sensuali che avevano acceso ogni nervo. Invece di impietosirmi, mi eccitai ancora di più. Sapevo che sarei tornato.
Ringrazio tutti i lettori che continuano a scriverci, facendoci complimenti e critiche costruttive sui nostri racconti.
Scusate se rispondo lentamente alle e-mail, ma solo oggi ne sono arrivate tantissime : tra saluti, racconti delle vostre esperienze e richieste di pubblicarle qui.
Vi ringrazio davvero tanto per chi voglia scrivermi: lascio qui la mia e-mail.
u6753739252@gmail.com
Il buttafuori, un colosso con le braccia tatuate, mi squadrò dall’alto in basso. “Hai un viso da sbarbatello, sei maggiorenne?” mi chiese, la voce rauca e sospettosa. Arrossii all’istante, sentendo le guance bruciare mentre tiravo fuori la carta d’identità. La esaminò con attenzione, girandola tra le dita, e dopo un’eternità di silenzio mi fece cenno di entrare. “Vai pure,” borbottò, e io varcai la porta con le gambe che tremavano leggermente.
Dentro, l’aria era densa di profumi misti – alcol, sudore, un velo di vaniglia artificiale. Le luci soffuse danzavano su due grandi palchi illuminati, con pali da lap dance che scintillavano come promesse. Un bancone lunghissimo si estendeva da un lato, carico di bottiglie che riflettevano bagliori colorati. Appena entrai, i miei occhi si spalancarono: donne nude o seminude si muovevano con grazia felina sui palchi e sui divanetti, i corpi esposti senza vergogna. Una risata isterica mi sfuggì dalle labbra, un misto di ansia e incredulità. Non avevo mai visto nulla del genere, nemmeno una sola donna nuda dal vivo, e ora ce n’erano decine, tutte lì, reali e tangibili.
Al bancone, una barista mi fermò con un sorriso professionale. “Con l’entrata hai un drink obbligatorio,” spiegò. “E se vuoi parlare con le ragazze, offri loro da bere. Per un ballo privato, paghi a parte.” Annuii, cercando di sembrare disinvolto, anche se il mio stomaco era un nodo. Presi un cocktail semplice e mi ritirai in un angolo su un divano morbido, sperando di ambientarmi. Ma non ebbi nemmeno il tempo di respirare: due donne si avvicinarono con passo sicuro, i loro corpi avvolti in lingerie che lasciava poco all’immaginazione.
“Ciao, io sono Luana,” disse la prima, una bruna sulla cinquantina con un fisico leggermente robusto, segnato da smagliature che parlavano di vita vissuta. Indossava un body in pizzo rosso che metteva in evidenza un décolleté generoso, e il suo sorriso era caldo, esperto, come se avesse visto centinaia di ragazzi come me. L’altra, più snella e alta, con gambe slanciate e capelli biondi a caschetto, si presentò con una voce timida: “Io sono Debora.” I suoi occhi azzurri scintillavano dietro un apparecchio dentale, e il suo intimo azzurro in pizzo rivelava un seno piccolo ma invitante, con un tanga che accentuava le curve del sedere. Arrossii di nuovo, balbettando un “Piacere, Thomas.”
Decisi di offrire un drink a entrambe, per tenere viva la conversazione e calmare i nervi. “Cosa fate nella vita?” chiesi, cercando di suonare casuale. Luana rise piano, un suono profondo e rassicurante. “Io ho un figlio, sono una mamma single. Di giorno sto con mio figlio , e la sera… beh, mi impegno per lui. Quando ballo, do tutto me stessa.” Le sue parole trasudavano esperienza, una sicurezza che mi affascinava e intimidiva allo stesso tempo. Debora, invece, arrossì leggermente, giocherellando con l’orlo del suo tanga. “Io… studio psicologia all’Università di Parma. Di giorno lezioni, di notte qui, per pagarmi gli studi. Spero sempre in clienti nuovi.” La sua voce tremava un po’, gli occhi che evitavano i miei, e sentii un’onda di empatia mista a eccitazione: era nervosa quanto me.
Le loro storie mi colpirono, e offrii un altro giro di drink, sapendo che prendevano una percentuale. Parlammo di me – del mio lavoro nell’azienda di famiglia, senza dettagli – e di loro. Luana era loquace, le sue mani che sfioravano il mio braccio con tocchi leggeri, guidando la conversazione con maestria. “Quando ballo, è per farvi sentire speciali,” disse, i suoi occhi che catturavano i miei. Debora annuì, ma il suo imbarazzo era palpabile, le guance rosse mentre aggiungeva: “Se vuoi, posso ballare per te in privato… ti mostrerò tutto di me.” Le parole le uscirono esitanti, e notai come Luana la guardasse con un sorriso complice, quasi materno.
La tensione crebbe: sentivo che competavano sottilmente per la mia attenzione. “State tranquille,” dissi, la voce che mi usciva incerta. “Siete entrambe fantastiche. Se va bene, andrei prima con una e poi con l’altra.” Luana inclinò la testa, un bagliore malizioso negli occhi. “E se facessimo tutt’e due subito? Sarebbe più… intenso.” Il mio cuore saltò un battito. Pensai al costo – lo stesso di due separate – e annuii, l’eccitazione che superava l’imbarazzo. “Va bene,” mormorai, le mani sudate.
Luana mi prese per mano con fermezza, guidandomi alla cassa mentre Debora ci seguiva in silenzio. Pagai 200 euro per mezz’ora, e la cassiera recitò le regole: “Loro si spogliano, puoi guardarle e toccarle se vogliono, ma niente di più.” Un velo di delusione mi attraversò – dopo quella spesa, speravo in qualcosa di extra – ma ormai ero in ballo. Entrammo nella stanzetta privata, un divano in pelle comodo al centro. Debora tirò la tendina con mani tremanti, e io mi sedetti, il respiro affannoso.
Luana iniziò a ballare, i movimenti fluidi e sensuali, spogliandosi piano. Il suo body scivolò via, rivelando curve morbide che ondeggiavano al ritmo della musica soffusa. Debora si sedette al mio fianco, la sua vicinanza che mi faceva formicolare la pelle. “Abbassami le mutandine,” sussurrò, la voce un filo esitante. Le mie dita tremarono mentre obbedivo, sfiorando la sua pelle liscia; lei le prese e, con un gesto timido, me le infilò in bocca. Si slacciò il reggiseno, i suoi piccoli seni esposti, i capezzoli che si indurivano all’aria.
Debora iniziò a toccarmi da sopra i pantaloni, le sue dita leggere e incerte, mentre Luana si avvicinava, prendendomi la testa e guidandola verso il suo seno. “Lasciati andare,” mormorò, e io affondai il viso in quella morbidezza calda, i capezzoli duri che sfioravano le mie guance. Allungai una mano verso il suo culo, goffo e timido, e lei rise piano: “Toccami bene, non essere timido.” Incoraggiato, palpai con più decisione, sentendo la sua pelle vellutata sotto le dita.
Debora massaggiava il mio pacco sempre più insistentemente, e io sentivo l’eccitazione montare, il controllo che sfuggiva. Luana si fermò, prendendomi il viso tra le mani. “Per 50 euro, ti facciamo un pompino,” propose, la voce bassa e seducente. Arrossii violentemente, incapace di parlare, ma tirai fuori la banconota. Lei la infilò nel tacco con un gesto esperto. “Che aspetti, Debora? Prendiglielo in bocca,” ordinò, e notai la gerarchia: Luana comandava, Debora obbediva con un “Sì… va bene,” la voce tremante, gli occhi bassi per l’imbarazzo.
Debora slacciò i miei pantaloni con dita incerte, liberando il mio membro turgido. Iniziò a masturbarmi piano, la pelle che scivolava sotto il suo tocco, poi si chinò esitante. Luana, impaziente, le posò una mano sulla testa e la spinse giù, facendole prendere tutto in bocca. Debora emise un suono soffocato, le guance rosse, ma continuò, il ritmo dettato da Luana che la guidava con fermezza. “Così, brava,” disse Luana, prendendomi una mano e portandola alla sua intimità. “Toccami un po’.”
Le mie dita sfiorarono la sua vulva, calda e umida, con una peluria curata e labbra invitanti. Ero in estasi, sentendola bagnarsi sotto il mio tocco. Luana mi tolse il tanga di Debora dalla bocca e mi fece stendere. “Ora è tempo di assaggiare,” sussurrò, accovacciandosi sul mio viso, la sua femminilità che si posava sulle mie labbra. “Lecca.” Il suo sapore era pulito, con un retrogusto salato e pungente, e io obbedii, la lingua che esplorava mentre lei gemeva piano. Dal mio punto di vista, vedevo solo il suo culo rotondo, ma sentivo le sue parole a Debora: “Continua, devi farle bene le pompe se vuoi pagarti gli studi.” La spingeva in fondo, e i suoni di Debora – succhi e piccoli soffocamenti – mi eccitavano da impazzire, anche se un velo di compassione mi sfiorava per la sua timidezza.
Stavo leccando Luana con foga quando lei venne, i suoi succhi che mi inondarono il viso, quasi soffocandomi in un’onda di piacere. Non riuscii ad avvisare, e venni anch’io in bocca a Debora, sentendola tossire e ingoiare con gli occhi lucidi di lacrime per lo sforzo. Luana si alzò, e io mi sedetti. Il tempo era finito; mi rivestii in fretta, e ciascuna mi salutò con un bacio sulle labbra. Quello di Debora portava un gusto salato e amarognolo, un ricordo intimo che mi fece arrossire di nuovo.
Uscendo dalla stanza, sentii Luana dire a Debora: “Sei stata brava come primo giorno, continua così e pagherai tutti gli studi.” In macchina, ripensai a tutto: l’imbarazzo condiviso con Debora, la guida esperta di Luana, i tocchi sensuali che avevano acceso ogni nervo. Invece di impietosirmi, mi eccitai ancora di più. Sapevo che sarei tornato.
Ringrazio tutti i lettori che continuano a scriverci, facendoci complimenti e critiche costruttive sui nostri racconti.
Scusate se rispondo lentamente alle e-mail, ma solo oggi ne sono arrivate tantissime : tra saluti, racconti delle vostre esperienze e richieste di pubblicarle qui.
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