Sentirsi ancora viva a 70 anni

di
genere
etero

Era una sera d’autunno, con l’aria fresca che filtrava dalle finestre della vecchia casa di Agnese, nel quartiere tranquillo alla periferia della città. Io, Filippo, avevo ventidue anni e stavo studiando ingegneria all’università, ma per pagarmi i libri e l’affitto facevo piccoli lavori per lei: pulivo il giardino, facevo la spesa, sistemavo le mensole che cigolavano. Agnese era una nonna di settant’anni, vedova da tempo, con un corpo che portava i segni degli anni – curve morbide e un po’ appesantite, capelli grigi raccolti in una crocchia semplice, e un sorriso gentile che nascondeva una malinconia profonda. Viveva sola, e io ero diventato una presenza familiare, quasi un nipote acquisito. Ma quella sera, dopo aver finito di riordinare la cucina, le cose presero una piega inaspettata.
Agnese era seduta al tavolo della sala da pranzo, con una tazza di tè tra le mani artritiche. Indossava una vestaglia leggera, floreale, che le arrivava alle ginocchia, e i suoi occhi, un po’ velati dall’età, mi fissavano con una dolcezza mista a nostalgia. “Filippo, siediti un momento,” mi disse piano, la voce tremula come le foglie fuori dalla finestra. “Sei sempre di fretta, come i giovani d’oggi. Ai miei tempi, si parlava di più.”
Mi sedetti di fronte a lei, asciugandomi le mani sul grembiule. “Certo, signora Agnese. Di cosa vuole parlare?”
Lei sospirò, guardando fuori nel buio. “Delle cose che non tornano più. Sai, quando ero giovane, con mio marito… avevamo una passione, una voglia di emozioni forti. Il tocco, il calore della pelle… ora mi manca tanto. A settant’anni, il corpo non è più lo stesso, fuori forma come sono, ma il cuore, quello batte ancora per certe cose. Mi sento sola, Filippo. Tu sei così gentile, sempre qui ad aiutarmi. Mi fai sentire viva.”
Le sue parole mi colpirono, un misto di tenerezza e imbarazzo. Arrossii leggermente. “Mi dispiace, Agnese. Non dev’essere facile. Ma lei è una donna forte, e… beh, merita di sentirsi bene.”
Lei mi sorrise, posando una mano sulla mia. “E tu? Hai una ragazza? Alla tua età, dovresti vivere queste emozioni.”
Scossi la testa, timido. “No, studio troppo. Non ho tempo per quello.”
Agnese inclinò la testa, i suoi occhi che si illuminavano di un bagliore malinconico. “Forse potresti aiutarmi a ricordare, Filippo. Solo un po’ di compagnia intima. Non ti chiedo niente di sbagliato, solo… soddisfare una vecchia voglia. Promettimi che ci pensi.”
Annuii, confuso ma toccato dalla sua vulnerabilità. Quella notte, Agnese insistette perché restassi a dormire nella stanza degli ospiti, dato che pioveva forte e la mia bici era fuori uso. Mi coricai nel letto singolo, con le lenzuola che odoravano di lavanda fresca, ma non riuscivo a dormire. Le parole di Agnese mi ronzavano in testa, e un calore inaspettato mi salì dal basso. Senza pensare, abbassai i pantaloni del pigiama e iniziai a toccarmi piano, il mio pene – non grande, ma depilato come facevo sempre per sentirmi pulito – che si induriva sotto le dita. Ero perso nei miei pensieri quando sentii un cigolio alla porta.
Alzai lo sguardo e vidi Agnese, in piedi sulla soglia, la vestaglia semiaperta che lasciava intravedere la sua figura morbida illuminata dalla luce del corridoio. “Scusa, Filippo… non volevo disturbare,” mormorò, ma non si mosse.
Io mi bloccai, il cuore in gola, coprendomi goffamente con la coperta. “Agnese… io… mi dispiace, non dovrei…”
Lei entrò piano, chiudendo la porta dietro di sé. “No, no, va bene. Posso… guardarti? Solo guardarti. È da tanto che non vedo un uomo così. Mi fa sentire… viva.”
Ero imbarazzato, il viso in fiamme, ma il suo sguardo era così dolce, implorante. “Va… va bene,” balbettai, scoprendomi lentamente. Ripresi a muovere la mano, piano, sentendomi esposto ma stranamente eccitato dal suo sguardo. Il mio pene era piccolo, liscio senza peli, e pulsava sotto le luci fioche della lampada da notte.
Agnese si avvicinò al letto, sedendosi sul bordo. “È… depilato,” disse con stupore, la voce bassa e curiosa. “Perché lo fai? Ai miei tempi, gli uomini non lo facevano. Sembra così… pulito, innocente.”
“È una cosa moderna, credo,” risposi ansimando leggermente. “Mi fa sentire meglio.”
Lei annuì, gli occhi fissi su di me. “È bello, Filippo. Piccolo ma perfetto.” La scena era intima, l’aria della stanza carica di un odore muschiato, misto al suo profumo di sapone e al mio sudore leggero. Continuai, sentendomi osservato in modo tenero, non giudicante.
Dopo un po’, Agnese arrossì, torcendo le mani. “Vuoi… vedermi mentre mi tocco? Non l’ho mai fatto davanti a nessuno, nemmeno a mio marito. Mi vergogno tanto, Filippo. Non sono più giovane, il mio corpo è vecchio, fuori forma… non penso di piacere a un ragazzo come te.”
Il suo imbarazzo mi commosse. “Sì, Agnese. Mi piacerebbe. Lei è bella a modo suo, mi fido di lei.”
Lei esitò, poi si alzò e si tolse la vestaglia, rivelando un corpo segnato dal tempo: seni pendenti, pancia morbida, e tra le gambe una vagina coperta da un folto cespuglio di peli grigi e bianchi, le labbra esterne un po’ rilassate, segnate da rughe delicate, umide per l’eccitazione repressa. Si sedette sul letto di fronte a me, aprendo leggermente le gambe. “Guardami, allora,” sussurrò, portando una mano tremante lì sotto. Iniziò a toccarsi piano, le dita che sfioravano i peli folti, emettendo piccoli sospiri. “È da anni che non provo questo… mi sento in imbarazzo, Filippo. Sembri così giovane.”
“È okay, Agnese. È dolce vederla così,” la rassicurai, il mio cuore che batteva forte.
Lei continuò, arrossendo sempre di più, fino a quando non ansimò: “Ti va di… leccarmi? Solo se vuoi.”
Annuii, avvicinandomi piano. Mi inginocchiai tra le sue gambe, l’odore forte e terroso della sua vagina che mi investì – un gusto maturo, intenso, dovuto agli anni, come un vino invecchiato, misto a sudore e umidità naturale. Iniziai a leccarla delicatamente, i peli che mi entravano in bocca, ispidi e umidi, facendomi deglutire. Era autentico, non perfetto, ma reale: il suo sapore forte mi avvolgeva la lingua, salato e profondo, mentre lei gemeva piano, tenendomi la testa con gentilezza.
“Filippo… è meraviglioso,” mormorò. “Vuoi che ti tocchi io?”
“Sì, per favore,” dissi, alzandomi un po’.
Le sue mani artritiche ma calde presero il mio pene, ispezionandolo con cura, come se fosse una novità preziosa. “È così liscio… piccolo, ma mi piace,” disse dolcemente, accarezzandolo piano.
Poi, con un sussurro timido: “Avvicinati, Filippo. Posso… succhiartelo? È da tanto tempo.”
Mi avvicinai, e lei lo prese in bocca, impacciata all’inizio – i movimenti lenti, esitanti, per l’inesperienza accumulata negli anni. La sua bocca era calda, umida, e anche se il mio pene non era grande, le riempiva le labbra, facendola adattare con dolcezza. Succhiava piano, la lingua che girava goffa ma affettuosa, emettendo piccoli suoni di piacere.
“Posso… venirti in bocca, Agnese?” chiesi ansimando, l’estasi che mi saliva.
“Sì, tesoro. Vieni pure,” rispose lei, guardandomi con occhi emozionati.
Venni in un’onda di piacere, il mio corpo che tremava mentre lo sperma le riempiva la bocca. Lei lo gustò tutto, succhiando piano fino all’ultima goccia, deglutendo con un sorriso timido. Ero in estasi, le mani nei suoi capelli grigi, sentendomi connesso in quel momento dolce e autentico.
Dopo, ci abbracciammo piano, l’aria della stanza calda e serena. “Grazie, Filippo. Mi hai fatto sentire giovane di nuovo,” mormorò lei, baciandomi la fronte.
“È stato bello, Agnese. Per me è stato speciale.”
Ci rivestimmo in silenzio, e andammo a dormire nei nostri rispettivi letti, con un calore nuovo nel cuore, pronti per il giorno dopo.

Ringrazio tutti i lettori che continuano a scriverci, facendoci complimenti e critiche costruttive sui nostri racconti.
Scusate se rispondo lentamente alle e-mail, ma solo oggi ne sono arrivate tantissime : tra saluti, racconti delle vostre esperienze e richieste di pubblicarle qui.
Vi ringrazio davvero tanto per chi voglia scrivermi: lascio qui la mia e-mail.
u6753739252@gmail.com
Instagram: sara_gubbioracconti
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2025-11-09
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