Capitolo 11 matilde

di
genere
etero

Lucia aprì la porta ancora con il telefono in mano, stava chiudendo una telefonata di lavoro. Sandro le sorrise, le fece un cenno con le sopracciglia sollevate come a dire “è finita?”, e lei, abbassando lo sguardo, annuì. Aveva il volto stanco ma bello, con quell’aria di donna che non si risparmia mai.
Si baciarono piano. Nessuna battuta, nessun preambolo, fecero l’amore.
Il desiderio sembrava ormai essersi liberato da ogni freno. Lucia si muoveva con naturalezza, senza trattenersi, e Sandro, ogni volta che la guardava negli occhi, vedeva quella scintilla. Si cercarono come due corpi che ormai conoscevano le proprie mappe con la voglia di esplorarsi.
Dopo, rimasero stesi nel letto, ancora nudi e la finestra appena socchiusa a far entrare l’aria della sera.
«Bianchi mi ha detto che il questore vuole mollare la pista dei festini.»
disse Lucia, la voce ancora un po’ roca.
Sandro si voltò verso di lei.
«Lo immaginavo.»
Lei annuì, prendendosi un momento prima di aggiungere:
«Vuole che puntiamo sul lavoro. Vecchi attriti, incarichi passati, appalti. Tutte cose che, francamente, mi sembrano molto meno vive.»
Sandro sospirò.
«Eppure è nei dettagli di quella vita privata che c’è qualcosa che non torna. Matilde aveva trovato un modo per essere libera, ma anche esposta. E lì, tra quelle dinamiche, può essersi nascosto qualcuno che non tollerava più quella libertà.»
Lucia lo guardò.
«La pista libertina non è solo una suggestione. È un mondo chiuso, protetto, ma non inviolabile. Matilde ci si era immersa. Qualcuno l’ha forse voluta punire per questo.»
«Oppure temeva quello che lei sapeva,» aggiunse Sandro.
«O quello che avrebbe potuto raccontare.»
Lucia si sollevò leggermente, guardandolo dritto negli occhi.
«Faremo da soli.»
Lui le prese la mano e sorrise, con la solita ironia gentile.
«Allora entriamo anche noi in scena.»
«Sì,» disse lei.

I giorni successivi furono dedicati alla ricerca. Si ritagliarono momenti tra un impegno e l’altro per scavare, esplorare, confrontare. All’apparenza non c’era nulla: nessun club ufficiale, nessun nome in bella vista, nessuna associazione che potesse rimandare esplicitamente a quel mondo di feste private, eleganti e oscure, in cui Matilde aveva vissuto una parte tanto intensa quanto segreta della propria vita.
Fu Sandro a concentrarsi su internet. Scorreva i profili di siti ambigui concentrandosi su quelli pugliesi e che avessero dei riferimenti che potessero far pensare ad incontri baresi.
Ve ne erano diversi e su quelli più interessanti leggeva i commenti dei loro frequentatori.
Fu attratto dalla parola “circuito”.
«Circuito?» chiese Lucia, leggendo da dietro le sue spalle.
«Già. Come se si trattasse di qualcosa di selettivo, non immediatamente accessibile. Come se, per entrare, servisse la chiave giusta.»
Fu solo collegando alcuni post su forum privati e blog semi-clandestini che trovarono la conferma. Le feste erano reali. Esistevano. Venivano organizzate con un sistema discreto, quasi rituale.
Il sito per adulti — uno dei tanti, apparentemente uguale agli altri — fungeva da porta d’ingresso. Ma l’accesso vero e proprio a quegli eventi non era automatico. Occorreva attrarre l’attenzione giusta.
Alcuni profili erano riconoscibili per piccoli dettagli: una frase, un simbolo, certe foto in controluce. Chi li gestiva selezionava accuratamente i contatti, proponeva un primo scambio di messaggi, chiedeva prove di “affinità”. E poi, forse, l’invito.
«Devi costruirti una personalità coerente con quel mondo,» disse Sandro.
Lucia sorrise. «Una donna disinibita, elegante. Sensuale e un bel pò porca. Dici che non lo sono già?»
Chiuse la frase ridendo.
«Si, ciò no. Insomma sei porca, ma sei la mia porca» disse lui rispondendo alla risata.
Suggelarono le risate con un bel bacio.
Poi decisero che Lucia avrebbe creato un profilo. Un nome fittizio, qualche foto selezionata con cura, un tono che lasciasse intendere molto, ma non svelasse nulla. Doveva essere intrigante, misteriosa, capace di attirare l’attenzione dei selezionatori.
Lucia prese il portatile.
«Cominciamo?» chiese.
Sandro annuì.
«Sì. È il momento di entrare nel loro mondo.»

Lucia si sedette sul bordo del letto con il portatile sulle gambe. Lo sguardo fisso sul profilo ancora vuoto. Nome fittizio, data approssimativa, una descrizione calibrata tra l’audacia e l’intelligenza: “Donna libera, curiosa, affamata di esperienze. Non cerco legami, cerco scintille.”
«Non basta scrivere bene,» disse Sandro alle sue spalle, mentre appoggiava una bottiglia d’acqua sul comodino.
«Bisognerà mandare qualche foto osé.»
Lucia annuì, seria. «Lo so. Non posso usare immagini prese da internet. Se ci riconoscono, se veniamo scoperti… dev’essere tutto verosimile.»
Sandro si avvicinò.
«Te le faccio io le foto?»
«Ah bene...vuoi proprio mettermi in mostra?» Disse ridendo.
Allestirono il piccolo set in casa. L’ambiente della camera da letto si prestava bene.
Avevano visto decine di profili simili: le foto dovevano suggerire, non mostrare tutto. Il desiderio doveva crescere per sottrazione.
Lucia si vestì, o meglio si spogliò con cura. Indossò un completo nero di pizzo, trasparente il giusto. Un reggicalze e calze velate. Si legò i capelli a coda e indossò un paio di scarpe. Quelle da mignotta disse lei.
Sandro con il suo iPhone cercava l’inquadratura. Lucia era lì, in piedi, con una mano sul fianco e lo sguardo dritto in camera. Non sorrideva. Bella in modo carnale.
«Stai bene?» chiese lei, quasi divertita.
«Sei uno schianto.»
Le fece sedere sul bordo del letto, in una posa naturale. Poi in piedi, di profilo, con la luce che le accarezzava i fianchi. Un’altra foto, più ravvicinata, che inquadrava il suo favoloso fondoschiena. Ogni scatto un piccolo gioco di svelamento, un ritmo fatto di lentezza e complicità.
Lucia era seria, ma sotto quella concentrazione Sandro percepiva qualcosa in lei che stava mutando. Non era solo una finzione. Le piaceva. Le piaceva essere vista da lui così. Le piaceva sentirsi guardata, desiderata.
«Ultima serie,» disse Sandro, con voce più roca.
Le chiese di sdraiarsi sul letto, lo sguardo verso di lui. Mentre scattava, non riuscì a trattenersi.
Abbassò il telefono. La desiderava troppo.
Lucia lo capì senza bisogno di parole. Lo attirò a sé con un gesto lento. Si baciarono con urgenza. Lui le tolse lentamente le calze, baciandole le cosce. Lei si lasciò andare, completamente.
Fecero l’amore con l’eccitazione nuova che solo il gioco sa dare. Fu un’ora intensa, vissuta sul filo di quella tensione sottile tra verità e messa in scena.
Dopo, ancora seminudi, seduti uno accanto all’altra, guardarono insieme le foto.
«Queste bastano,» disse.
Le caricarono sul profilo.
Sandro osservava in silenzio.
«Ti rendi conto,» disse lei,
«che se ci invitano… dovrò interpretare tutto questo davvero.»
«Non mi ci far pensare.»
Lei sorrise, sfiorandogli il petto.
«Mi piace questo gioco. Ma dobbiamo ricordarci perché lo facciamo.»
«Per Matilde,» disse Sandro.
«Per scoprire la verità.»
Un messaggio privato, breve e ambiguo. L’utente si firmava solo con una lettera, “L.”. Il tono era educato ma diretto:
“Ciao. Il tuo profilo è interessante. Mi piace il tuo modo di esporti: elegante è deciso. Se sei davvero come sembri, potremmo parlarne. Ma prima dovrai dimostrarlo.”
Lucia lo lesse a bassa voce, mentre Sandro la osservava in silenzio.
«È un contatto reale,» disse lei.
«Uno che sa cosa sta facendo.»
«Sembra un selezionatore.»
«Esatto. Questo è un passaggio. Se rispondo nel modo giusto, potrebbe farci entrare.»
Scrisse con calma, ponderando ogni parola. Non troppo disponibile, non troppo provocante. Giocava sul filo della curiosità. Non era il suo mondo, ma sapeva come muoversi. Era come indossare un abito nuovo che, a sorpresa, le stava bene addosso.
Quando premette “invia”, si appoggiò allo schienale e chiuse gli occhi un istante.
Sandro la guardava. Sentiva il desiderio riaccendersi. A come si era lasciata guardare, toccare, fotografare e possedere.
Gli tornò in mente Matilde. La libertà con cui viveva il proprio corpo. Il piacere che provava nel sentirsi vista. Il modo in cui si faceva desiderare anche davanti al marito.
Lucia era diversa, ma qualcosa le univa. Quella consapevolezza. Quell’essere femmine che non chiedono il permesso. Che si scelgono ogni giorno, anche nell’eros.
E Sandro — in quel momento — lo sentiva con chiarezza: lo eccitava pensarla così. Non era solo l’atto. Era l’idea. L’immagine di lei che si offre con fierezza. Che entra, senza paura, in un mondo che potrebbe divorarla e invece le si piega.
Le toccò una mano.
Lucia aprì gli occhi. «A cosa pensi?»
«Che potrei guardarti per ore,» disse lui. «E che non mi stancherei mai.»
Lei sorrise.
«Non bastano le parole, né qualche foto. In questo ambiente la curiosità non basta: serve convinzione. Ti proporrò una piccola prova. Nulla che ti metta in pericolo, ma abbastanza da capire se sei pronta a essere guardata, osservata, giudicata. Se ti sentirai viva in quel momento, allora sei dei nostri.»
Lucia lesse il messaggio due volte. Poi guardò Sandro.
«È una specie di test.»
«Un rito di passaggio.»
«Sì. Vogliono capire se ho davvero il coraggio di entrare nel loro mondo.»
Qualche ora dopo arrivò un altro messaggio, con istruzioni più dettagliate. Doveva presentarsi in un luogo pubblico, vestita in modo semplice e senza nulla sotto.
Un piccolo gioco di controllo, un modo per verificare se era disposta a mettersi in scena, a farsi vedere senza rete.
Sandro la osservava mentre leggeva.
«Puoi sempre tirarti indietro» disse.
«Lo so. Ma se mi fermo ora, non scopriremo mai la verità.»
Non c’era esibizionismo nel suo tono, solo determinazione. Lucia non voleva compiacere nessuno: voleva capire. Entrare, vedere con i propri occhi quello che Matilde aveva vissuto — e forse compreso troppo tardi.
La mattina seguente si preparò con una cura silenziosa. Scelse un abito estivo, leggero, di cotone, appena sopra il ginocchio, stampato a piccoli fiori.
Si guardò allo specchio e si chiese chi fosse quella donna che stava per uscire. Non la poliziotta. Non l’amante. Non la figura nascosta dietro un profilo falso.
Era lei, Lucia. E stava affrontando il desiderio come un’indagine.
Sandro la seguì da lontano, fingendo casualità. Voleva esserci. Osservarla. Proteggerla, se necessario. Ma mentre la guardava muoversi tra le corsie illuminate di un supermercato qualunque — il luogo indicato nel messaggio — sentì qualcosa stringergli lo stomaco.
Era orgoglio. Ed era paura.
Lucia si muoveva con apparente disinvoltura. Non cercava nessuno, ma sapeva di essere osservata.
Non sapevano ancora chi fosse «L.», né cosa volesse davvero, ma una cosa era chiara: quello che Lucia stava vivendo era già una soglia.
Il punto esatto in cui il gioco smette di essere finzione e diventa esperienza.
Ad un certo punto le si avvicinò una donna con un carrello vuoto. Parlò a bassa voce, senza sorridere:
«Vai avanti, cara. Quando arrivi in fondo alla corsia, prendi qualcosa dallo scaffale più basso. Poi… alzati il vestito e fammi vedere il culo.»
Lucia trattenne il fiato per un istante. Poi sorrise.
«Va bene, amore… vado.»
Si avviò piano, voltandosi ogni tanto. La sconosciuta aveva in mano il telefono. Stava per fotografarla.
Vincendo ogni reticenza, Lucia raggiunse il fondo della corsia, si chinò a prendere una confezione qualsiasi e, con la mano libera, sollevò l’abito.
Scoprì il fondo schiena, tenendo lo sguardo sulla donna che, in silenzio, scattava le foto.
Si rialzò solo quando lei ripose il telefono nella borsa.
La sconosciuta le rivolse un sorriso vago e si allontanò verso l’uscita.
Sandro, che aveva assistito da lontano, le fece un cenno con gli occhi: continua a camminare.
Quando furono finalmente in macchina, restarono in silenzio. Lucia guardava fuori dal finestrino. Respirava ancora in modo teso.
Poi, un accenno di sorriso le disegnò le labbra.
«Credo che mi ricontatteranno.»
«Credo anch’io.»
«E che… sì, in fondo mi è piaciuto. Ma non so ancora se per curiosità o per sfida.»
Sandro non disse nulla.
Ma dentro di sé pensò che Matilde, forse, avrebbe risposto allo stesso modo.
Dopo qualche minuto di silenzio, Lucia si voltò verso Sandro. I suoi occhi erano limpidi, ma pieni di domande che non sapeva ancora come formulare.
«Vuoi sapere com’è andata davvero?»
Sandro annuì, senza interromperla.
«Ero molto tesa. Prima di entrare, avevo le mani fredde, e lo stomaco… chiuso. Avevo paura. Mi vergognavo, Sandro. Fin quando non ho sollevato il vestito. È stato in quell’istante, quando mi sono accorta che lei stava davvero scattando delle foto… che qualcosa dentro di me è cambiato.»
Abbassò lo sguardo, come se cercasse le parole tra le pieghe del sedile.
«Vuoi sapere la verità?»
Si voltò di nuovo, con uno sguardo più deciso.
«Mi eccita l’idea che dei maschi debbano guardare quelle foto. Sapere che forse, in questo momento, qualcuno sta riguardandole, desiderandomi, immaginando…»
Si interruppe un attimo.
«Credi che sia malata? Che mi stia succedendo qualcosa che non controllo?»
Sandro non rispose subito. Le prese la mano, stringendola con dolcezza.
«No, Lucia. Non sei malata. Ti stai scoprendo. Stai entrando in un territorio nuovo, forse pericoloso, ma lo stai facendo a occhi aperti.»
Lucia inspirò lentamente.
«È come se avessi scoperchiato una parte di me che c’era da sempre, ma che avevo tenuto sotto chiave. E adesso… adesso è uscita. E mi fa paura. Ma anche curiosità. E… piacere.»
Sandro la guardò.
«Ti capisco. E ci sono. Se vuoi continuare, io resto al tuo fianco. Ma se hai bisogno di fermarti, lo faremo insieme.»
Lucia non rispose. Si limitò a poggiare la testa sulla sua spalla.
Aggiunse soltanto:
«Credo proprio di essermi innamorata di te. Non ho paura di dirti quello che penso.»
«Io ne sono sicuro invece. Ti amo.»
«Andiamo a casa voglio scopare! »
«Mi ha letto nel pensiero!»
Si precipitarono a casa, travolti dal bisogno di annullare le distanze. Il desiderio esplose appena varcata la soglia, rapido, fisico, urgente. Non ci furono parole, solo corpi che si cercavano.

Dopo, Sandro si alzò nudo e attraversò il corridoio ancora in penombra. Si mise al computer, con la curiosità che bruciava sotto la pelle.

Controllò le notifiche. Niente. Poi, dopo una buona mezz’ora, arrivò.

L. aveva scritto.

“Prova superata. Ti avviseremo non appena verrà organizzata la prossima festicciola.

Il tema sarà il ballo in maschera. Ti daremo i particolari a tempo debito.
Potrai portare un compagno — o una compagna — di cui ti fidi ciecamente, alla quale avrai spiegato che l’atmosfera sarà un po’… particolare.

La prima volta, se lo desideri, potrai semplicemente guardare.

P.S. Ah… devo dire che hai un gran bel culo.
Non vedo l’ora di toccarlo.”

Sandro lesse il messaggio una seconda volta. Poi chiamò Lucia a bassa voce.
Lei arrivò in silenzio, si sedette sulle sue ginocchia, nuda e spettinata, con la pelle ancora calda.
Lui ruotò lo schermo verso di lei.

Lucia lesse, poi sorrise appena.
«Mi sa che siamo dentro.»
scritto il
2025-11-01
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