Capitolo 10 matilde

di
genere
etero

Il mattino seguente si ritrovarono al bar Riviera sul lungomare di Bari, lo stesso dove si erano seduti la prima volta a parlare sul serio di Matilde.
C’era un sole pallido che si rifletteva sul vetro del tavolino, e tra una brioche e un caffè lungo,
Sandro aprì la conversazione.
«Ho letto tutto, Lucia. Fino in fondo.»
Lucia lo guardò, in silenzio. Un cenno del capo lo invitava a continuare.
«Ho avuto una strana sensazione. Come se ci fosse un punto cieco, qualcosa che a Matilde stessa fosse sfuggito…» esordì, arrotolando il tovagliolo tra le dita.
«E quella cosa… ha un nome: Arianna.»
Lucia aggrottò le sopracciglia, attenta.
«Arianna?»
«Sì. Ho riletto i passaggi in cui compare, soprattutto durante la quarta serata. Quel gesto che fa con Gianni… Dargli piacere, proprio lì, davanti a tutti. Un gesto gratuito, fuori dalle regole implicite. Come se volesse mettersi in mostra. O forse marcare un territorio.»
Lucia lo ascoltava, seria.
«Matilde non sembra darle troppo peso, almeno a parole. Ma qualcosa non torna. Ho controllato… nella seconda serata Arianna non viene scelta per partecipare allo spettacolo. Forse era stata lei, fino a un certo punto, la più celebrata. Poi è arrivata Matilde.»
«Una rivalità?» suggerì Lucia.
«Non lo so. È solo una sensazione. Ma ho imparato a fidarmi delle sensazioni, soprattutto quando si tratta di dinamiche tra donne…»
Lucia sorrise appena, senza ironia.
«Vuoi che ne parli con Bianchi?»
«Sì. Se riesci, chiedi anche da quanto tempo Arianna frequenta quell’ambiente. Se ha legami. E magari se qualcuno ha fatto il suo nome. Io… non so. Ma ho la sensazione che ci stiamo dimenticando di lei. E forse, per capire cos’è successo davvero, dovremmo guardare più da vicino proprio lei.»
Lucia annuì lentamente. Poi prese il bicchiere d’acqua e bevve un sorso.
«Lo farò. E se c’è qualcosa da scoprire, la troveremo.»
Lucia decise di aspettare la fine della mattinata. Paolo Bianchi, come ogni giorno, avrebbe fatto la sua pausa al bar interno della questura, sempre alla stessa ora, sempre con lo stesso caffè lungo.
Lei lo conosceva bene: un uomo metodico, preciso, incapace di fingere. Se c’era qualcuno da cui ottenere informazioni sincere, era lui.
Quando lo vide entrare, tazza in mano e cartellina sotto il braccio, lo raggiunse con passo deciso.
«Posso offrirti un altro caffè, Paolo?» chiese, accennando un sorriso.
Lui la guardò di sottecchi.
«Quando l’ispettrice Brandi offre un caffè, di solito c’è qualcosa sotto.»
Lucia rise piano. «Touché. Hai un minuto?»
Si sedettero a un tavolino appartato, vicino alla vetrata che dava sul cortile.
Lucia lasciò passare qualche secondo, poi andò dritta al punto.
«Volevo solo sapere come procedono le indagini sul caso Corsi. Non ufficialmente, ovvio.»
Bianchi la fissò in silenzio, poi si piegò leggermente in avanti.
«Sai già che… non si muove molto.»
Lucia aggrottò le sopracciglia.
«Che significa “non si muove molto”?»
Lui abbassò la voce.
«Ho sentito Stefano Malderizzi. Un tipo freddo, molto sicuro di sé. Ha ammesso di conoscere bene Matilde, di averla frequentata. Ma appena gli ho chiesto di chi fossero quelle case, chi organizzava, chi pagava… si è chiuso a riccio.»
«E tu non hai insistito?»
«Ho insistito eccome. Ma sai com’è: niente testimoni, niente prove. Solo chiacchiere. E, per il questore, le chiacchiere non fanno un’indagine.»
Lucia lo guardò, trattenendo un commento.
«Vuoi dire che hanno deciso di mollare la pista delle festicciole?»
Bianchi fece un gesto vago con la mano.
«Non proprio mollare. Diciamo… accantonare. Il questore ritiene che la chiave sia in ambito lavorativo. Sta spingendo per concentrarci sui contatti che Matilde aveva con una società di forniture sanitarie, una roba di appalti. Dice che il resto è… distrazione.»
Lucia lo interruppe, la voce tesa.
«Distrazione? E il contesto in cui viveva Matilde? Le persone che frequentava? Quelle feste non sono solo un dettaglio, Paolo.»
Lui sospirò, quasi imbarazzato.
«Lo so. Ma non è una decisione mia. Ti dirò di più: mi hanno praticamente ordinato di chiudere quella pista, almeno per ora. Nessun nome, nessun mandato. Solo la solita frase: “non è prioritario”.»
Lucia appoggiò la tazzina vuota sul piattino e rimase qualche secondo in silenzio. Poi disse piano:
«E se invece fosse tutto lì? Se quella vita che il questore definisce una distrazione fosse proprio la chiave?»
Bianchi la fissò, come se avesse detto qualcosa di pericoloso.
«Lucia, non metterti nei guai. Te l’hanno tolto, quel caso. Non farti illusioni: se continui a ficcare il naso dove non vogliono, te ne toglieranno anche altri.»
Lei sorrise, ma con un’ombra negli occhi.
Bianchi attese che il bar si svuotasse un po’, poi si sporse verso Lucia, con tono ancora più basso.
«A ogni modo… ti posso dare qualche altra informazione se tu prometti di rimanere muta»
«Dimmi»
«Malderizzi mi ha confermato che la signora Corsi frequentava ancora le feste, anche dopo la morte del marito. Anzi… pare che la sua presenza fosse diventata ancora più centrale. Più apprezzata.»
Lucia aggrottò le sopracciglia.
«Centrale in che senso?»
«Lui ha usato un’espressione curiosa, ha detto che la signora era diventata una regina. La regina della trasgressione. Parole sue. Ha detto che veniva cercata, invitata, osannata quasi. Che era come se la sua libertà, dopo la morte di Gianni, fosse esplosa. Un bel tipo doveva essere sta Matilde»
Lucia rimase in silenzio. Una parte di lei non si stupiva. Il modo in cui Matilde aveva vissuto quelle esperienze, come le raccontava nell’agenda… dava proprio quell’impressione.
Poi continuò dicendo:
«Maldarizzi non è un ingenuo. E non ha niente da guadagnare a parlare. Almeno finché nessuno lo costringe.»
«E nessuno lo farà.»
«No. Il questore ha già detto chiaramente che questa pista non porta da nessuna parte.»
Lucia abbassò lo sguardo, frustrata.
«Grazie, Paolo. Mi basta sapere che se dovessi bussare… una porta ce l’ho ancora.Sarò muta, tranquillo»
scritto il
2025-11-01
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