Capitolo 2 matilde
di
servantes
genere
etero
La strada davanti a me è una linea che conosco a memoria, ma stamattina sembra diversa. Tutto sembra diverso.
Penso al suo sguardo.
Quella calma con cui sa leggermi prima ancora che apra bocca.
Penso a quando si cenava tra amici, a suo marito Gianni, che ci intratteneva e lei che mi guardava come un complice confidente dei sui segreti e dei sui vizi. Mi guardava come per dire:
"sentilo come parla...lui non sa quello che faccio"
Io un pò ci soffrivo, la guardavo abbozzando un sorriso complice. Ma soffrivo perché avrei voluto essere io artefice di tutti i suoi tradimenti.
Non so se l'ho amata. Forse.
O mi affascinava solo la sua sfrontatezza.
"Tu mi ascolti come si ascolta il racconto di un crimine"
mi aveva detto una volta.
"Con un po' di orrore. Ti piace conoscere i miei segreti ed io so confidarmi solo con te"
Come sarebbe continuata la storia. Si sarebbe limitata di nuovo a raccontarmi le sue avventure o cos'altro?
Scacciavo questi inutili pensieri concentrandomi su quello che mi aveva concesso e questo mi disegnava un leggero sorriso sulle labbra.
«L'ho chiamata due volte quella mattina. Niente.
Le ho scritto un messaggio, più per abitudine che per preoccupazione.»
"Ti passo a trovare nel pomeriggio."
Ero sicuro di trovarla. Matilde non spariva.
Quando sono arrivato, il portone era socchiuso.
Ho preso l'ascensore e sono salito al terzo piano con una strana sensazione addosso.
La porta d'ingresso era socchiusa. Ho bussato e l'ho chiamata più volte.
Nessuna risposta.
Non sapevo cosa fare. Chiudere ed andar via?.
Ho insistito chiamandola. Ho infilato la testa in casa senza entrare.
Il silenzio dentro non era normale.
"Matilde?... niente"
Ho pensato fosse affacciata sul balcone. Magari in bagno, oppure uscendo aveva dimenticando di tirare la porta. Non sapevo più cosa pensare.
Tutto troppo strano.
Ho deciso di entrare, chiamando il suo nome ad ogni passo.
L'ho trovata in salotto. Stesa sulla poltrona.
Nuda. La vestaglia scivolata a terra ai suoi piedi. Gli occhi aperti gelidi. Sul collo macchie rossastre. Non sembrava lei. Sul viso spruzzi di liquido biancastro. Ho allungato una mano per toccare la sua. Fredda, rigida.
"Oddio Matildeee."
Mi sono inginocchiato con la faccia tra le mani e poi vi ho chiamato senza toccar niente.
L'ispettrice si chiamava Lucia Brandi.
Quarantenne, andatura decisa.
Era entrata nell'appartamento con i guanti già infilati, guardandosi intorno. Io ero ancora seduto in cucina in silenzio. Incurante di tutte quelle persone con i calzari e le tute che fotografavano, spennellavano sulle maniglie...
Lucia Brandi mi guardò fisso, poi disse:
«Lei mi scuserà ma dovrebbe ripetermi tutto di nuovo.»
Annuii e le raccontai di nuovo tutto quello che avevo fatto, per filo e per segno.
«Avevate una relazione?»
Esitai.
Poi risposi:
«No. Cioè... sì. Ma non come pensa lei.»
Brandi non batté ciglio. Ma i suoi occhi, per un attimo, brillarono.
«...E allora mi spieghi?»
Non risposi subito. Non potevo spiegarle Matilde in due frasi.
In realtà non potevo spiegarla nemmeno a me stesso.
Presi coraggio e aggiunsi:
«Sa qual è la cosa che trovo più irritante, ispettrice?»
Lei alzò lo sguardo dal suo taccuino.
«Che tutti parlano di Matilde come se fosse un enigma. Una provocazione. Una donna da decifrare.»
Feci una pausa.
«Io la conoscevo. E non mi sono mai scandalizzato della vita che conduceva. Né prima, né dopo che suo marito è morto. Anzi. L'ho sempre trovata... lucida. Libera. Senza ipocrisie. Cosa rara.»
La Brandi non disse nulla. Ma non sembrava voler ribattere.
Nei giorni successivi, un calvario tra questura e a casa.
La Brandi cominciò a scavare nella mia vita e in quella di Matilde.
Ero l'unico che potesse darle un accesso reale alla Matilde che sfuggiva ai registri anagrafici, ai fascicoli.
Nomi.
Foto.
Appuntamenti notturni.
Viaggi senza meta.
Conti bancari.
Un'agenda in pelle rossa, mimetizzata tra i libri.
Tutto veniva fuori, pezzo per pezzo.
Ero sotto pressione. Sentivo lei e quei poliziotti guardarmi convinti fossi io il responsabile di quella morte.
Brandi chiuse il taccuino e si passò una mano tra i capelli.
Qualche giorno dopo fui convocato in questura. Entrai nella stanza della Brandi dopo aver cercato il suo nome su decine di porte.
Appena mi vide mi disse di sedermi e dopo un po' di convenevoli e le normali operazioni preliminari per scrivere il verbale mi disse a bruciapelo:
«Le dirò una cosa che non dovrei. Ma lo faccio perché... l'istinto serve, in questo mestiere.»
Mi guardò fisso.
«Nonostante tutto quello che ho davanti -- la scena, le circostanze, la sua reticenza -- io le credo. Credo che lei dica la verità. O che voglia dirla.»
Rimasi in silenzio. Non era una domanda.
«Per questo, adesso, è il momento di raccontarmi tutto. Senza omissioni, senza filtri. Qualunque cosa lei sappia su Matilde. Qualsiasi dettaglio, anche quelli che le sembrano irrilevanti o imbarazzanti.»
Si alzò, fece qualche passo, poi si voltò.
«C'è un altro punto, e lo metto sul tavolo senza giri di parole.
Dai controlli che abbiamo eseguito è risultato che Matilde non aveva avuto un rapporto sessuale completo quel pomeriggio.
Però... quelle macchie sul volto erano quello che sembravano.»
Il silenzio si fece più spesso.
«Sperma? »
« Sì. E abbiamo già avviato la procedura per estrarne il DNA. »
Dopo una piccola pausa disse:
«Ma se lei vuole, può farci risparmiare tempo.
Vuole sottoporsi spontaneamente al test, così la escludiamo subito?»
Non distolsi lo sguardo. Non abbassai la voce.
«Va bene. Facciamolo, il test.»
Brandi rimase ferma, immobile. Sembrava aspettare una nota stonata, un'esitazione, un nervosismo qualsiasi.
«Lei è sicuro?»
«Certo. Se questo serve a farvi smettere di guardarmi come un delinquente, lo faccio subito.»
Lei annuì, quasi impercettibilmente.
«Perfetto. Sarà un semplice prelievo. Lo incroceremo con il materiale trovato sul volto della signora Matilde.»
Poi, dopo un attimo:
«Ma sa... una cosa non mi torna. Lei dice che non c'è stato rapporto tra di voi nel pomeriggio. Eppure Matilde era vestita...o meglio non lo era. La casa non mostrava segni di violenza. È come se... avesse accolto qualcuno. Volontariamente. Con fiducia. E poi, qualcosa è andato storto.»
Brandi si avvicinò di un passo, ma la voce restò neutra, professionale.
«È sicuro di aver detto tutto? Perché una cosa è dire non c'è stato rapporto quel pomeriggio... ma prima?"
Lucia Brandi si fermò in piedi davanti alla mia sedia. Alla fine parlai.
«Ha ragione. Le devo raccontare tutto.
La sera prima abbiamo scopato ed è stata la prima volta»
Lucia si sedette.
Non disse nulla. Attendeva.
«Sono arrivato da Matilde poco prima delle ventidue.
Quando entrai, era già in vestaglia. Mi offrì un bicchiere di vino rosso.»
La Brandi prese qualche appunto, senza interrompere.
«Abbiamo parlato della sua ultima avventura. Di un ragazzo.
Mi aveva chiamato proprio per dirmi che voleva raccontarmi di questa sua ultima impresa»
Lucia Brandi sollevò appena lo sguardo.
«Un ragazzo?»
«Uno dei suoi. Trentadue anni. L'aveva conosciuto il libreria ma non so quando ne chi sia.
Mi ha raccontato di come lo aveva guardato. Di come lui non aveva retto quello sguardo.
Mi raccontava tutto. Sempre.
A volte ridevamo, a volte restavo in silenzio.
Quella sera... era diversa. Mi guardava mentre parlava. Come se stesse recitando per me.»
Feci una pausa.
«E' stato un racconto molto conturbante, direi eccitante. Dopo abbiamo abbiamo fatto l'amore ed era la prima volta.
Mi ha chiesto di rimanere a dormire da lei. Ed io l'ho accettato volentieri.»
Brandi annotava in silenzio.
«Ci siamo svegliati tardi. Abbiamo avuto un altro rapporto. Ma, non so come dire, ho usato solo la mia mano»
«Capisco» Fece lei.
«Abbiamo preso un caffè insieme. E Poi sono andato via intorno alle 9.»
La Brandi alzò gli occhi. Li tenne su di me per un tempo più lungo del solito.
«E del ragazzo, cosa può dirmi?»
Scossi la testa.
«Ripeto, non l'ho visto ne mai conosciuto.»
Continuai.
«In verità quella mattina mi ha raccontato di una ragazzo, più giovane. Il figlio di una sua collega. Ma deve sapere che Matilde di storie ne avute tante. Con ragazzi giovani e uomini più maturi.
Ricordarli tutti sarà difficile. E, glielo dico sinceramente, anche imbarazzante.»
Lucia chiuse il suo taccuino.
Si alzò, fece qualche passo verso la finestra. Poi si voltò dicendo:
«Abbiamo cominciato ad analizzare il contenuto del cellulare. Ci sono... molte chat. Esplicite. Anche recenti.»
Non risposi. Non serviva.
«Non le chiedo se fosse a conoscenza. Ma se può fare uno sforzo. Qualche racconto. Qualche nome. Magari un dettaglio che a suo tempo le sembrava insignificante.»
Annuii appena. Si sedette di nuovo.
«Sarà poi compito nostro verificare se emerge qualcosa di più... o di meno. A volte, quando si gioca troppo, si dimentica che ogni parola può diventare una prova.»
Poi il tono cambiò. Non duro, ma secco.
«E un'altra cosa.
Lei deve sapere che, con la posizione in cui si trova, sarà inevitabile che venga indagato formalmente dal magistrato. Non per forza perché crediamo sia colpevole. Ma perché ci sono troppi elementi che la legano alla scena.»
Mi passai una mano sul viso.
Continuò:
«Questa cosa non sarà breve. Né indolore. Ci saranno, verbali, interrogatori. Le consiglio di tenere i nervi saldi. E se c'è qualcosa che ancora non mi ha detto, questo è il momento.»
Mi schiarii la voce.
L'ispettrice era tornata a sedersi. Mi fissava con calma, ma senza perdere un secondo di attenzione.
«Guardi, dottoressa... al momento non mi viene in mente nulla di preciso. Davvero.
Non sto cercando di nasconderle niente. È solo che... Matilde era così. Parlava, raccontava, poi passava ad altro. Era difficile capire cosa fosse importante e cosa no.»
Lei non commentò.
«Però posso fare una cosa. Le preparo una memoria. Una cosa scritta.
Con tutti i rapporti che, per quanto ne so, Matilde ha avuto.
Quelli con persone che conoscevo... e anche con sconosciuti, se mi ha raccontato qualcosa. Proverò a essere il più dettagliato possibile.»
Lei annuì, senza staccarmi gli occhi di dosso.
«La leggerò con attenzione. E confronterò ogni nome con quello che troveremo nel telefono o nell'agenda rossa. Sappia che ogni ombra verrà comunque a galla. Ma apprezzo che abbia deciso di collaborare.»
Poi aggiunse:
«Resti a disposizione. E si tenga pronto: potremmo richiamarla molto presto di nuovo.»
Penso al suo sguardo.
Quella calma con cui sa leggermi prima ancora che apra bocca.
Penso a quando si cenava tra amici, a suo marito Gianni, che ci intratteneva e lei che mi guardava come un complice confidente dei sui segreti e dei sui vizi. Mi guardava come per dire:
"sentilo come parla...lui non sa quello che faccio"
Io un pò ci soffrivo, la guardavo abbozzando un sorriso complice. Ma soffrivo perché avrei voluto essere io artefice di tutti i suoi tradimenti.
Non so se l'ho amata. Forse.
O mi affascinava solo la sua sfrontatezza.
"Tu mi ascolti come si ascolta il racconto di un crimine"
mi aveva detto una volta.
"Con un po' di orrore. Ti piace conoscere i miei segreti ed io so confidarmi solo con te"
Come sarebbe continuata la storia. Si sarebbe limitata di nuovo a raccontarmi le sue avventure o cos'altro?
Scacciavo questi inutili pensieri concentrandomi su quello che mi aveva concesso e questo mi disegnava un leggero sorriso sulle labbra.
«L'ho chiamata due volte quella mattina. Niente.
Le ho scritto un messaggio, più per abitudine che per preoccupazione.»
"Ti passo a trovare nel pomeriggio."
Ero sicuro di trovarla. Matilde non spariva.
Quando sono arrivato, il portone era socchiuso.
Ho preso l'ascensore e sono salito al terzo piano con una strana sensazione addosso.
La porta d'ingresso era socchiusa. Ho bussato e l'ho chiamata più volte.
Nessuna risposta.
Non sapevo cosa fare. Chiudere ed andar via?.
Ho insistito chiamandola. Ho infilato la testa in casa senza entrare.
Il silenzio dentro non era normale.
"Matilde?... niente"
Ho pensato fosse affacciata sul balcone. Magari in bagno, oppure uscendo aveva dimenticando di tirare la porta. Non sapevo più cosa pensare.
Tutto troppo strano.
Ho deciso di entrare, chiamando il suo nome ad ogni passo.
L'ho trovata in salotto. Stesa sulla poltrona.
Nuda. La vestaglia scivolata a terra ai suoi piedi. Gli occhi aperti gelidi. Sul collo macchie rossastre. Non sembrava lei. Sul viso spruzzi di liquido biancastro. Ho allungato una mano per toccare la sua. Fredda, rigida.
"Oddio Matildeee."
Mi sono inginocchiato con la faccia tra le mani e poi vi ho chiamato senza toccar niente.
L'ispettrice si chiamava Lucia Brandi.
Quarantenne, andatura decisa.
Era entrata nell'appartamento con i guanti già infilati, guardandosi intorno. Io ero ancora seduto in cucina in silenzio. Incurante di tutte quelle persone con i calzari e le tute che fotografavano, spennellavano sulle maniglie...
Lucia Brandi mi guardò fisso, poi disse:
«Lei mi scuserà ma dovrebbe ripetermi tutto di nuovo.»
Annuii e le raccontai di nuovo tutto quello che avevo fatto, per filo e per segno.
«Avevate una relazione?»
Esitai.
Poi risposi:
«No. Cioè... sì. Ma non come pensa lei.»
Brandi non batté ciglio. Ma i suoi occhi, per un attimo, brillarono.
«...E allora mi spieghi?»
Non risposi subito. Non potevo spiegarle Matilde in due frasi.
In realtà non potevo spiegarla nemmeno a me stesso.
Presi coraggio e aggiunsi:
«Sa qual è la cosa che trovo più irritante, ispettrice?»
Lei alzò lo sguardo dal suo taccuino.
«Che tutti parlano di Matilde come se fosse un enigma. Una provocazione. Una donna da decifrare.»
Feci una pausa.
«Io la conoscevo. E non mi sono mai scandalizzato della vita che conduceva. Né prima, né dopo che suo marito è morto. Anzi. L'ho sempre trovata... lucida. Libera. Senza ipocrisie. Cosa rara.»
La Brandi non disse nulla. Ma non sembrava voler ribattere.
Nei giorni successivi, un calvario tra questura e a casa.
La Brandi cominciò a scavare nella mia vita e in quella di Matilde.
Ero l'unico che potesse darle un accesso reale alla Matilde che sfuggiva ai registri anagrafici, ai fascicoli.
Nomi.
Foto.
Appuntamenti notturni.
Viaggi senza meta.
Conti bancari.
Un'agenda in pelle rossa, mimetizzata tra i libri.
Tutto veniva fuori, pezzo per pezzo.
Ero sotto pressione. Sentivo lei e quei poliziotti guardarmi convinti fossi io il responsabile di quella morte.
Brandi chiuse il taccuino e si passò una mano tra i capelli.
Qualche giorno dopo fui convocato in questura. Entrai nella stanza della Brandi dopo aver cercato il suo nome su decine di porte.
Appena mi vide mi disse di sedermi e dopo un po' di convenevoli e le normali operazioni preliminari per scrivere il verbale mi disse a bruciapelo:
«Le dirò una cosa che non dovrei. Ma lo faccio perché... l'istinto serve, in questo mestiere.»
Mi guardò fisso.
«Nonostante tutto quello che ho davanti -- la scena, le circostanze, la sua reticenza -- io le credo. Credo che lei dica la verità. O che voglia dirla.»
Rimasi in silenzio. Non era una domanda.
«Per questo, adesso, è il momento di raccontarmi tutto. Senza omissioni, senza filtri. Qualunque cosa lei sappia su Matilde. Qualsiasi dettaglio, anche quelli che le sembrano irrilevanti o imbarazzanti.»
Si alzò, fece qualche passo, poi si voltò.
«C'è un altro punto, e lo metto sul tavolo senza giri di parole.
Dai controlli che abbiamo eseguito è risultato che Matilde non aveva avuto un rapporto sessuale completo quel pomeriggio.
Però... quelle macchie sul volto erano quello che sembravano.»
Il silenzio si fece più spesso.
«Sperma? »
« Sì. E abbiamo già avviato la procedura per estrarne il DNA. »
Dopo una piccola pausa disse:
«Ma se lei vuole, può farci risparmiare tempo.
Vuole sottoporsi spontaneamente al test, così la escludiamo subito?»
Non distolsi lo sguardo. Non abbassai la voce.
«Va bene. Facciamolo, il test.»
Brandi rimase ferma, immobile. Sembrava aspettare una nota stonata, un'esitazione, un nervosismo qualsiasi.
«Lei è sicuro?»
«Certo. Se questo serve a farvi smettere di guardarmi come un delinquente, lo faccio subito.»
Lei annuì, quasi impercettibilmente.
«Perfetto. Sarà un semplice prelievo. Lo incroceremo con il materiale trovato sul volto della signora Matilde.»
Poi, dopo un attimo:
«Ma sa... una cosa non mi torna. Lei dice che non c'è stato rapporto tra di voi nel pomeriggio. Eppure Matilde era vestita...o meglio non lo era. La casa non mostrava segni di violenza. È come se... avesse accolto qualcuno. Volontariamente. Con fiducia. E poi, qualcosa è andato storto.»
Brandi si avvicinò di un passo, ma la voce restò neutra, professionale.
«È sicuro di aver detto tutto? Perché una cosa è dire non c'è stato rapporto quel pomeriggio... ma prima?"
Lucia Brandi si fermò in piedi davanti alla mia sedia. Alla fine parlai.
«Ha ragione. Le devo raccontare tutto.
La sera prima abbiamo scopato ed è stata la prima volta»
Lucia si sedette.
Non disse nulla. Attendeva.
«Sono arrivato da Matilde poco prima delle ventidue.
Quando entrai, era già in vestaglia. Mi offrì un bicchiere di vino rosso.»
La Brandi prese qualche appunto, senza interrompere.
«Abbiamo parlato della sua ultima avventura. Di un ragazzo.
Mi aveva chiamato proprio per dirmi che voleva raccontarmi di questa sua ultima impresa»
Lucia Brandi sollevò appena lo sguardo.
«Un ragazzo?»
«Uno dei suoi. Trentadue anni. L'aveva conosciuto il libreria ma non so quando ne chi sia.
Mi ha raccontato di come lo aveva guardato. Di come lui non aveva retto quello sguardo.
Mi raccontava tutto. Sempre.
A volte ridevamo, a volte restavo in silenzio.
Quella sera... era diversa. Mi guardava mentre parlava. Come se stesse recitando per me.»
Feci una pausa.
«E' stato un racconto molto conturbante, direi eccitante. Dopo abbiamo abbiamo fatto l'amore ed era la prima volta.
Mi ha chiesto di rimanere a dormire da lei. Ed io l'ho accettato volentieri.»
Brandi annotava in silenzio.
«Ci siamo svegliati tardi. Abbiamo avuto un altro rapporto. Ma, non so come dire, ho usato solo la mia mano»
«Capisco» Fece lei.
«Abbiamo preso un caffè insieme. E Poi sono andato via intorno alle 9.»
La Brandi alzò gli occhi. Li tenne su di me per un tempo più lungo del solito.
«E del ragazzo, cosa può dirmi?»
Scossi la testa.
«Ripeto, non l'ho visto ne mai conosciuto.»
Continuai.
«In verità quella mattina mi ha raccontato di una ragazzo, più giovane. Il figlio di una sua collega. Ma deve sapere che Matilde di storie ne avute tante. Con ragazzi giovani e uomini più maturi.
Ricordarli tutti sarà difficile. E, glielo dico sinceramente, anche imbarazzante.»
Lucia chiuse il suo taccuino.
Si alzò, fece qualche passo verso la finestra. Poi si voltò dicendo:
«Abbiamo cominciato ad analizzare il contenuto del cellulare. Ci sono... molte chat. Esplicite. Anche recenti.»
Non risposi. Non serviva.
«Non le chiedo se fosse a conoscenza. Ma se può fare uno sforzo. Qualche racconto. Qualche nome. Magari un dettaglio che a suo tempo le sembrava insignificante.»
Annuii appena. Si sedette di nuovo.
«Sarà poi compito nostro verificare se emerge qualcosa di più... o di meno. A volte, quando si gioca troppo, si dimentica che ogni parola può diventare una prova.»
Poi il tono cambiò. Non duro, ma secco.
«E un'altra cosa.
Lei deve sapere che, con la posizione in cui si trova, sarà inevitabile che venga indagato formalmente dal magistrato. Non per forza perché crediamo sia colpevole. Ma perché ci sono troppi elementi che la legano alla scena.»
Mi passai una mano sul viso.
Continuò:
«Questa cosa non sarà breve. Né indolore. Ci saranno, verbali, interrogatori. Le consiglio di tenere i nervi saldi. E se c'è qualcosa che ancora non mi ha detto, questo è il momento.»
Mi schiarii la voce.
L'ispettrice era tornata a sedersi. Mi fissava con calma, ma senza perdere un secondo di attenzione.
«Guardi, dottoressa... al momento non mi viene in mente nulla di preciso. Davvero.
Non sto cercando di nasconderle niente. È solo che... Matilde era così. Parlava, raccontava, poi passava ad altro. Era difficile capire cosa fosse importante e cosa no.»
Lei non commentò.
«Però posso fare una cosa. Le preparo una memoria. Una cosa scritta.
Con tutti i rapporti che, per quanto ne so, Matilde ha avuto.
Quelli con persone che conoscevo... e anche con sconosciuti, se mi ha raccontato qualcosa. Proverò a essere il più dettagliato possibile.»
Lei annuì, senza staccarmi gli occhi di dosso.
«La leggerò con attenzione. E confronterò ogni nome con quello che troveremo nel telefono o nell'agenda rossa. Sappia che ogni ombra verrà comunque a galla. Ma apprezzo che abbia deciso di collaborare.»
Poi aggiunse:
«Resti a disposizione. E si tenga pronto: potremmo richiamarla molto presto di nuovo.»
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