Un fiore non colto
di
Yuko
genere
sentimentali
Sola.
Yuko si svegliò e la stanza era vuota.
Un silenzio opprimente come un furto gravava nell'ambiente e sulla sua coscienza.
Un peso sordo sulle spalle si mescolava alla dolenzia al collo che la umiliava già da alcune settimane. Tensione nervosa e muscolare diluite in un senso di ingiustizia di cui non riusciva a liberarsi. Le vertebre indolenzite da un trauma che non era più solo fisico.
A capo chino si alzò dal letto.
La casa desolata e silente rivelava un disordine come di una festa passata, un'avventura ludica che però probabilmente aveva avuto luogo concludendo la sua esistenza solo nella sua mente.
Terminata senza neanche aver avuto inizio.
Un disordine fastidioso regnava nelle stanze. Un soqquadro senza motivo, senza ragione d'essere.
Forse solo una sua condizione mentale.
Rumori vuoti in un ambiente clamorosamente deserto serpeggiavano senza senso, irritanti.
Echi di qualcosa rimasto aggrappato ai muri e agli stipiti delle porte si ostinavano a tormentarla, senza ragione, solo per ferirla, riderle in faccia una sconfitta che lei rifiutava di accettare.
Di fronte al grande specchio del bagno Yuko osservò l'immagine di una donna spenta.
Capelli disordinati, una sfumatura di occhiaia sotto occhi stanchi e inespressivi.
Si sfilò la camicina da notte: un leggero cotone bianco su cui l'immagine di un gatto rosso congelato in un balzo aggressivo strideva in contrasto con un umore dimesso e condannato a una resa incondizionata.
Osservò con attenzione chirurgica il suo corpo nudo.
Alzò le braccia sopra la testa, sollevando il seno in una forma sensuale e attraente. I capezzoli erano come due occhi scuri in attesa.
Le ascelle depilate con cura, un piccolo incavo sotto i muscoli delle spalle, conducevano lo sguardo lungo la rotondità dei seni guidandolo come una sfumata carezza che si ricongiungeva nell'istmo della vita.
Un ventre snello ospitava un ombelico scuro e leggermente ovale, prima dell'ampio abbraccio sui fianchi tondi e larghi. Il ciuffo disordinato del crine nero che vegliava sulla vulva nascosta tra le cosce chiuse, si arrendeva alla sinfonia di tonalità eburnee che si dipanava sulle gambe.
Un corpo ben fatto rimaneva come un regalo dimenticato e mai scartato.
La doccia questa volta non riuscì a tonificare un umore non abbastanza rassegnato e la donna, ancora rivestita da un'irregolare repertorio di gocce di rugiada, si portò alla porta finestra del balcone, incurante di presentarsi completamente nuda agli occhi dei passanti che nervosamente percorrevano vie grige di una città in lento risveglio.
Un sole generoso colpiva le foglie dei platani scandendo colori autunnali ricchi di suggestione e Yuko, appoggiata allo stipite, un braccio mollemente sopra il capo, restò a contemplare la caducità della natura in attesa delle stagione fredda.
Impercettibilmente il suo corpo cominciò a smaterializzarsi in molecole di tristezza consegnandosi a una brezza tiepida.
Forse era bastato il solo desiderio, ma di fatto la ragazza orientale, senza una concreta consapevolezza, si trovò completamente sublimata in un alito leggero che, sopra i tetti della città, presto la consegnò alle colline poco più a settentrione.
Yuko aleggiava nel vento, orchestrandone le note autunnali con rintocchi d'arpa celtica.
Il gorgheggio di un usignolo si diffondeva solitario da un luogo imprecisato enfatizzando una danza di foglie rossastre in pigro abbandono da rami di faggio.
I larici erano già gialli di cromo e il verde scuro e protettivo degli abeti si stagliava in macchie su cui riposare lo sguardo.
Il corpo della donna prese fugacemente forma in un vortice di foglie secche dissolvendosi subito nel profumo vibrante della sassifraga.
I suoi fianchi sinuosi si riverberarono ancora nei voli ondulati di centinaia di storni.
Una lenta danza araba si muoveva senza riposo, disegnata dallo stormo di uccelli scuri che giocavano a rincorrersi liberi nel cielo riproducendo le forme della giovane giapponese.
Coreografie rapite in un cielo azzurro pallido visibili, però, solamente da chi aveva il coraggio di alzare lo sguardo.
Il fumo biancastro dei camini definiva, come un sipario aperto su un palco ceruleo, la danza incerta della donna che era evaporata al di sopra del soffio del vento.
Un volteggio che scolpiva gli spazi del cielo, fintanto che gli storni avessero proseguito a giocare nelle correnti frizzanti dell'incipiente stagione fredda.
Più a nord le nebbie contendevano i vuoti a boschi ridotti a scuri contorni.
Ombre imprecise in continue evoluzioni lasciavano ampi squarci accessibili all'immaginazione.
Un lento divenire, oscillante tra dissoluzioni e incerte riapparizioni.
Yuko decise che non avrebbe più fatto ritorno.
Gli storni sciamarono lasciando il cielo limpido e terso, su profumi di umidi muschi.
Yuko si svegliò e la stanza era vuota.
Un silenzio opprimente come un furto gravava nell'ambiente e sulla sua coscienza.
Un peso sordo sulle spalle si mescolava alla dolenzia al collo che la umiliava già da alcune settimane. Tensione nervosa e muscolare diluite in un senso di ingiustizia di cui non riusciva a liberarsi. Le vertebre indolenzite da un trauma che non era più solo fisico.
A capo chino si alzò dal letto.
La casa desolata e silente rivelava un disordine come di una festa passata, un'avventura ludica che però probabilmente aveva avuto luogo concludendo la sua esistenza solo nella sua mente.
Terminata senza neanche aver avuto inizio.
Un disordine fastidioso regnava nelle stanze. Un soqquadro senza motivo, senza ragione d'essere.
Forse solo una sua condizione mentale.
Rumori vuoti in un ambiente clamorosamente deserto serpeggiavano senza senso, irritanti.
Echi di qualcosa rimasto aggrappato ai muri e agli stipiti delle porte si ostinavano a tormentarla, senza ragione, solo per ferirla, riderle in faccia una sconfitta che lei rifiutava di accettare.
Di fronte al grande specchio del bagno Yuko osservò l'immagine di una donna spenta.
Capelli disordinati, una sfumatura di occhiaia sotto occhi stanchi e inespressivi.
Si sfilò la camicina da notte: un leggero cotone bianco su cui l'immagine di un gatto rosso congelato in un balzo aggressivo strideva in contrasto con un umore dimesso e condannato a una resa incondizionata.
Osservò con attenzione chirurgica il suo corpo nudo.
Alzò le braccia sopra la testa, sollevando il seno in una forma sensuale e attraente. I capezzoli erano come due occhi scuri in attesa.
Le ascelle depilate con cura, un piccolo incavo sotto i muscoli delle spalle, conducevano lo sguardo lungo la rotondità dei seni guidandolo come una sfumata carezza che si ricongiungeva nell'istmo della vita.
Un ventre snello ospitava un ombelico scuro e leggermente ovale, prima dell'ampio abbraccio sui fianchi tondi e larghi. Il ciuffo disordinato del crine nero che vegliava sulla vulva nascosta tra le cosce chiuse, si arrendeva alla sinfonia di tonalità eburnee che si dipanava sulle gambe.
Un corpo ben fatto rimaneva come un regalo dimenticato e mai scartato.
La doccia questa volta non riuscì a tonificare un umore non abbastanza rassegnato e la donna, ancora rivestita da un'irregolare repertorio di gocce di rugiada, si portò alla porta finestra del balcone, incurante di presentarsi completamente nuda agli occhi dei passanti che nervosamente percorrevano vie grige di una città in lento risveglio.
Un sole generoso colpiva le foglie dei platani scandendo colori autunnali ricchi di suggestione e Yuko, appoggiata allo stipite, un braccio mollemente sopra il capo, restò a contemplare la caducità della natura in attesa delle stagione fredda.
Impercettibilmente il suo corpo cominciò a smaterializzarsi in molecole di tristezza consegnandosi a una brezza tiepida.
Forse era bastato il solo desiderio, ma di fatto la ragazza orientale, senza una concreta consapevolezza, si trovò completamente sublimata in un alito leggero che, sopra i tetti della città, presto la consegnò alle colline poco più a settentrione.
Yuko aleggiava nel vento, orchestrandone le note autunnali con rintocchi d'arpa celtica.
Il gorgheggio di un usignolo si diffondeva solitario da un luogo imprecisato enfatizzando una danza di foglie rossastre in pigro abbandono da rami di faggio.
I larici erano già gialli di cromo e il verde scuro e protettivo degli abeti si stagliava in macchie su cui riposare lo sguardo.
Il corpo della donna prese fugacemente forma in un vortice di foglie secche dissolvendosi subito nel profumo vibrante della sassifraga.
I suoi fianchi sinuosi si riverberarono ancora nei voli ondulati di centinaia di storni.
Una lenta danza araba si muoveva senza riposo, disegnata dallo stormo di uccelli scuri che giocavano a rincorrersi liberi nel cielo riproducendo le forme della giovane giapponese.
Coreografie rapite in un cielo azzurro pallido visibili, però, solamente da chi aveva il coraggio di alzare lo sguardo.
Il fumo biancastro dei camini definiva, come un sipario aperto su un palco ceruleo, la danza incerta della donna che era evaporata al di sopra del soffio del vento.
Un volteggio che scolpiva gli spazi del cielo, fintanto che gli storni avessero proseguito a giocare nelle correnti frizzanti dell'incipiente stagione fredda.
Più a nord le nebbie contendevano i vuoti a boschi ridotti a scuri contorni.
Ombre imprecise in continue evoluzioni lasciavano ampi squarci accessibili all'immaginazione.
Un lento divenire, oscillante tra dissoluzioni e incerte riapparizioni.
Yuko decise che non avrebbe più fatto ritorno.
Gli storni sciamarono lasciando il cielo limpido e terso, su profumi di umidi muschi.
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