La spia (conclusione)

di
genere
tradimenti

È quello che faccio. La trovo la soluzione più idonea. Farmi scoprire in situazione compromettente.
Mi spoglio e lascio che la libido si impossessi del corpo e della fantasia. Dopotutto è un bel porno. Quale uomo non desidererebbe sperimentare il sesso con due donne? La stanchezza mi assale. Mi sento sul punto di svenire. Solo il nervosismo mi tiene in piedi. Solo il nervosismo permette l’eccitazione.
Ascolto nel silenzio la sveglia. La immagino mentre si alza, si stropiccia gli occhi. È costretta, condannata a passare davanti alla porta dello studio. Osservare frastornata suo marito mentre si masturba. “Cosa stai facendo!”. Riesce a sussurrare un urlo. Spia di lato il corridoio. Teme per la salute emotiva dei figli. Della mia poco le importa. Si inoltra nella penombra illuminata dalla sua performance hard. I lineamenti stravolti dall’ira si scompongono. E sì, mia cara: è questo il redde rationem.
Lo scambio concitato di accuse, di richieste urgenti e indifferibili di spiegazioni, non porta che ad un litigio feroce, ma in pianissimo, come un momento catartico nello sviluppo di una sinfonia: la morte del nostro matrimonio.
Me ne vado sbattendo la porta. I primi giorni dormo in albergo – altro che albergo: nella suite di un cinque stelle. Poi affitto un piccolo attico. Vado a trovare regolarmente i ragazzi. Mi guardano con il vuoto negli occhi di chi non sa cosa pensare, non capisce da quale parte sia giunta la tempesta che ha sconvolto le loro vite, scombussolati dall’evento più simile ad una tragedia di cui abbiano mai fatto esperienza.
Poi scompaio. Scompaio come se non fossi mai esistito.
Distribuisco i compiti tra soci e collaboratori. So che la società è in ottime mani. Per quello che devo fare non occorre presenziare a tutte le parti del processo decisionale, e quando mi eclisso anche dalle riunioni in streaming sono svincolato da ogni responsabilità. Tutto ciò che mi resta e mi lega alla mia esistenza precedente sono gli occhi elettronici sparsi per casa, da cui ancora insisto a spiare quanto avviene.
Per settimane mia moglie non riceve visite. A volte osservo le discussioni, i battibecchi, le liti furibonde. I ragazzi non l’hanno presa bene. Poi un giorno l’amante ritorna. Evidentemente il richiamo della carne è più forte di ogni remora morale. Si limitano ad un abbraccio e ad un casto bacio di commiato. La osservo aggirarsi per la casa vuota come un’anima in pena. Dovrei gioirne, ma non riesco. Ogni tanto getta occhiate indecifrabili verso i piccoli intrusi, quasi cercasse di sondarne gli algoritmi, di sfondare il fragile diaframma di vetro per passare attraverso. Una volta si avvicina, fissa insistentemente la microcamera del soggiorno, protende la mano. Se sapesse dove sono in questo momento potrebbe dedurre quanto sia inutile il tentativo. Ma io provo dolore: le mie notti sono insonni, le mie giornate vuote. Le dita si allungano verso di me. È un contatto? Avverto il primo bruciore delle lacrime. Sfioro lo schermo del portatile. A distanza di diecimila chilometri ci tocchiamo, sfioriamo la punta delle dita in una carezza dolce e silenziosa. Poi si allontana. La ritrovo in cucina che sta piangendo a dirotto. Chiudo gli occhi e mi lascio andare anch’io.

Quando riprendo l’aereo che mi riporterà in Italia sono trascorsi sei mesi ma sono appena all’inizio. Spero di non incontrare nessuno. I pochi connazionali imbarcati sembrano semplici turisti imbronciati dalla prospettiva di abbandonare quei paradisi dorati.
Nelle larghe virate da uccello che compie l’aereo scorgo il profilo obliquo della mia città. Se frugassi meglio con lo sguardo sono sicuro che troverei anche casa mia. Ormai sono esperto nell'esplorare l’ignoto.
Impiego un secolo per espletare le formalità di rimpatrio, il check-out, la ricerca affannosa di un taxi. Tutto è diventato più strano benché sia sempre uguale. Resto a lungo indeciso davanti al cancello. Tiro fuori le chiavi, le faccio scivolare nella serratura. Il timore che sia stata cambiata scompare non appena ruota sui cardini. Mi avvicino. Li sento parlare. Le finestre sono tutte aperte. Apro la porta di casa. Ormai non ho più scampo. Il cuore batte all’impazzata. È una follia. Si precipitano verso l’ingresso. Mi guardano tutti come se fossi un alieno piovuto da un’altra dimensione. “Papà?” dicono in coro i ragazzi. “Pà?” dice mia moglie. Sono così esterrefatti da risultare comici.
Non ho voluto nascondere niente di ciò che sono diventata. Le scarpe con i tacchi alti, con cui ho ancora qualche problema. La minigonna di pelle, le gambe fasciate da collant neri. La camicia di raso che mette in risalto lo spacco del seno. Laggiù a Rio hanno fatto un lavoro eccellente. Ci sono ben pochi tratti superstiti in me che rammentano l’uomo che fui. I fianchi sono ben modellati, la pelle è seta. Ho imparato a truccarmi, e il tassista mi ha lanciato un complimento che preludeva ad un’avance.
“Ragazzi, lasciateci soli” chiedo. Anche la voce è più morbida. Certo c’è ancora molto lavoro da fare. La cura ormonale sarà lunga. Titubano. Vorrebbero abbracciarmi ma l’idea di stringere «questo» petto li intimorisce.
“Perché?”.
“Perché voglio di nuovo farti innamorare di me” le dico semplicemente. “Ti amo, e nessun sacrificio è troppo per stare insieme a te”.
Non le do il tempo di replicare. Le afferro il volto e la bacio con labbra tinte di rosso. Non appena si scioglie infilo la lingua nella sua bocca. Mi accetta. Forse ama ancora l’altra, ma adesso c’è una nuova pretendente. E quando mi stacco esploro i suoi meravigliosi specchi verdi ed ecco, oltre il mio riflesso scorgo nel fondo una scintilla di passione.
Allora i nostri corpi si congiungono in un abbraccio stretto. Mi struscio contro di lei. Sgrana gli occhi. “Ma…” e tace, incapace di continuare.
“Basta surrogati” la schernisco. “Non ho ancora dato il taglio definitivo. Dimmi come tu mi vuoi amore mio, e così sarò – per te”.
Mette le mani sul pacco, ci gioca un attimo. “Sono indecisa” sussurra, e odo lussuria in quella voce.
Ci saranno delle ripercussioni. Sul lavoro, nella vita di tutti i giorni. Ci faranno passare l'inferno. Forse dovremo stringerci un po', vendere la casa, ricominciare. Ma sono convinto che ne valga la pena
Quando dopo la prima cena tutti di nuovo insieme andiamo in camera da letto, facciamo l’amore in quel modo nuovo, strano e intrigante. Accetto anche che sia lei a usare quel giocattolo su di me.
E devo dire che non mi dispiace per niente.
scritto il
2025-10-17
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