Aroma di caffè e aroma di Fuuka

di
genere
esibizionismo

Mi sveglio presto e sento che Fuuka si muove nel letto in cui giaccio anch'io.
Mi avvicino e la abbraccio da dietro facendo aderire il mio corpo al suo.
Un braccio sotto alla sua testa, comincio a baciarla sulla nuca, spostandomi sul collo dietro al suo orecchio mentre già la sento mugolare di piacere.
L'altro braccio intorno alla sua vita; risalgo nella stretta fino a fermarmi sotto al suo seno.
Il tormento umido delle mie labbra prosegue mentre lei muove la testa per offrirmi nuove zone di pelle da stimolare. Col mio bacino mi strofino sul suo sedere, tondo e pieno, le mie cosce avvinghiano le sue, si inseriscono aprendola per accogliermi tra i suoi arti.
Le pelli si riconoscono al contatto, si accarezzano spillando gocce di tenerezza.
È abbastanza scontato che con una mano le sollevi la camicia da notte, prendendo possesso dei suoi seni, lisciandoli tra le dita, soffermandomi sulle irregolarità dei capezzoli che identifico al tatto nella penombra della nostra stanza. L'odore del suo risveglio mi sazia gli organi dell'olfatto e posso così assaporare la mia ragazza con tutti i miei cinque, ordinatamente e complementariamente.
I suoi capelli sanno si morbido e di notte, la sua pelle di desiderio e di Fuuka. Il suo odore tipico che posso riconoscere e che nell'oscurità mi guida.
L'altra mano dribbla l'elastico delle sue mutandine, si distende sul suo monte di Venere rilassandosi sulle sue labbra.
Un gemito conferma che sono nel punto giusto.
Il suo profilo si muove, stagliandosi contro lo scheletro della finestra dalle cui persiane filtra la luce del mattino.
Le mie dita si sincronizzano nelle carezze che si dipanano sulla sua pelle: dalle ascelle fino alla presa decisa sul suo seno, con una mano; dalle ampie orbite intorno alle sue grandi labbra fino all'imbuto che mi chiama al suo interno, con l'altra.
Lei sposta indietro un braccio e si contorce quanto basta per poter giocare con la sua mano sui peli del mio pube.
Una spirale concentrica risucchia le mie dita nel suo buco nero. Leggi della fisica che dal movimento degli astri si traducono a quello delle mie falangi per entrare al suo umido interno.
Ora è lei a serpeggiare i fianchi sotto la stimolazione dei miei polpastrelli nella parte più interna della sua vulva; il suo sedere si muove sul mio pube strappandomi piccoli sospiri; il suo petto si snoda sotto la mia mano che la tiene salda stringendole un seno e snocciolandone il capezzolo.
E quando sento le dita completamente bagnate mi distacco per portarmi sopra di lei.
Le sfilo gli slip mentre lei solleva a ponte il bacino.
Le apro le cosce, mi inebrio del suo odore, dei suoi umori vaginali.
Affondo tra le sue gambe in una sequenza di baci che si continuano con carezze della mia lingua. Sospiri che diventano gemiti, gemiti che si convertono in piccole urla. Il suo bacino danza sulle mie labbra mentre la conduco all'orgasmo.
Poi è lei che mi cerca, trova le mia caviglie e mi gira sopra di lei.
Apro le cosce per farmi esplorare dalle sue dita gocciolando su di lei le stille del mio piacere.
La sua lingua corteggia le mie pieghe, si insinua nel mio interno mentre io riprendo a leccare la sua fonte di aromi e di piacere. Il suo secondo orgasmo si orchestra con il mio, per poi abbracciarci, di nuovo in asse, e baciarci con infinite poesie di lingua.
Senso il mio odore sul suo viso e le dono i suoi sentori che si sprigionano dal mio.
I nostri reciproci odori si mescolano come noi ora mescoliamo i nostri sapori, quando la sveglia ci suggerisce di alzarci.
“Colazione al bar?” Propongo, secondo un rito consolidato.
Lei mi sorride con gli occhi e con tutto il volto.
“Mi do una sciacquata e sono pronta.”
“No, gioia, andiamo così. Ci mettiamo solo qualche indumento. Ti va?”
“Ma Yuko, le nostre mani, le nostre facce sanno di figa in modo estremamente esplicito. Se ne accorgeranno tutti.”
Io le stringo le mani e sorrido senza rispondere. E questa è invece una risposta che arriva dritta nel nucleo della sua immaginazione: “Sei tutta matta, piccola”, mi dice dopo aver capito tutto, “mi posso rimettere le mutandine, almeno?”
“No. Ci mettiamo solo la gonna e la maglietta e nient'altro.”
Andiamo al bar dei nostri amici cinesi. Un'oasi di Asia in una metropoli italiana.
Una comunità di filippini abita permanentemente i tavolini in fondo e ora noi due aggiungiamo un tocco di Giappone. Ecco, ci vorrebbe un po' di Corea e Thailandia, magari un pizzico di Viet Nam e il campionario sarebbe sufficientemente vario e ben rappresentato.
Lin ci sorride: “cappuccio e brioche?” Si ricorda bene.
Ci fermiamo al bancone, sugli alti sedili e io comincio a muovere le ginocchia sotto la gonna facendo sorridere Fuuka che intuisce le mie intenzioni non esattamente caste; però poi mi asseconda, anche se meno sfacciatamente.
Entra una coppia di italiani, mezza età e ordina due espressi. La donna si appoggia al bancone tamburellando con il bancomat sul tavolo, il marito adocchia la gazzetta dello sport che però è di ieri.
Arrivano i due caffè, ma la donna inizia ad annusare l'aria guardandosi in giro. Guarda quello che forse è il marito. Annusa dalla sua parte, poi annusa il caffè e finalmente annusa verso di noi.
Ci guarda e si blocca di colpo; arrossisce lievemente, ma subito riconverge le sue attenzioni verso il suo espresso.
Il marito si avvicina affranto per non aver trovato il rotocalco rosa della giornata, ma anche lui viene colto da un'ispirazione. Alza il naso inseguendo un richiamo ancestrale e poi guarda la moglie. Lei scuote la testa, concentrata sulla sua bevanda nera. Lui fa un'espressione interrogativa, ma lei gli dà un piccolo colpo col gomito, indicandogli col mento l'altro caffè. Bevono, pagano frettolosamente ed escono.
Fuuka si è girata verso di me chinandosi verso il bancone di metallo per nascondere le sue risa, io faccio aria con la gonna. In effetti mi è anche venuto caldo, lì, ma è per dare un'altra ventata di passera al bar.
Subito dopo entrano tre operai del cantiere qui di fronte. Gilet ad alta visibilità sopra deltoidi ipertrofici sudati, barbe di uno o due giorni.
Fuuka diventa rossa e si mette a ridere. Mi sussurra che non ce la fa e ci dobbiamo cambiare di posto. Lei si rannicchia nell'angolo e resto io verso gli avventori.
È ovvio che non posso agitare la gonna, adesso, ma ne approfitto per farmi aria al viso con la mano.
I tre ordinano caffè e chiacchierano lanciandoci rare occhiate interessate. Ma mentre i primi due restano a gustarsi il caffè il terzo è come se fosse folgorato.
“Hey, lo sentite anche voi questo odore?”
Gli altri annusano, ma scuotono la testa.
“Ma sì!” Insiste il primo che scandaglia l'ambiente convincendosi sempre di più.
Fuuka si gira dall'altra parte e si copre le risa con una mano mentre io muovo un po' le ginocchia fingendo indifferenza.
“Sara mica...” dice un altro.
“E già, è pazzesco. C'è un odore di figa in questo bar che non riesco a spiegarmi!” Concludono i tre con sicurezza scientifica.
Per caso uno dei manovali incrocia i miei occhi. Io intanto mi muovo facendo fare piccole rotazioni, di qua e di là, al sedile da bar e mi mordo un labbro, sostenendo il suo sguardo.
Quello mi sorride e mi lancia un'occhiata maliziosa a cui io rispondo passandomi la punta della lingua sul bordo del labbro superiore.
Quello, capisce tutto e mi strizza l'occhio.
Io rispondo con lo stesso segnale e indico con la testa la mia compagna che, più sicura di sé, ora ha rialzato lo sguardo e lo punta verso i tre con aria di sfida.
Quello ridacchia e, sicuramente senza pensarci, si aggiusta il pacco che probabilmente gli si è ingrossato nei pantaloni da lavoro. Ma decide di prestarsi al nostro gioco infantile e perverso.
“Sì”, conclude, tirandosi su le braghe e girandosi verso i suoi due compagni, “un fortissimo odore di passera, in questo bar. Chissà da dove verrà?”
Gli altri due guardano alle sue spalle e ci inquadrano, iniziando a sogghignare. Io, sfacciatamente, ricomincio a muovere lievemente la gonna per dare nuove ventate di aromi tropicali.
Due di loro si danno di gomito, ma io mi accorgo che il gioco è andato un po' troppo avanti e, insomma, non vorrei finire messa a 90° sul bancone del bar e scopata da tutti e tre a turno.
Cioè, non che mi dispiacerebbe del tutto, ma forse Fuuka non sarebbe contentissima.
Abbiamo finito la colazione. Ci lecchiamo dalle labbra dalla schiuma del cappuccino e andiamo a pagare mentre il gruppetto dei tre si apre come il mar Rosso sotto le mani di Mosè per farci passare verso la cassa, inquadrandoci dalla testa ai piedi. Uno addirittura annusa forte l'aria, confermandoci che i nostri ferormoni sono arrivati ai suoi recettori.
Poi ci prendiamo per mano, chiarendo meglio la situazione agli onesti operai, dirigendoci verso l'uscita del bar.
Prima di uscire, a bassa voce verso il primo che aveva capito, “vado a darle la seconda mano” dico, indicando col capo la mia amante.
Quello ci ammicca: “mi sembra giusto”, chiosa con un piccolo inchino di commiato.
Quello che segue, poi, nella nostra stanza, è abbastanza prevedibile.
di
scritto il
2025-10-10
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