Avventura folle (parte 11)
di
Kugher
genere
sadomaso
La schiava era bella, inginocchiata ed era ornata da cavigliere e polsiere in pelle nera, unite da una catena lucida, tanto spessa da sottolineare la sua totale schiavitù.
Le mani appoggiate alle ginocchia allargate, non coprivano la figa depilata. I morsetti ai capezzoli, uniti da una catenella anch’essa lucida, erano spinti in avanti dalla postura eretta, il cui scopo era di offrire i seni a chi, in piedi, poteva vedere ciò che era destinato ad appartenere.
Il viso era abbassato quel tanto da sottolineare la sua sottomissione, ma non abbastanza da impedire di vedere la bellezza del viso, nella cornice di capelli mossi e spettinati quel tanto da dare realtà e concretezza ad una cosa la cui perfezione avrebbe stonato.
Intorno al collo, un nastro rosso con un fiocco a mala pena copriva il collare.
I due Padroni non sapevano nulla di quella donna, della sua storia, delle sue emozioni e sensazioni. Per loro era solo una schiava bianca che, nelle loro fantasie erotiche spesso divenute realtà, davano corpo ad una sorta di rivalsa sociale, che altro non faceva che aumentare l’eccitazione.
Entrambi provavano sensazioni più forti nel dominare una donna bianca, rispetto a ciò che donava loro avere una schiava la cui pelle era simile alla loro, pur variando solo nell’intensità.
Il mento leggermente abbassato non nascondeva il collare dello stesso materiale e colore delle polsiere e cavigliere. Il guinzaglio pendeva dall’anello per passare in mezzo ai seni, arrivando alla figa dove, ad arte, era stato posizionato giusto per coprire la fessura, il cui svelamento sarebbe stata priorità dei Padroni.
Conservando la dignità di una persona il cui ruolo la vede Padrona, Helen rivolse uno sguardo di ringraziamento eccitato al marito ed un sorriso di compiacimento ad Alfio per la situazione creata e gestita con tanta maestria, in cui l’ha presa di fatto per mano e portata a giungere eccitata a quel momento di forte erotismo.
Helen era ormai definitivamente calata negli aderenti vestiti della Padrona di quel magnifico oggetto, il cui valore umano, in quella stanza, era noto solo ad Alfio.
La donna girò attorno alla schiava bianca, la quale mosse appena gli occhi per seguirla fino a dove le era consentito senza voltare la testa, che rimase nella sua eccitante immobilità.
Era evidente il petto della schiava, che si alzava ed abbassava con un ritmo più elevato rispetto a quello solito di persona in stato di tranquillità, tradendo così un elevato battito cardiaco.
La Padrona accarezzò la schiena della donna con il frustino, come per far comprendere che ora tutto sarebbe dipeso dalla volontà altrui che, in quel momento, stava iniziando ad esercitare possesso e potere.
Ritornò davanti all’oggetto inginocchiato. Con la punta del frustino spostò la catena del guinzaglio, in modo da spogliare definitivamente la schiava, togliendo l’unica effimera protezione posta a tutela del suo sesso.
Solo quando la sua nudità fu totale, con la punta del frustino posta sotto il mento, invitò l’oggetto ricevuto in dono, ad alzare gli occhi per guardarla ed essere guardata.
Helen non poteva fermarsi al contatto visivo, occorreva altro per stabilire ruoli e confini.
Mise una scarpa sulla coscia della donna, poco prima di abbassare la punta del frustino sulla catenella che univa i morsetti ai capezzoli. Cominciò a tirare fermandosi solo quando il dolore altrui smise di trasmetterle piacere.
La paletta del frustino arrivò alla figa che aveva perso la poca protezione del guinzaglio, cercandone l’ingresso e apprezzando l’allargamento delle cosce della schiava per agevolare la volontà della Padrona.
Quello era il suo regalo. Lo avrebbe usato anche il marito, ma in quel momento doveva stabilire una relazione con l’oggetto umano di sua proprietà.
Passò alle sue spalle.
Il frustino non si limitò ad accarezzare la schiena, ma ne prese possesso colpendola ripetutamente, forte.
Inizialmente i colpi erano distanziati nel tempo. Poi la frequenza aumentò fino a costringere la schiava a contorcersi nella speranza di alleviare il dolore, pur senza sottrarvisi.
La frequenza la portò a piegarsi in avanti posando la fronte a terra.
La schiena era completamente offerte ed Helen prima vi pose sopra la scarpa, schiacciando col tacco, poi vi si sedette con tutto il suo peso, prendendo tutto il piacere che un corpo schiacciato dal proprio possa dare.
La strada per andare nell’edificio posto all’estremo del cortile che li avrebbe ospitati per il tempo ritenuto necessario, fu la replica, speculare, del percorso di Helen verso la casa padronale.
All’andata fu costretta a limitarsi a trarre eccitazione dalla cagna portata al guinzaglio ma di evidente proprietà altrui. Per dirigersi verso l’appartamento che avrebbe ospitato il loro dominio, sarebbe stata lei la detentrice del guinzaglio.
All’uscita trovarono ancora stesa sulla soglia la schiava zerbino, il cui nome Simona a loro era ignoto e di nessun interesse.
La calpestarono per uscire, con minor piacere rispetto al percorso inverso, in quanto ormai col pensiero all’uso della loro proprietà, ancora munita di fiocco rosso.
Helen fu combattuta tra la scelta di far camminare in piedi la schiava nel cortile per non rovinare le ginocchia, oppure farle fare a quattro zampe il percorso, per provare diversa emozione rispetto a quando lei stessa fu testimone di analoga situazione.
Prevalse la seconda, con la promessa a sé stessa di far lavare la cagna che si sarebbe inevitabilmente sporcata nel tragitto tra il luogo in cui l’eccitazione si era definitivamente manifestata, e quello in cui avrebbe preso corpo per fare entrare le forti emozioni nelle carni dei Padroni.
Helen, nel tirare la schiava a quattro zampe nel cortile, non ebbe la stessa pazienza avuto da Alfio nel portare Simona, anche se in quel caso lo scopo era solo quello di prolungare l’attesa e il piacere della scoperta del dono.
Gli incentivi a procedere più velocemente, pur senza perdere la compostezza della postura, consistettero nell’uso del frustino che consegnò ai Padroni la visione di una schiena segnata, prima di giungere alla meta.
Le mani appoggiate alle ginocchia allargate, non coprivano la figa depilata. I morsetti ai capezzoli, uniti da una catenella anch’essa lucida, erano spinti in avanti dalla postura eretta, il cui scopo era di offrire i seni a chi, in piedi, poteva vedere ciò che era destinato ad appartenere.
Il viso era abbassato quel tanto da sottolineare la sua sottomissione, ma non abbastanza da impedire di vedere la bellezza del viso, nella cornice di capelli mossi e spettinati quel tanto da dare realtà e concretezza ad una cosa la cui perfezione avrebbe stonato.
Intorno al collo, un nastro rosso con un fiocco a mala pena copriva il collare.
I due Padroni non sapevano nulla di quella donna, della sua storia, delle sue emozioni e sensazioni. Per loro era solo una schiava bianca che, nelle loro fantasie erotiche spesso divenute realtà, davano corpo ad una sorta di rivalsa sociale, che altro non faceva che aumentare l’eccitazione.
Entrambi provavano sensazioni più forti nel dominare una donna bianca, rispetto a ciò che donava loro avere una schiava la cui pelle era simile alla loro, pur variando solo nell’intensità.
Il mento leggermente abbassato non nascondeva il collare dello stesso materiale e colore delle polsiere e cavigliere. Il guinzaglio pendeva dall’anello per passare in mezzo ai seni, arrivando alla figa dove, ad arte, era stato posizionato giusto per coprire la fessura, il cui svelamento sarebbe stata priorità dei Padroni.
Conservando la dignità di una persona il cui ruolo la vede Padrona, Helen rivolse uno sguardo di ringraziamento eccitato al marito ed un sorriso di compiacimento ad Alfio per la situazione creata e gestita con tanta maestria, in cui l’ha presa di fatto per mano e portata a giungere eccitata a quel momento di forte erotismo.
Helen era ormai definitivamente calata negli aderenti vestiti della Padrona di quel magnifico oggetto, il cui valore umano, in quella stanza, era noto solo ad Alfio.
La donna girò attorno alla schiava bianca, la quale mosse appena gli occhi per seguirla fino a dove le era consentito senza voltare la testa, che rimase nella sua eccitante immobilità.
Era evidente il petto della schiava, che si alzava ed abbassava con un ritmo più elevato rispetto a quello solito di persona in stato di tranquillità, tradendo così un elevato battito cardiaco.
La Padrona accarezzò la schiena della donna con il frustino, come per far comprendere che ora tutto sarebbe dipeso dalla volontà altrui che, in quel momento, stava iniziando ad esercitare possesso e potere.
Ritornò davanti all’oggetto inginocchiato. Con la punta del frustino spostò la catena del guinzaglio, in modo da spogliare definitivamente la schiava, togliendo l’unica effimera protezione posta a tutela del suo sesso.
Solo quando la sua nudità fu totale, con la punta del frustino posta sotto il mento, invitò l’oggetto ricevuto in dono, ad alzare gli occhi per guardarla ed essere guardata.
Helen non poteva fermarsi al contatto visivo, occorreva altro per stabilire ruoli e confini.
Mise una scarpa sulla coscia della donna, poco prima di abbassare la punta del frustino sulla catenella che univa i morsetti ai capezzoli. Cominciò a tirare fermandosi solo quando il dolore altrui smise di trasmetterle piacere.
La paletta del frustino arrivò alla figa che aveva perso la poca protezione del guinzaglio, cercandone l’ingresso e apprezzando l’allargamento delle cosce della schiava per agevolare la volontà della Padrona.
Quello era il suo regalo. Lo avrebbe usato anche il marito, ma in quel momento doveva stabilire una relazione con l’oggetto umano di sua proprietà.
Passò alle sue spalle.
Il frustino non si limitò ad accarezzare la schiena, ma ne prese possesso colpendola ripetutamente, forte.
Inizialmente i colpi erano distanziati nel tempo. Poi la frequenza aumentò fino a costringere la schiava a contorcersi nella speranza di alleviare il dolore, pur senza sottrarvisi.
La frequenza la portò a piegarsi in avanti posando la fronte a terra.
La schiena era completamente offerte ed Helen prima vi pose sopra la scarpa, schiacciando col tacco, poi vi si sedette con tutto il suo peso, prendendo tutto il piacere che un corpo schiacciato dal proprio possa dare.
La strada per andare nell’edificio posto all’estremo del cortile che li avrebbe ospitati per il tempo ritenuto necessario, fu la replica, speculare, del percorso di Helen verso la casa padronale.
All’andata fu costretta a limitarsi a trarre eccitazione dalla cagna portata al guinzaglio ma di evidente proprietà altrui. Per dirigersi verso l’appartamento che avrebbe ospitato il loro dominio, sarebbe stata lei la detentrice del guinzaglio.
All’uscita trovarono ancora stesa sulla soglia la schiava zerbino, il cui nome Simona a loro era ignoto e di nessun interesse.
La calpestarono per uscire, con minor piacere rispetto al percorso inverso, in quanto ormai col pensiero all’uso della loro proprietà, ancora munita di fiocco rosso.
Helen fu combattuta tra la scelta di far camminare in piedi la schiava nel cortile per non rovinare le ginocchia, oppure farle fare a quattro zampe il percorso, per provare diversa emozione rispetto a quando lei stessa fu testimone di analoga situazione.
Prevalse la seconda, con la promessa a sé stessa di far lavare la cagna che si sarebbe inevitabilmente sporcata nel tragitto tra il luogo in cui l’eccitazione si era definitivamente manifestata, e quello in cui avrebbe preso corpo per fare entrare le forti emozioni nelle carni dei Padroni.
Helen, nel tirare la schiava a quattro zampe nel cortile, non ebbe la stessa pazienza avuto da Alfio nel portare Simona, anche se in quel caso lo scopo era solo quello di prolungare l’attesa e il piacere della scoperta del dono.
Gli incentivi a procedere più velocemente, pur senza perdere la compostezza della postura, consistettero nell’uso del frustino che consegnò ai Padroni la visione di una schiena segnata, prima di giungere alla meta.
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