Omaggio a zio Renato - Quinta parte - Messico e Diavoli.
di
reginella24
genere
dominazione
Erano le 11 del mattino e dormivo profondamente con il culo all’aria. La porta si aprì. Entrò la più piccola delle due Signore. Si avvicinò a me e disse piano: “ Signorina….Mi scusi… deve restituire gli indumenti a Padron Antonino…” Sono sul divano alla turca” Risposi assonnata. Sentii che guardava il mio culo, e disse: ”Mio Dio, signorina… ma lei è ferita!”. Risposi che proprio bene non stavo.
“Aspetti… vado a prendere una cosa che la farà star meglio!”. Si allontanò trotterellando per tornare poco dopo con qualcosa in mano. Mise i quattro ceri ai lati del letto. Li accese. “Ma cosa..?” farfugliai.
“Non si preoccupi. Lei deve rimanere giù. Respiri il profumo dei ceri.. Sa di spezie d’oriente, di foresta pluviale, di deserti scomparsi… vero? Percepii esattamente la descrizione appena fatta. Conoscevo tutte quelle essenze. Mi apparve un mondo fantastico. Planavo su oasi lussureggianti e di fiori odorose. Un rosso cielo metteva straordinariamente in risalto le sagome nere dei minareti e delle genti. Ero calma. In estasi. Il mio corpo si rilassò. Alzai leggermente le natiche. Sentivo che dovevo farlo. C’era il corpo della Signora dietro di me. Arrivò a me un ordine perentorio: mi comandava di sollevare di più il bacino divaricando contemporaneamente le cosce. La lingua della Signora mi stava leccando le ferite. Dai tagli dei miei glutei usciva ancora sangue fresco. La bocca famelica lappava con voracità il mio culo. Mi piaceva. Il dolore era totalmente scomparso e anzi, provavo piacere. Ecco!. Sussultai. Il mio buco del culo pulsava. Rapidamente, la lingua si spostò dalla zona di lavoro al mio orifizio. Prima dolcemente e poi con voracità, iniziò a mangiare. Di tanto in tanto, la lingua, non disdegnava una gran leccata di sangue che le gocciolava vicino. Dopo ogni assaggio del mio rosso fluido, sentivo l’energia di lei aumentare. Ora sembrava volesse entrare tutta in me. La lingua saettante mi entrò nel culo. Ero eccitatissima. Mi stava praticamente mangiando il culo. Stavo venendo. Stavo sborrando. Vidi passare sotto di me, velocissimo, il viso della Signora. Avvinghiandomi l’uccello, lo aveva trascinato alla bocca un decimo di secondo prima che schizzasse un’abbondante fiume di sborra. La Signora, infilatomi un dito medio nell’ano divorava con avidità lo strato di sperma che ricopriva il mio cazzo. Diedi gli ultimi sussulti, deliziando la bocca della Signora con un abbondante secondo spuntino. Ora aveva le mani sulle mie natiche; Recitava una formula in una lingua sconosciuta. Uscì da sotto e tornò ad ultimare il suo fiero pasto. Sentii che ora, tutte le profonde ferite erano lavate e pulite. La pelle era morbida. Lei disse: ”Stia ferma così venti minuti. Dopo le farò vedere com’è migliorato il suo sublime culo.” Mi appisolai. Mi svegliò la Signora impugnando un oggetto. Mi spaventai. Mi tranquillizzò. “Guardi” disse. Stavo vedendo, riflessa nello specchio, una cosa che non poteva essere vera. Stavo sognando.. ecco! No. Non era un sogno. La tenera pelle dei miei glutei era guarita. Non si vedeva alcun segno delle scudisciate. La Signora, cominciò quindi a raccogliere i preziosissimi indumenti che avevo indossato nell’indimenticabile notte precedente. Io dissi: “Ma come ha fatto!!??Me lo deve spiegare!” La Signora rimase imperturbabile e uscì.
Ero a mille! Esisteva quindi veramente una dimensione inconsueta e nascosta ai più! Feci una doccia bollente e poi mi guardai accuratamente nell’enorme specchio del bagno. Nulla. Il mio culo sodo risultava addirittura più tenero e morbido di prima. Entrò la Signora più alta e anziana. Portava al braccio una costosa vestaglia. Mormorò: “abbia la compiacenza di seguirmi nella sua camera. Questa vestaglia la coprirà.” Indossai il pregiato indumento e la seguii fino alla mia stanza. Entrai. Lei tornò indietro. Dovevo fare un’altra doccia. Sotto la cascata d’acqua, pensavo ai misteri del cosmo, alla magia nera e al demonio. Mi asciugai bene e mi cosparsi di profumi costosi. Mi truccai. Misi le calze, il reggicalze e le scarpe tacco alto. Indossai le unghie finte. Rosse. La parrucca ultimò il capolavoro. Ero ancora più bella! Avevo fame. Non avevo mangiato nulla dalla sera precedente. Erano le 15! Per forza ero affamata. Indossai una Tshirt banca che mi copriva a malapena le splendide natiche. Mi sentivo femmina! Totalmente femmina! E avevo voglia di cazzo! Ero la regina di quel fiabesco luogo! La porta non era chiusa a chiave. Uscii nell’ampio corridoio. Scesi lo scalone centrale e camminai verso quella che mi sembrava fosse la zona cucine. Mi aveva guidato l’olfatto, naturalmente. Nell’aria odore di caramello, pane limone e basilico. Nell’aria uva, ginepro, e vino. Entrai in una grande stanza. Oltre alle due Signore c’erano altri cinque uomini, presumibilmente una parte dei guardiani. “Signorina! Cosa fa qui! Le stavo portando qualcosa da mangiare!” “Non si preoccupi” Risposi. “Anzi, se permette, mangio qualcosa dai vassoi. Mangio qui.” E senza attendere risposta, andai decisa ai piatti ricolmi passando, con il mio stupendo profilo, davanti a quei rozzi maschi. Percepii gli sguardi pieni di desiderio. Sentii il lezzo della loro sborra. Sentivo gli odori in una maniera super amplificata. E tutto ciò dopo la sensazionale mangiata di culo della Signora. Il silenzio era perfetto: uniche melodie, il ticchettio dei miei tacchi e il mio masticare.
L’Autista apparve all’improvviso. Nervosissimo. “Lei non deve stare qui! Venga con me! L’accompagno nella sua stanza. Lo seguii. Sentivo la delusione dei rozzi guardiani nel vedermi andare via. Assaggiavo i loro pensieri e i loro umori. Il culo mi pulsava. Entrammo in stanza. L’Autista era fuori se. “Lei non si deve mai allontanare da questa stanza! Ci siamo capiti?” Furioso era ancora più bello. Istintivamente, toccai il dorso della sua mano. La ritrasse goffamente. “E’ impazzita!!? Vuole morire!!? E vuole che muoia anch’io!!?”
“Reginella! Per l’amor di Dio! Non faccia mai più una cosa simile! Lei non sa..”
Scartai un chewin gum e masticai in modo provocante. Lo volevo. Ma sapevo che non si poteva fare. Se ne andò stralunato. Scelsi un film porno. Travestiti in compagnia di maturi superdotati.
Sedetti. Già dalle prime scene (peraltro girate divinamente) la mia mano scivolò sull’uccello. La sega procedeva ad un ritmo costante. Aumentando la frequenza, dopo 15 minuti, sentivo che il mio cazzo sarebbe esploso. Gridai. Gemetti. Bestemmiai. La sborrata mi colpì in pieno viso. I sussulti del mio corpo diminuivano. Con le dita, raccolsi i candidi fiocchi e avidamente me ne nutrii.
Aprii la finestra. Un turbinio di essenze fulminò il mio odorato: Salvia, limoni, e rose.
Amavo quel luogo. Lì, mi ero ricongiunta a madre terra.
Ero innamorata di me. Narciso in Terra Calabra. Mi piacevo, e volevo far godere il mio corpo, con continue emozioni.
Non mi ero mai sentita così vacca. Così affamata. Così desiderabile.
Volevo restare lì. Volevo essere la Regina della casa. Per sempre.
Nell’angolo dell’immenso tavolo, il vassoio con la polvere bianca mi chiamava a se.
Dieci righe già pronte. Perfette. Chi aveva riordinato la stanza, mi aveva omaggiato di rose rosse e cocaina.
Tirai. Il mondo era mio! Tutto!
Il film ripartì. Provavo invidia per quelle troie che prendevano giganteschi uccelli ovunque.
Antonino entrò senza bussare.
Sedette vicino a me e mi baciò sulla guancia. “Cosa guardi tesoro?” disse. “Ah! È uno dei miei preferiti! Abbiamo gli stessi gusti!”. Porto a sé il vassoio e tirò tre volte.
“Sei fortunata sai, Reginella?” “Davvero?” Risposi.
“Se mi viene riferito ancora una volta che sei in una zona del castello che non sia questa stanza, ti uccido”.
Non avevo paura. Ma sapevo che parlava sul serio.
“Mi perdoni Padrone. Non succederà più”.
Si ammorbidì. Cominciò a leccarmi un orecchio. La sua lingua si insinuò con voluttà tra le mie labbra. Le lingue combattevano con lunghi abbracci. Si spogliò. Ammirò le mie natiche levigate dicendo: “Crapomena è fantastica. Hai visto? E’ scomparso tutto.”
“E’ la migliore”.
Sdraiata di pancia, ammiravo quello splendore. Il simbolo della virilità e della divinità del maschio. IL CAZZO! Si ergeva arrogante, mettendo in bella evidenza, la rosea, gonfia cappella che mi sarebbe scivolata in bocca di lì a poco. Avida, iniziai a succhiare. Lui iniziò a parlare: “ Continua a succhiare puttanella! Mentre spompini ti faccio un discorsetto. C’è una novità: non sei sufficientemente purificata. Il mio Dio, Signore e Onnipotente, Azazèl, vuole che facciamo altri riti” . L’eccitazione che si impadronì di me, mi fece ulteriormente apprezzare l’enorme nerchia che coccolavo in bocca. Aumentai la velocità nella succhiata.
“Sei d’accordo VACCA .. eh..?” Il suo cazzo scivolò fuori dalla mia bocca bollente. Mi fece mettere a pecorina. Il mio buco del culo attendeva trepidante il duro manganello che l’avrebbe violato.
Inserì dolcemente la grossa cappella. Solo quella. Era immobile. Io aspettavo. I minuti trascorrevano lenti. Non potevo restare in quella condizione.
Non riuscii a tacere. “Padrone! La prego! Impazzisco dalla voglia! Mi deve inculare! Mi fotta! Forte! Farò tutto quello che vuole!”
“Proprio questo volevo sentirti dire troietta!” E la sua risata satanica echeggiò nella stanza.
Spinse sino in fondo. Sentivo i grossi e pieni coglioni solleticarmi piacevolmente. Iniziò subito molto velocemente. Mi stava fottendo. Io urlavo: “Mi fotta padrone! Non smetta! La prego”. Gli schiaffi sui glutei arrivavano potenti. Una scossa che mi faceva sobbalzare accogliendo sempre più in profondità il divino arnese. Si sollevò, potente, invincibile e maschio. Le sue urla di piacere sovrastavano le mie. Due maiali. Due porci insaziabili. All’urlo “T’inculoooo troia!!!!” venne. Venni contemporaneamente a lui. Il mio padrone. Il mio uomo. Effluvi di sperma, mi facevano venire l’acquolina in bocca. Uscì da me e io, servizievole e innamorata, pasteggiavo con la lunga colata di sborra bollente.
Quella notte dormii profondamente. Ma fu un sonno popolato di strani sogni. Esseri soprannaturali mi cercavano. E io cercavo loro. Urla demoniache risuonavano nella mia testa. Ma forse erano reali e arrivavano da lontano; da un’ala lontana dell’enorme dimora.
Il mattino mi vide in piena forma. Dopo un lunghissimo bagno, mi specchiai incuriosita. Mi vidi più bella, più tonica, più femmina. Più dolce e tenera.
La pelle del mio corpo sembrava più giovane e morbida. Il mio portamento era ora totalmente femmineo. Anche la mia voce aveva un’intonazione più sensuale e ricca di fascino.
Mio Dio! Cosa mi stava succedendo?
Mi rivestii. Cambiai l’intimo. Scelsi il bianco. Calze autoreggenti bianche, scarpe tacco 12 bianche. Mi coprii con un’altra maglietta pulita. Bianca. Mi cosparsi di essenze e mi truccai.
Avevo ancora voglia di uccello. La voglia non mi lasciava praticamente mai.
Ma non potevo lasciare la stanza. E avevo appetito.
Entrò l’Autista. Elegantissimo.
Con quel pusillanime tirapiedi non sarei arrivata a nulla, lo sapevo. Era talmente terrorizzato dal Padrone, che non gli si sarebbe rizzato il cazzo. Però mi ci potevo divertire…
“Il padrone la vuole a pranzo, Reginella. Tra due ore l’aspetta in sala. Tra un’ora e cinquanta minuti la scorterò da lui. Può restare vestita così com’è. Può andare”.
“Allora abbiamo tempo!” Esclamai.
“Si rilassi Autista!. Anzi, sieda qui”. E accarezzai la pelle del divano.
“La smetta! Non mi è permesso! Allora non ha capito nulla!”
Mi coricai sul fianco con fare lascivo. La maglietta si sollevò mettendo in luce il mio culo da sogno.
Percepii la reazione dell’Autista. Dentro di lui stava combattendo una dura lotta. Si tratteneva dal montarmi.
“Pensavo di piacerle almeno un pochino…” piagnucolai.
Abbassò la voce. Bisbigliò: “Si sposti nell’angolo a destra della stanza”. Ubbidii, senza capirne il motivo.
Lui mi seguì con naturalezza. Disse a bassissima voce: ”Questo è un punto dove le telecamere non vedono e i microfoni non sentono. O almeno lo spero. Non dobbiamo rimanere qui più di due minuti. Anzi, qualcuno mi chiederà il motivo per cui ci siamo spostati qui. Inventerò qualcosa… Reginella: il mio unico desiderio da quando ti ho vista, è di mettertelo in culo. Tutto. Sei un essere divino. Penso che potrei fotterti e poi morire. Avrei avuto tutto dalla vita. Ma non posso. La nostra non sarebbe una morte veloce; ma lenta e crudele. Dio! Ti sogno tutte le notti! Ma ora basta. Torniamo verso il divano. Dirò che ti ho aiutata a cercare un orecchino che avevi perso”.
Resistetti alla fortissima tentazione di aprirgli la patta e di divorargli l’uccello con scorpacciata finale di sborra. Dal grosso rigonfiamento che mostrava al di sotto della cintura, intuivo che mi trovavo di fronte ad un altro grosso arnese. Anche ora, nuovamente, distinguevo perfettamente il pungente odore emanato dal suo cazzo. Il culo mi pulsava.
“Ma come ti chiami?” Chiesi. “Autista! Per lei, Reginella, sono solamente l’Autista”. Lo disse ad alta voce, come per farsi sentire da altri in ascolto.
Uscì veloce. Presi un antico tomo dalla biblioteca: “Libro antico di magia, stregoneria e occultismo; esoterismo rituali grimorio pratico. 1657”.
Fantastico. Un’autentica rarità.
Mi persi nella lettura di quel libro sciagurato. Poi dormii.
Tornò l’Autista. Disse: “Presto! Dobbiamo andare!” Mi svegliai di soprassalto. “Un attimo. Mi devo rifare il trucco…” “Due minuti! ( Urlò..) “Non di più”.
Fui veloce. Ora ero presentabilissima. Uscimmo dalla stanza. Grande corridoio e poi giù dalla scala centrale. Altezzosa, mi beavo sui tacchi come un'adolescente in calore. Sulla mia pelle, lo strusciare della maglietta eccitava ogni mia fibra nervosa.
Il gran mio culo, alto, pronunciato e voglioso richiamava presenze nascoste in quel luogo. Cento occhi mi stavano osservando.
In sala da pranzo, Antonino (il mio padrone), sedeva magnifico a gambe divaricate. L’Autista scostò la sedia e mi fece accomodare. In modo gentile. Accavallai le gambe: “Mio Signore e padrone! Sono felice di vederla! Felice ed eccitata….” E feci ruotare la lingua sulle labbra. “Puoi andare Autista! Cosa guardi?”Il tono era furioso. L’altro, visibilmente spaventato, sparì.
Si avvicinò a me. Mi abbracciò una coscia. Profumava. Di alcol. La sua mano scivolò a toccare il mio buco del culo che pulsava furiosamente. Il dito medio entrò prepotentemente. Godevo! Si fermò. Lo tolse e lo succhiò, goloso. Mi fece alzare e mi portò verso un secondo tavolo al centro del quale, uno splendido vassoio ricolmo di coca, mi fece ricordare che volevo pippare alla grande. Tre righe a testa ci sballarono. Ricordo solo la mano del mio stallone prendere il lembo della tovaglia. Trascinare tutto giù dal tavolo e mettermi di schiena sul freddo legno. Mi tolse una scarpa. Mi sfilò la calza. Cominciò a succhiarmi le dita del piede. La sua lingua rude giocherellava tra le mie dita. Sussultai. La leccata arrivò fino al mio buco del culo.
Paradiso e delizia. Lo volevo. Era mio. Il mio crudele Signore e Padrone. Con mia gioia si alzò. Slacciò i pantaloni liberando un animale talmente grosso e duro che volli essere domata. Mi inculò velocemente. Le mie cosce spalancate, erano avvinghiate a quei lombi maligni. Sentivo chiaramente i divini coglioni schiaffeggiare i contorni del mio buco del culo totalmente riempito di svariati etti di carne viva.
Mi girò. La vorace bocca lappava con energia ogni angolo del mio orifizio. “Mettiamoci sul divano” disse. Spostandoci verso il divano, tirammo ancora polvere bianca. Mi fece inginocchiare pancia contro lo schienale. Si spogliò. Sentii il suo corpo fremente sopra di me: come un perfetto siluro lo straordinario cazzo mi entrò, dall’alto. Il cavaliere che mi stava domando era sempre lui.
Lo amavo.
La nerchia arrivò sino in fondo. Sembrava che volesse far entrare anche i potenti coglioni. Lanciai un urlo. Un urlo di donna! Perfetto. Montandomi con cattiveria ben saldo sui piedi, ruggiva insulti e bestemmie. Schiaffi potentissimi colpivano i miei glutei. Gemette. “Eccomi” disse. Il potente schizzo mi fece sborrare. Venimmo insieme. Una cosa unica. Un unico organismo. Sussultavamo entrambi. Il meraviglioso uccellone migrò alla mia bocca. Golosa e veloce lo ripulii. E pranzai con sborra fresca di giornata.
“Cazzo che montata!” urlò. Appena ti ho vista il mio cazzo ti voleva subito ”. Sei bellissima. Molto meglio di quando sei arrivata. Mi fai godere come un toro che monta la sua vacca. Tu sei la mia vacca vero?” “Padrone..” dissi. “Io sono la Sua vacca da monta. Sono la Sua troia maiala. Non desidero altro che il Suo membro. Sono la Sua rispettosa schiava, e Lei può disporre di me come crede”. Prima non credevo in nulla. Ora credo in Lei! La amo….”
“Bene Tesoro…. Ora parliamo di cose serie. Stammi bene a sentire. Stasera arriva Andrea Felipe. Direttamente da Tijuana. Lo devi stregare. Dai il meglio di te stessa. Devi dare tutta la tua sensualità e bellezza per farlo felice. E’ un importante alleato. Dopo ti darò il voto. Da 1 a 100. Un buon punteggio ti assicura un regalino da parte mia”.
Annuii. Ti farò portare in camera l’abbigliamento che indosserai stasera. Quello lo scelgo sempre io. “
Andò via. Rimasi qualche minuto a sgranocchiare affamatissima, pane, salumi e formaggi che raccoglievo avida dal pavimento. Cose da schiave.
Mi apparve di fronte. Serio. Impeccabile. L’Autista.
Nella mia stanza, mi addormentai. Sognai orge, sognai dominazioni. Sognai grandi cazzi duri che mi prendevano ovunque.
La più alta delle due Signore entrò. Mise sul letto il corredo scelto da Antonino e prima di uscire sentenziò: “ Il signore la aspetta giù per le 20. L’ospite arriverà alle 21. L’Autista la scorterà in sala da pranzo”:
Aprii le buste con il corredo. Sussulltai di gioia. “Che raffinatezza. Che meraviglia… Antonino TI AMO!!!!” Fui precisissima nella mia pulizia. Bagno, doccia e unghie nuove. Creme, balsami pregiati e profumo. Tantissimo.
Calze. Mai viste di questa fattura. Reggicalze da vera troia. Essenziale. Tempestato di pietre, questa volta diamanti! Parrucca nera sbarazzina, scarpe finissime. Con struttura alta e pochissimo materiale. Dei piedi nudi con il tacco. Seno in lattice. Sembrava un vero paio di tette, mozzato dal petto di quel pezzo di fica della sua padrona… Tubino nero aderentissimo, scollatissimo, corto. Le mie chiappe hanno sempre un primo posto nel mondo della sodomìa. Il seno sembrava vero. Sono la donna più splendida. Vogliosa di cazzi.
L’Autista entrò: ”Fuori!” disse. Non mi guardava. Lo precedetti e scendemmo. Mi sentivo perforata dal suo sguardo. Sentii il profumo della sua sborra. In sala, Antonino quasi svenne vedendomi.
“Non ho parole. Hai raggiunto l’assoluta perfezione!”
Mi baciò, lingua in bocca, mentre l’Autista toglieva i tacchi.
“Tra poco lo vedrai. Ti piacerà. 140 chili per 1,98 di altezza. Solo muscoli. E cervello.
Parlammo del più e del meno. Il rumore dell’elicottero era forte. Poco dopo, arrivò. Un Dio. Un Dio perfetto. Viso da maschio inculatore e cazzo sicuramente fuori misura.
Ci presentò: Andrea Felipe era di una galanteria impeccabile, e non smetteva di ammirare il mio corpo.
La cena fu, come sempre, sontuosa. Mangiai tanto. E bevvi. Dal vassoietto sulla tavola da pranzo, tiravo frequentemente righe di coca purissima.
“La tua stanza può accogliere te e Reginella per una pausa ristoratrice Felipe!” Disse Antonino.
“L’appuntamento è per la mezzanotte, nelle segrete. Buon divertimento!”
Mi stava cedendo al suo socio. Mi stava vendendo come una puttana. Ma non mi dispiaceva.
Qualunque decisione del mio Signore era infallibile. E poi, ero curiosa. E poi avevo voglia di cazzo. Antonino ci accompagnò nella stanza riservata al messicano. Entrammo chiudendoci la porta alle spalle. Altra meraviglia di arredamento. Luce soffusa, musica messicana.
Il messicano mi guardava con ingordigia. Pure io lo fissavo. Si spogliò completamente.
Rimasi di sasso nel vedere la perfezione del corpo di quel maschio. La sua verga, non era in erezione. Di più.
Era praticamente verticale, ed era enorme. Azzardai un 30 centimetri per 5 di diametro, ma forse si andava oltre. Guidata da un istinto animalesco, mi inginocchiai in adorazione ed iniziai a spompinarlo. Il nero cazzone pulsava. Il mio buco del culo pulsava. Coccolai l’enorme cappella con la lingua. A due mani sovrapposte menavo quella mirabile nerchia.
Mi buttò a terra. Mi divaricò le natiche e iniziò a pasteggiare con il mio orifizio. Sputava frequentemente sul mio buco del culo e leccava, mangiava, lappava con passione sfrenata. Mi rimise in piedi. Si cosparse l’uccello, compresi gli enormi coglioni, della solita sostanza densa e profumata. Mise i palmi delle mani aperte sotto miei glutei e mi sollevò come un fuscello. Mi aggrappai al suo collo taurino. Strinsi le cosce su quei lombi perfetti. Mi arretrò dolcemente, e infilò l’enorme cappella dentro di me. Spinse subito. In piedi, sostenendomi con una sola mano, iniziò a possedermi. L’imponente cazzo iniziò la monta. Distinguevo benissimo quel randello di 30 centimetri entrare e uscire dal mio buco del culo. Il dolore mi esaltava. Iniziammo un lungo bacio sensuale. I suoi denti lacerarono il mio labbro inferiore e si nutrì del mio sangue.
Gemevo. Urlavo. La femmina perfetta inculata dallo stallone perfetto. Il ritmo aumentò. Ma, nel momento in cui mi aspettavo un torrente di sborra calda nel mio culo, se ne uscì. Mi posizionò ginocchioni sul grande letto e, in piedi sopra di me, fece scivolare l’attrezzo con violenza. La velocità della monta era assurda. Per almeno un quarto d’ora fu velocissimo. Mi colpiva i fianchi con forti pugni, e le natiche con violentissime manate. Mi mancava il respiro. Sborrai, annaffiando con copiosa panna il magnifico letto.
Con uno scatto improvviso uscì. La posizione 69 ci fece nutrire uno dell’altra. Io ero sotto. Mi stava scopando in bocca. Il suo basso e orrido lamento diventò l’urlo feroce di una bestia quando venne.
La quantità di sperma che mi ritrovai in gola, mi fece quasi soffocare. Ingoiai ripetutamente. Leccai, apprezzai il sapore selvatico di quel sommo liquido. In grossi fiocchi bianchi, la sborra non accennava a smettere di uscire dalla gigantesca cappella. Egli, nel frattempo mi divorava il buco del culo.
Urlò nuovamente. L’ultimo schizzo non mi colse impreparata. Mangiai golosamente e gioiosamente.
Sarei stata in grado di bere cinque litri di quello sperma paradisiaco. Ultimai il pasto raccogliendo dal mio collo, dalle mie guance e dagli occhi sborra densa e appiccicosa. Succhiai le dita vogliosa.
Egli fece lo stesso. Raccolse la sborra dal mio cazzo e portò il palmo della mano alla bocca carnosa divorandola. “Si vede che hai già fatto il rito di purificazione Reginella! Ora Azazèl è dentro di te! “ . Aveva ragione. Non ero più la stessa. Qualcosa, nel mio profondo, mi trasmetteva perennemente il bestiale desiderio di godere con i cazzi di tutta l’umanità. “Voglio che tu venga con me a Tijuana tesoro! Sarai la mia Regina! Dovrò convincere Antonino. Quando saremo là, la miglior clinica estetica del Paese ti darà il miglior paio di tette dell’universo. Ti manca solo quello. Per il resto, io non ho mai visto un corpo perfetto come il tuo. Sei da inculare 24 ore al giorno!”. Provai tristezza. Non potevo rinunciare ad Antonino; però, d’altro canto, lo stallone nero che mi stava parlando, sicuramente mi avrebbe convinto.
Tornai nella mia stanza. Il saluto di Felipe fu un lungo bacio appassionato e cannibale. Mi doleva un po’ il labbro inferiore. La ferita perdeva ancora sangue.
Sul letto della mia camera, un nuovo corredo da indossare per mezzanotte. Sul tavolo, pietanze ricercate. Mangiai ancora, bevvi molto, e tirai tre righe.
Il bagno fu ristoratore. Deliziai il mio corpo con una quantità esagerata di creme ed essenze.
Aprii, completamente nuda, le buste del nuovo corredo. Solo pelle nera. Molto sadomaso. Stivali alti sopra il ginocchio. Top cortissimo. Anche il reggicalze e il perizoma erano in pelle. I capelli della parrucca, questa volta, erano più lunghi dei precedenti. Un biglietto di Antonino imponeva, per la “serata”, trucco esclusivamente nero. Continuai la lettura del malvagio libro che mi attendeva sul divano. Completamente nuda, sdraiata di pancia, sentivo ancora pulsare il mio buco del culo. Ripensando alla locomotiva che lo aveva asfaltato con veemenza, mi si riaccendeva il desiderio. Un desiderio cupo e diabolico.
Attendevo con sensuale agitazione lo svolgersi della “serata”. Mi preparai. Feci molta attenzione ad ogni particolare. Il risultato era una femmina carica di un tale erotismo da far cadere in deliquio.
Un non so che di satanico, si mescolava al fisico mozzafiato vestito di quel corredino da vacca in calore.
Tirai abbondantemente. Non avevo nessun timore.
L’Autista entrò. Dopo avermi squadrata, la fronte gli si imperlò di gocce di sudore.
A un suo cenno, uscii e mi incamminai lungo l’ampio corridoio. Passo deciso e lungo. Sculettavo.
Lo sentii bestemmiare alle mie spalle e mi voltai sorridendo. Lui non sorrideva. Sembrava mi odiasse.
Lo scalone ci portò al piano terra. Scendemmo ancora. Una scala illuminata da antiche torce che emanavano profumo di resina ci condusse di fronte ad un enorme portone in ferro. L’autista aprì ed io entrai. Disse: ”Prosegua fino in fondo, Troverà una specie di grotta. Ci deve entrare. Buona serata Reginella!” Senza una parola, obbedii. Dopo circa trenta metri, trovai l’ingresso dell’antro. Senza timore, entrai. Sulla fredda terra battuta, gli alti tacchi mi facevano incespicare. Arrivai ad una porta in bronzo. Era interamente segnata da strani simboli di un tempo passato. Entrai. L’ambiente era caldo e umido. Il pavimento, il soffitto e le pareti in pietra ricordavano la cella di Edmond Dantès. La stanza, circolare, aveva solo un grande nero letto posizionato al centro. Armadi antichi ricoprivano sei metri di parete e, di fronte all’alcova, una struttura in ferro dalla quale pendevano delle catene, serviva ad immobilizzare qualche sventurato ospite. Interessante. Sedetti sul letto dopo aver pippato una lunghissima riga di coca che mi guardava da un vassoio in platino. A gambe divaricate, sentivo il piacevole contatto delle grezze lenzuola che mi solleticavano il buco del culo protetto solo dalla minuscola strisciolina in pelle del perizoma.
Arrivarono. Le due Signore trascinavano un pesante carretto ricolmo di oggetti. Senza degnarmi di uno sguardo, sistemarono sei enormi ceri sul perimetro della stanza. Recitando frasi incomprensibili, li accesero. Il satanico aroma, che ben conoscevo, si sparse per l’ampia spelonca. Gli effluvi mi fecero rizzare in piedi e, respirando a pieni polmoni iniziai a toccarmi, con voluttà, ogni parte del corpo.
Vedevo come doveva essere quel luogo secoli prima. Luogo di piacere e sofferenza. Di presenze demoniache che si erano avvicinate all’Uomo.
Le Signore uscirono. Mi misi sul letto, supina. La testa mi girava. Sentii entrare qualcuno.
Nel vorticare della stanza, davanti a me, potenti, c’erano Antonino e il Messicano. Completamente nudi, portavano solo dei grossi bracciali ai polsi e un collare, ricoperti di borchie acuminate.
Il loro corpo era ricoperto di una sostanza oleosa, lucente e profumata.
I loro cazzi, ritti all’inverosimile e completamente scappellati, fremevano di desiderio. I grossi e altezzosi coglioni facevano intuire al loro interno, una gran quantità di sborra calda pronta a sgorgare.
Mi presero. Mi sollevarono. Cominciarono a baciarmi ovunque. Uno davanti e l’altro dietro, mi facevano vibrare al contatto con le loro meravigliose e bollenti nerchie.
Io, come cagna in calore, gemevo con voce femminea bramando il sesso dei miei due Padroni.
Mi portarono alla struttura con le catene. Serrarono i miei polsi con delle primitive manette e poi, ridendo e manovrando una specie di verricello, misero in tensione le lunghe file di anelli metallici. Ora, le catene mi sostenevano. Si avvicinarono al più grande degli armadi. Lo aprirono ed impugnarono dei corti scudisci. Poi, estratta una statua marmorea che ritraeva un essere mostruoso e malvagio, la misero a terra di fronte e a tre metri da me. Le loro suppliche demoniache iniziarono. Per almeno 15 minuti non sentii altro. La lingua, sconosciuta, mi faceva pensare ai Giardini di Babilonia e a regni scomparsi da millenni.
Quando poi tacquero, sentii distintamente le risa. Provenivano dall’esterno. Risolini di donne. Risolini di puttane vogliose. Entrarono due splendide donne, sui venticinque anni, con un abbigliamento intimo da troie. Anche loro portavano calze, reggicalze e tacchi a spillo. I seni prosperosi, liberi, erano perfettamente sollevati e i turgidi capezzoli evidenziavano un’eccitazione sensazionale. Ridevano ancora. Un riso folle. La più bassa delle due teneva, tra le mani un calice bronzeo di pregevole fattura. Le pietre preziose che lo ricoprivano mi fecero pensare al Santo Graal.
Si fermarono, ossequiosamente, davanti a me. Felipe fu il primo. Alzato lo scudiscio, mi colpì con violenza sui glutei. Urlai dal dolore e dal piacere. il mio cazzo si era fatto strada nel perizoma ed era uscito perfettamente proteso verso l’alto. Una frustata Felipe e una frustata Antonino. Continuarono per dieci minuti. Io urlavo: ” Siiii! Ancora! Mmmmhh! Non vi fermate Padroni!” Il silenzio che seguì, era rotto solo dalle litanie sataniche che tutti ora recitavano. La più piccola delle due ragazze, si avvicinò. Di fronte a me, sollevò il calice. Tutti ora, urlando all’unisono, scandivano un nome: Azazèl! Azazèl! Azazèl!
Mi porse il calice alla bocca. Disse: ”Bevi! Che il nostro Dio e Padrone assoluto entri completamente in te!
La fragranza che mi assalì l’odorato non lasciava dubbi. Sborra. Sborra calda e accattivante. Viste le dimensioni del calice, almeno 15 maschi dovevano aver dato la loro meravigliosa offerta.
Avevo fame. Fame di sperma. Senza indugio, dal calice che si piegava verso la mia bocca vogliosa, cominciai a bere. Avrei voluto trattenere il fiabesco liquido in bocca per assaporarne la densa consistenza e il gusto acre e salato, ma il calice mi costringeva a un veloce ingoio. Vuotai quindi la malefica coppa ripassandomi la lingua all’interno del cavo orale per apprezzare gli ultimi fiocchi di tale prelibatezza. Gli astanti urlavano ancora più forte: “Azazèl! Azazèl! Azazèl!”. Le frustate ricominciarono più forti. Ora, oltre ai due magnifici stalloni, venivo duramente colpita anche dalle due ragazze. Anch’esse impugnavano ora corti scudisci.
Tutto il mio corpo era martoriato dal violento flagellare. La schiena, il culo, le gambe, petto e braccia. Anche il collo non ne era risparmiato. Spesso, un sottile cordino di una frusta si insinuava tra le mie natiche spalancate. Il dolore provato dal mio buco del culo mi eccitava sempre di più.
Si fermarono solo quando il mio corpo era completamente ricoperto di sangue. Non sentivo sofferenza o angoscia. Anzi, il supplizio (complici probabilmente le stupefacenti esalazioni dei ceri) mi aveva trasformata in un qualcosa di coraggioso e determinato. In una ineccepibile vacca da monta. Mi chiedevo quando sarei stata posseduta. Impazzivo dalla brama, anzi dal bisogno di essere contesa dai miei due Signori e Padroni.
Azazèl ascoltò la mia supplica. I due maschi e le due femmine cominciarono a ripulirmi. Le loro lingue, piatte e insistenti, lottavano per sottrarsi a vicenda il caldo e rosso sangue. Bellissimi vampiri mi purificavano. Più ne bevevano e più diventavano forti. La mia anima era fuori dal mio corpo. Ormai mi lasciavo scivolare, sostenuta solo dalle rozze catene. Ma non mi era permesso. Felipe, messa una mano esattamente tra il mio buco del culo e i coglioni che mi sentivo esplodere, mi sollevò. Le mie cosce sulle sue possenti spalle, si aprirono. Mordeva e leccava. Le sue urla ferine mi galvanizzavano. In quella notte perfida avrebbero anche potuto uccidermi. Non mi sarebbe importato. Non avrei mai più potuto, nella mia sordida vita, provare maggior delizia.
Aprii gli occhi. Gli altri tre Demoni urlavano incolleriti: “Anche noi! Anche noi!”. I loro occhi giallo ocra e le pupille a capocchia di spillo, mi guardavano affamati.
Mi sciolsero dalle catene. Mi trovai coperta dai corpi. In preda a violente convulsioni, le due giovani donne ripassavano la loro turgida lingua nell’interno delle mie cosce, me le ritrovavo poi in bocca e subito dopo a cibarsi del mio buco del culo. Antonino, di prepotenza, mi si mise dietro. Un essere umano non può fottere così rapidamente. Accoglievo il cazzo bestemmiando. L’uccello di Felipe mi finì in bocca. Le due donne, una coricata sotto il messicano a lambirgli lo scroto e l’altra a divorare i pieni coglioni di Antonino, ridevano.
Le sborrate furono simultanee. Sborrammo in tre. Contemporaneamente.
Crollai. Ma non era finita. La più piccola delle due diavolesse mi si mise a cavalcioni. Mi stava scopando. Il mio cazzo, ancora duro, apprezzò. L’uccello di Felipe mi tornò in gola mentre quello di Antonino Inculava Crapomena. Notai che l’altra magnifica donna, seduta su una sedia, a gambe spalancate e leggermente sollevate, si stuzzicava clitoride e buco del culo. Urlavamo tutti. Ognuno bestemmiava con perfìdia.
Mi ritrovai anch’io a gridare: “Azazèl! Azazèl! Azazèl!
E quindi, ancora fiumi di sborra. La piccola meravigliosa donna, sussultava in preda ad un feroce orgasmo. Sentii i suoi felici umori inondarmi il cazzo.
E poi… il buio.
Mi svegliai il mattino dopo, nel mio letto. Solito completino intimo da troia, scarpe con tacchi a spillo, e nessun segno sul corpo. La pelle era ancora più liscia e vellutata. Ero un incanto. Sembravo una vergine che aspetta desiderosa il suo primo cazzo. Non sentivo alcun dolore. Da nessuna parte. Gambe, tronco, culo, collo e braccia erano più armoniosi del giorno prima. “Ho sognato..”
Felipe entrò. Guardandomi con desiderio disse: “Ti troverai bene a Tijuana con me. Vedrai…”
reginella2462@virgilio.it
“Aspetti… vado a prendere una cosa che la farà star meglio!”. Si allontanò trotterellando per tornare poco dopo con qualcosa in mano. Mise i quattro ceri ai lati del letto. Li accese. “Ma cosa..?” farfugliai.
“Non si preoccupi. Lei deve rimanere giù. Respiri il profumo dei ceri.. Sa di spezie d’oriente, di foresta pluviale, di deserti scomparsi… vero? Percepii esattamente la descrizione appena fatta. Conoscevo tutte quelle essenze. Mi apparve un mondo fantastico. Planavo su oasi lussureggianti e di fiori odorose. Un rosso cielo metteva straordinariamente in risalto le sagome nere dei minareti e delle genti. Ero calma. In estasi. Il mio corpo si rilassò. Alzai leggermente le natiche. Sentivo che dovevo farlo. C’era il corpo della Signora dietro di me. Arrivò a me un ordine perentorio: mi comandava di sollevare di più il bacino divaricando contemporaneamente le cosce. La lingua della Signora mi stava leccando le ferite. Dai tagli dei miei glutei usciva ancora sangue fresco. La bocca famelica lappava con voracità il mio culo. Mi piaceva. Il dolore era totalmente scomparso e anzi, provavo piacere. Ecco!. Sussultai. Il mio buco del culo pulsava. Rapidamente, la lingua si spostò dalla zona di lavoro al mio orifizio. Prima dolcemente e poi con voracità, iniziò a mangiare. Di tanto in tanto, la lingua, non disdegnava una gran leccata di sangue che le gocciolava vicino. Dopo ogni assaggio del mio rosso fluido, sentivo l’energia di lei aumentare. Ora sembrava volesse entrare tutta in me. La lingua saettante mi entrò nel culo. Ero eccitatissima. Mi stava praticamente mangiando il culo. Stavo venendo. Stavo sborrando. Vidi passare sotto di me, velocissimo, il viso della Signora. Avvinghiandomi l’uccello, lo aveva trascinato alla bocca un decimo di secondo prima che schizzasse un’abbondante fiume di sborra. La Signora, infilatomi un dito medio nell’ano divorava con avidità lo strato di sperma che ricopriva il mio cazzo. Diedi gli ultimi sussulti, deliziando la bocca della Signora con un abbondante secondo spuntino. Ora aveva le mani sulle mie natiche; Recitava una formula in una lingua sconosciuta. Uscì da sotto e tornò ad ultimare il suo fiero pasto. Sentii che ora, tutte le profonde ferite erano lavate e pulite. La pelle era morbida. Lei disse: ”Stia ferma così venti minuti. Dopo le farò vedere com’è migliorato il suo sublime culo.” Mi appisolai. Mi svegliò la Signora impugnando un oggetto. Mi spaventai. Mi tranquillizzò. “Guardi” disse. Stavo vedendo, riflessa nello specchio, una cosa che non poteva essere vera. Stavo sognando.. ecco! No. Non era un sogno. La tenera pelle dei miei glutei era guarita. Non si vedeva alcun segno delle scudisciate. La Signora, cominciò quindi a raccogliere i preziosissimi indumenti che avevo indossato nell’indimenticabile notte precedente. Io dissi: “Ma come ha fatto!!??Me lo deve spiegare!” La Signora rimase imperturbabile e uscì.
Ero a mille! Esisteva quindi veramente una dimensione inconsueta e nascosta ai più! Feci una doccia bollente e poi mi guardai accuratamente nell’enorme specchio del bagno. Nulla. Il mio culo sodo risultava addirittura più tenero e morbido di prima. Entrò la Signora più alta e anziana. Portava al braccio una costosa vestaglia. Mormorò: “abbia la compiacenza di seguirmi nella sua camera. Questa vestaglia la coprirà.” Indossai il pregiato indumento e la seguii fino alla mia stanza. Entrai. Lei tornò indietro. Dovevo fare un’altra doccia. Sotto la cascata d’acqua, pensavo ai misteri del cosmo, alla magia nera e al demonio. Mi asciugai bene e mi cosparsi di profumi costosi. Mi truccai. Misi le calze, il reggicalze e le scarpe tacco alto. Indossai le unghie finte. Rosse. La parrucca ultimò il capolavoro. Ero ancora più bella! Avevo fame. Non avevo mangiato nulla dalla sera precedente. Erano le 15! Per forza ero affamata. Indossai una Tshirt banca che mi copriva a malapena le splendide natiche. Mi sentivo femmina! Totalmente femmina! E avevo voglia di cazzo! Ero la regina di quel fiabesco luogo! La porta non era chiusa a chiave. Uscii nell’ampio corridoio. Scesi lo scalone centrale e camminai verso quella che mi sembrava fosse la zona cucine. Mi aveva guidato l’olfatto, naturalmente. Nell’aria odore di caramello, pane limone e basilico. Nell’aria uva, ginepro, e vino. Entrai in una grande stanza. Oltre alle due Signore c’erano altri cinque uomini, presumibilmente una parte dei guardiani. “Signorina! Cosa fa qui! Le stavo portando qualcosa da mangiare!” “Non si preoccupi” Risposi. “Anzi, se permette, mangio qualcosa dai vassoi. Mangio qui.” E senza attendere risposta, andai decisa ai piatti ricolmi passando, con il mio stupendo profilo, davanti a quei rozzi maschi. Percepii gli sguardi pieni di desiderio. Sentii il lezzo della loro sborra. Sentivo gli odori in una maniera super amplificata. E tutto ciò dopo la sensazionale mangiata di culo della Signora. Il silenzio era perfetto: uniche melodie, il ticchettio dei miei tacchi e il mio masticare.
L’Autista apparve all’improvviso. Nervosissimo. “Lei non deve stare qui! Venga con me! L’accompagno nella sua stanza. Lo seguii. Sentivo la delusione dei rozzi guardiani nel vedermi andare via. Assaggiavo i loro pensieri e i loro umori. Il culo mi pulsava. Entrammo in stanza. L’Autista era fuori se. “Lei non si deve mai allontanare da questa stanza! Ci siamo capiti?” Furioso era ancora più bello. Istintivamente, toccai il dorso della sua mano. La ritrasse goffamente. “E’ impazzita!!? Vuole morire!!? E vuole che muoia anch’io!!?”
“Reginella! Per l’amor di Dio! Non faccia mai più una cosa simile! Lei non sa..”
Scartai un chewin gum e masticai in modo provocante. Lo volevo. Ma sapevo che non si poteva fare. Se ne andò stralunato. Scelsi un film porno. Travestiti in compagnia di maturi superdotati.
Sedetti. Già dalle prime scene (peraltro girate divinamente) la mia mano scivolò sull’uccello. La sega procedeva ad un ritmo costante. Aumentando la frequenza, dopo 15 minuti, sentivo che il mio cazzo sarebbe esploso. Gridai. Gemetti. Bestemmiai. La sborrata mi colpì in pieno viso. I sussulti del mio corpo diminuivano. Con le dita, raccolsi i candidi fiocchi e avidamente me ne nutrii.
Aprii la finestra. Un turbinio di essenze fulminò il mio odorato: Salvia, limoni, e rose.
Amavo quel luogo. Lì, mi ero ricongiunta a madre terra.
Ero innamorata di me. Narciso in Terra Calabra. Mi piacevo, e volevo far godere il mio corpo, con continue emozioni.
Non mi ero mai sentita così vacca. Così affamata. Così desiderabile.
Volevo restare lì. Volevo essere la Regina della casa. Per sempre.
Nell’angolo dell’immenso tavolo, il vassoio con la polvere bianca mi chiamava a se.
Dieci righe già pronte. Perfette. Chi aveva riordinato la stanza, mi aveva omaggiato di rose rosse e cocaina.
Tirai. Il mondo era mio! Tutto!
Il film ripartì. Provavo invidia per quelle troie che prendevano giganteschi uccelli ovunque.
Antonino entrò senza bussare.
Sedette vicino a me e mi baciò sulla guancia. “Cosa guardi tesoro?” disse. “Ah! È uno dei miei preferiti! Abbiamo gli stessi gusti!”. Porto a sé il vassoio e tirò tre volte.
“Sei fortunata sai, Reginella?” “Davvero?” Risposi.
“Se mi viene riferito ancora una volta che sei in una zona del castello che non sia questa stanza, ti uccido”.
Non avevo paura. Ma sapevo che parlava sul serio.
“Mi perdoni Padrone. Non succederà più”.
Si ammorbidì. Cominciò a leccarmi un orecchio. La sua lingua si insinuò con voluttà tra le mie labbra. Le lingue combattevano con lunghi abbracci. Si spogliò. Ammirò le mie natiche levigate dicendo: “Crapomena è fantastica. Hai visto? E’ scomparso tutto.”
“E’ la migliore”.
Sdraiata di pancia, ammiravo quello splendore. Il simbolo della virilità e della divinità del maschio. IL CAZZO! Si ergeva arrogante, mettendo in bella evidenza, la rosea, gonfia cappella che mi sarebbe scivolata in bocca di lì a poco. Avida, iniziai a succhiare. Lui iniziò a parlare: “ Continua a succhiare puttanella! Mentre spompini ti faccio un discorsetto. C’è una novità: non sei sufficientemente purificata. Il mio Dio, Signore e Onnipotente, Azazèl, vuole che facciamo altri riti” . L’eccitazione che si impadronì di me, mi fece ulteriormente apprezzare l’enorme nerchia che coccolavo in bocca. Aumentai la velocità nella succhiata.
“Sei d’accordo VACCA .. eh..?” Il suo cazzo scivolò fuori dalla mia bocca bollente. Mi fece mettere a pecorina. Il mio buco del culo attendeva trepidante il duro manganello che l’avrebbe violato.
Inserì dolcemente la grossa cappella. Solo quella. Era immobile. Io aspettavo. I minuti trascorrevano lenti. Non potevo restare in quella condizione.
Non riuscii a tacere. “Padrone! La prego! Impazzisco dalla voglia! Mi deve inculare! Mi fotta! Forte! Farò tutto quello che vuole!”
“Proprio questo volevo sentirti dire troietta!” E la sua risata satanica echeggiò nella stanza.
Spinse sino in fondo. Sentivo i grossi e pieni coglioni solleticarmi piacevolmente. Iniziò subito molto velocemente. Mi stava fottendo. Io urlavo: “Mi fotta padrone! Non smetta! La prego”. Gli schiaffi sui glutei arrivavano potenti. Una scossa che mi faceva sobbalzare accogliendo sempre più in profondità il divino arnese. Si sollevò, potente, invincibile e maschio. Le sue urla di piacere sovrastavano le mie. Due maiali. Due porci insaziabili. All’urlo “T’inculoooo troia!!!!” venne. Venni contemporaneamente a lui. Il mio padrone. Il mio uomo. Effluvi di sperma, mi facevano venire l’acquolina in bocca. Uscì da me e io, servizievole e innamorata, pasteggiavo con la lunga colata di sborra bollente.
Quella notte dormii profondamente. Ma fu un sonno popolato di strani sogni. Esseri soprannaturali mi cercavano. E io cercavo loro. Urla demoniache risuonavano nella mia testa. Ma forse erano reali e arrivavano da lontano; da un’ala lontana dell’enorme dimora.
Il mattino mi vide in piena forma. Dopo un lunghissimo bagno, mi specchiai incuriosita. Mi vidi più bella, più tonica, più femmina. Più dolce e tenera.
La pelle del mio corpo sembrava più giovane e morbida. Il mio portamento era ora totalmente femmineo. Anche la mia voce aveva un’intonazione più sensuale e ricca di fascino.
Mio Dio! Cosa mi stava succedendo?
Mi rivestii. Cambiai l’intimo. Scelsi il bianco. Calze autoreggenti bianche, scarpe tacco 12 bianche. Mi coprii con un’altra maglietta pulita. Bianca. Mi cosparsi di essenze e mi truccai.
Avevo ancora voglia di uccello. La voglia non mi lasciava praticamente mai.
Ma non potevo lasciare la stanza. E avevo appetito.
Entrò l’Autista. Elegantissimo.
Con quel pusillanime tirapiedi non sarei arrivata a nulla, lo sapevo. Era talmente terrorizzato dal Padrone, che non gli si sarebbe rizzato il cazzo. Però mi ci potevo divertire…
“Il padrone la vuole a pranzo, Reginella. Tra due ore l’aspetta in sala. Tra un’ora e cinquanta minuti la scorterò da lui. Può restare vestita così com’è. Può andare”.
“Allora abbiamo tempo!” Esclamai.
“Si rilassi Autista!. Anzi, sieda qui”. E accarezzai la pelle del divano.
“La smetta! Non mi è permesso! Allora non ha capito nulla!”
Mi coricai sul fianco con fare lascivo. La maglietta si sollevò mettendo in luce il mio culo da sogno.
Percepii la reazione dell’Autista. Dentro di lui stava combattendo una dura lotta. Si tratteneva dal montarmi.
“Pensavo di piacerle almeno un pochino…” piagnucolai.
Abbassò la voce. Bisbigliò: “Si sposti nell’angolo a destra della stanza”. Ubbidii, senza capirne il motivo.
Lui mi seguì con naturalezza. Disse a bassissima voce: ”Questo è un punto dove le telecamere non vedono e i microfoni non sentono. O almeno lo spero. Non dobbiamo rimanere qui più di due minuti. Anzi, qualcuno mi chiederà il motivo per cui ci siamo spostati qui. Inventerò qualcosa… Reginella: il mio unico desiderio da quando ti ho vista, è di mettertelo in culo. Tutto. Sei un essere divino. Penso che potrei fotterti e poi morire. Avrei avuto tutto dalla vita. Ma non posso. La nostra non sarebbe una morte veloce; ma lenta e crudele. Dio! Ti sogno tutte le notti! Ma ora basta. Torniamo verso il divano. Dirò che ti ho aiutata a cercare un orecchino che avevi perso”.
Resistetti alla fortissima tentazione di aprirgli la patta e di divorargli l’uccello con scorpacciata finale di sborra. Dal grosso rigonfiamento che mostrava al di sotto della cintura, intuivo che mi trovavo di fronte ad un altro grosso arnese. Anche ora, nuovamente, distinguevo perfettamente il pungente odore emanato dal suo cazzo. Il culo mi pulsava.
“Ma come ti chiami?” Chiesi. “Autista! Per lei, Reginella, sono solamente l’Autista”. Lo disse ad alta voce, come per farsi sentire da altri in ascolto.
Uscì veloce. Presi un antico tomo dalla biblioteca: “Libro antico di magia, stregoneria e occultismo; esoterismo rituali grimorio pratico. 1657”.
Fantastico. Un’autentica rarità.
Mi persi nella lettura di quel libro sciagurato. Poi dormii.
Tornò l’Autista. Disse: “Presto! Dobbiamo andare!” Mi svegliai di soprassalto. “Un attimo. Mi devo rifare il trucco…” “Due minuti! ( Urlò..) “Non di più”.
Fui veloce. Ora ero presentabilissima. Uscimmo dalla stanza. Grande corridoio e poi giù dalla scala centrale. Altezzosa, mi beavo sui tacchi come un'adolescente in calore. Sulla mia pelle, lo strusciare della maglietta eccitava ogni mia fibra nervosa.
Il gran mio culo, alto, pronunciato e voglioso richiamava presenze nascoste in quel luogo. Cento occhi mi stavano osservando.
In sala da pranzo, Antonino (il mio padrone), sedeva magnifico a gambe divaricate. L’Autista scostò la sedia e mi fece accomodare. In modo gentile. Accavallai le gambe: “Mio Signore e padrone! Sono felice di vederla! Felice ed eccitata….” E feci ruotare la lingua sulle labbra. “Puoi andare Autista! Cosa guardi?”Il tono era furioso. L’altro, visibilmente spaventato, sparì.
Si avvicinò a me. Mi abbracciò una coscia. Profumava. Di alcol. La sua mano scivolò a toccare il mio buco del culo che pulsava furiosamente. Il dito medio entrò prepotentemente. Godevo! Si fermò. Lo tolse e lo succhiò, goloso. Mi fece alzare e mi portò verso un secondo tavolo al centro del quale, uno splendido vassoio ricolmo di coca, mi fece ricordare che volevo pippare alla grande. Tre righe a testa ci sballarono. Ricordo solo la mano del mio stallone prendere il lembo della tovaglia. Trascinare tutto giù dal tavolo e mettermi di schiena sul freddo legno. Mi tolse una scarpa. Mi sfilò la calza. Cominciò a succhiarmi le dita del piede. La sua lingua rude giocherellava tra le mie dita. Sussultai. La leccata arrivò fino al mio buco del culo.
Paradiso e delizia. Lo volevo. Era mio. Il mio crudele Signore e Padrone. Con mia gioia si alzò. Slacciò i pantaloni liberando un animale talmente grosso e duro che volli essere domata. Mi inculò velocemente. Le mie cosce spalancate, erano avvinghiate a quei lombi maligni. Sentivo chiaramente i divini coglioni schiaffeggiare i contorni del mio buco del culo totalmente riempito di svariati etti di carne viva.
Mi girò. La vorace bocca lappava con energia ogni angolo del mio orifizio. “Mettiamoci sul divano” disse. Spostandoci verso il divano, tirammo ancora polvere bianca. Mi fece inginocchiare pancia contro lo schienale. Si spogliò. Sentii il suo corpo fremente sopra di me: come un perfetto siluro lo straordinario cazzo mi entrò, dall’alto. Il cavaliere che mi stava domando era sempre lui.
Lo amavo.
La nerchia arrivò sino in fondo. Sembrava che volesse far entrare anche i potenti coglioni. Lanciai un urlo. Un urlo di donna! Perfetto. Montandomi con cattiveria ben saldo sui piedi, ruggiva insulti e bestemmie. Schiaffi potentissimi colpivano i miei glutei. Gemette. “Eccomi” disse. Il potente schizzo mi fece sborrare. Venimmo insieme. Una cosa unica. Un unico organismo. Sussultavamo entrambi. Il meraviglioso uccellone migrò alla mia bocca. Golosa e veloce lo ripulii. E pranzai con sborra fresca di giornata.
“Cazzo che montata!” urlò. Appena ti ho vista il mio cazzo ti voleva subito ”. Sei bellissima. Molto meglio di quando sei arrivata. Mi fai godere come un toro che monta la sua vacca. Tu sei la mia vacca vero?” “Padrone..” dissi. “Io sono la Sua vacca da monta. Sono la Sua troia maiala. Non desidero altro che il Suo membro. Sono la Sua rispettosa schiava, e Lei può disporre di me come crede”. Prima non credevo in nulla. Ora credo in Lei! La amo….”
“Bene Tesoro…. Ora parliamo di cose serie. Stammi bene a sentire. Stasera arriva Andrea Felipe. Direttamente da Tijuana. Lo devi stregare. Dai il meglio di te stessa. Devi dare tutta la tua sensualità e bellezza per farlo felice. E’ un importante alleato. Dopo ti darò il voto. Da 1 a 100. Un buon punteggio ti assicura un regalino da parte mia”.
Annuii. Ti farò portare in camera l’abbigliamento che indosserai stasera. Quello lo scelgo sempre io. “
Andò via. Rimasi qualche minuto a sgranocchiare affamatissima, pane, salumi e formaggi che raccoglievo avida dal pavimento. Cose da schiave.
Mi apparve di fronte. Serio. Impeccabile. L’Autista.
Nella mia stanza, mi addormentai. Sognai orge, sognai dominazioni. Sognai grandi cazzi duri che mi prendevano ovunque.
La più alta delle due Signore entrò. Mise sul letto il corredo scelto da Antonino e prima di uscire sentenziò: “ Il signore la aspetta giù per le 20. L’ospite arriverà alle 21. L’Autista la scorterà in sala da pranzo”:
Aprii le buste con il corredo. Sussulltai di gioia. “Che raffinatezza. Che meraviglia… Antonino TI AMO!!!!” Fui precisissima nella mia pulizia. Bagno, doccia e unghie nuove. Creme, balsami pregiati e profumo. Tantissimo.
Calze. Mai viste di questa fattura. Reggicalze da vera troia. Essenziale. Tempestato di pietre, questa volta diamanti! Parrucca nera sbarazzina, scarpe finissime. Con struttura alta e pochissimo materiale. Dei piedi nudi con il tacco. Seno in lattice. Sembrava un vero paio di tette, mozzato dal petto di quel pezzo di fica della sua padrona… Tubino nero aderentissimo, scollatissimo, corto. Le mie chiappe hanno sempre un primo posto nel mondo della sodomìa. Il seno sembrava vero. Sono la donna più splendida. Vogliosa di cazzi.
L’Autista entrò: ”Fuori!” disse. Non mi guardava. Lo precedetti e scendemmo. Mi sentivo perforata dal suo sguardo. Sentii il profumo della sua sborra. In sala, Antonino quasi svenne vedendomi.
“Non ho parole. Hai raggiunto l’assoluta perfezione!”
Mi baciò, lingua in bocca, mentre l’Autista toglieva i tacchi.
“Tra poco lo vedrai. Ti piacerà. 140 chili per 1,98 di altezza. Solo muscoli. E cervello.
Parlammo del più e del meno. Il rumore dell’elicottero era forte. Poco dopo, arrivò. Un Dio. Un Dio perfetto. Viso da maschio inculatore e cazzo sicuramente fuori misura.
Ci presentò: Andrea Felipe era di una galanteria impeccabile, e non smetteva di ammirare il mio corpo.
La cena fu, come sempre, sontuosa. Mangiai tanto. E bevvi. Dal vassoietto sulla tavola da pranzo, tiravo frequentemente righe di coca purissima.
“La tua stanza può accogliere te e Reginella per una pausa ristoratrice Felipe!” Disse Antonino.
“L’appuntamento è per la mezzanotte, nelle segrete. Buon divertimento!”
Mi stava cedendo al suo socio. Mi stava vendendo come una puttana. Ma non mi dispiaceva.
Qualunque decisione del mio Signore era infallibile. E poi, ero curiosa. E poi avevo voglia di cazzo. Antonino ci accompagnò nella stanza riservata al messicano. Entrammo chiudendoci la porta alle spalle. Altra meraviglia di arredamento. Luce soffusa, musica messicana.
Il messicano mi guardava con ingordigia. Pure io lo fissavo. Si spogliò completamente.
Rimasi di sasso nel vedere la perfezione del corpo di quel maschio. La sua verga, non era in erezione. Di più.
Era praticamente verticale, ed era enorme. Azzardai un 30 centimetri per 5 di diametro, ma forse si andava oltre. Guidata da un istinto animalesco, mi inginocchiai in adorazione ed iniziai a spompinarlo. Il nero cazzone pulsava. Il mio buco del culo pulsava. Coccolai l’enorme cappella con la lingua. A due mani sovrapposte menavo quella mirabile nerchia.
Mi buttò a terra. Mi divaricò le natiche e iniziò a pasteggiare con il mio orifizio. Sputava frequentemente sul mio buco del culo e leccava, mangiava, lappava con passione sfrenata. Mi rimise in piedi. Si cosparse l’uccello, compresi gli enormi coglioni, della solita sostanza densa e profumata. Mise i palmi delle mani aperte sotto miei glutei e mi sollevò come un fuscello. Mi aggrappai al suo collo taurino. Strinsi le cosce su quei lombi perfetti. Mi arretrò dolcemente, e infilò l’enorme cappella dentro di me. Spinse subito. In piedi, sostenendomi con una sola mano, iniziò a possedermi. L’imponente cazzo iniziò la monta. Distinguevo benissimo quel randello di 30 centimetri entrare e uscire dal mio buco del culo. Il dolore mi esaltava. Iniziammo un lungo bacio sensuale. I suoi denti lacerarono il mio labbro inferiore e si nutrì del mio sangue.
Gemevo. Urlavo. La femmina perfetta inculata dallo stallone perfetto. Il ritmo aumentò. Ma, nel momento in cui mi aspettavo un torrente di sborra calda nel mio culo, se ne uscì. Mi posizionò ginocchioni sul grande letto e, in piedi sopra di me, fece scivolare l’attrezzo con violenza. La velocità della monta era assurda. Per almeno un quarto d’ora fu velocissimo. Mi colpiva i fianchi con forti pugni, e le natiche con violentissime manate. Mi mancava il respiro. Sborrai, annaffiando con copiosa panna il magnifico letto.
Con uno scatto improvviso uscì. La posizione 69 ci fece nutrire uno dell’altra. Io ero sotto. Mi stava scopando in bocca. Il suo basso e orrido lamento diventò l’urlo feroce di una bestia quando venne.
La quantità di sperma che mi ritrovai in gola, mi fece quasi soffocare. Ingoiai ripetutamente. Leccai, apprezzai il sapore selvatico di quel sommo liquido. In grossi fiocchi bianchi, la sborra non accennava a smettere di uscire dalla gigantesca cappella. Egli, nel frattempo mi divorava il buco del culo.
Urlò nuovamente. L’ultimo schizzo non mi colse impreparata. Mangiai golosamente e gioiosamente.
Sarei stata in grado di bere cinque litri di quello sperma paradisiaco. Ultimai il pasto raccogliendo dal mio collo, dalle mie guance e dagli occhi sborra densa e appiccicosa. Succhiai le dita vogliosa.
Egli fece lo stesso. Raccolse la sborra dal mio cazzo e portò il palmo della mano alla bocca carnosa divorandola. “Si vede che hai già fatto il rito di purificazione Reginella! Ora Azazèl è dentro di te! “ . Aveva ragione. Non ero più la stessa. Qualcosa, nel mio profondo, mi trasmetteva perennemente il bestiale desiderio di godere con i cazzi di tutta l’umanità. “Voglio che tu venga con me a Tijuana tesoro! Sarai la mia Regina! Dovrò convincere Antonino. Quando saremo là, la miglior clinica estetica del Paese ti darà il miglior paio di tette dell’universo. Ti manca solo quello. Per il resto, io non ho mai visto un corpo perfetto come il tuo. Sei da inculare 24 ore al giorno!”. Provai tristezza. Non potevo rinunciare ad Antonino; però, d’altro canto, lo stallone nero che mi stava parlando, sicuramente mi avrebbe convinto.
Tornai nella mia stanza. Il saluto di Felipe fu un lungo bacio appassionato e cannibale. Mi doleva un po’ il labbro inferiore. La ferita perdeva ancora sangue.
Sul letto della mia camera, un nuovo corredo da indossare per mezzanotte. Sul tavolo, pietanze ricercate. Mangiai ancora, bevvi molto, e tirai tre righe.
Il bagno fu ristoratore. Deliziai il mio corpo con una quantità esagerata di creme ed essenze.
Aprii, completamente nuda, le buste del nuovo corredo. Solo pelle nera. Molto sadomaso. Stivali alti sopra il ginocchio. Top cortissimo. Anche il reggicalze e il perizoma erano in pelle. I capelli della parrucca, questa volta, erano più lunghi dei precedenti. Un biglietto di Antonino imponeva, per la “serata”, trucco esclusivamente nero. Continuai la lettura del malvagio libro che mi attendeva sul divano. Completamente nuda, sdraiata di pancia, sentivo ancora pulsare il mio buco del culo. Ripensando alla locomotiva che lo aveva asfaltato con veemenza, mi si riaccendeva il desiderio. Un desiderio cupo e diabolico.
Attendevo con sensuale agitazione lo svolgersi della “serata”. Mi preparai. Feci molta attenzione ad ogni particolare. Il risultato era una femmina carica di un tale erotismo da far cadere in deliquio.
Un non so che di satanico, si mescolava al fisico mozzafiato vestito di quel corredino da vacca in calore.
Tirai abbondantemente. Non avevo nessun timore.
L’Autista entrò. Dopo avermi squadrata, la fronte gli si imperlò di gocce di sudore.
A un suo cenno, uscii e mi incamminai lungo l’ampio corridoio. Passo deciso e lungo. Sculettavo.
Lo sentii bestemmiare alle mie spalle e mi voltai sorridendo. Lui non sorrideva. Sembrava mi odiasse.
Lo scalone ci portò al piano terra. Scendemmo ancora. Una scala illuminata da antiche torce che emanavano profumo di resina ci condusse di fronte ad un enorme portone in ferro. L’autista aprì ed io entrai. Disse: ”Prosegua fino in fondo, Troverà una specie di grotta. Ci deve entrare. Buona serata Reginella!” Senza una parola, obbedii. Dopo circa trenta metri, trovai l’ingresso dell’antro. Senza timore, entrai. Sulla fredda terra battuta, gli alti tacchi mi facevano incespicare. Arrivai ad una porta in bronzo. Era interamente segnata da strani simboli di un tempo passato. Entrai. L’ambiente era caldo e umido. Il pavimento, il soffitto e le pareti in pietra ricordavano la cella di Edmond Dantès. La stanza, circolare, aveva solo un grande nero letto posizionato al centro. Armadi antichi ricoprivano sei metri di parete e, di fronte all’alcova, una struttura in ferro dalla quale pendevano delle catene, serviva ad immobilizzare qualche sventurato ospite. Interessante. Sedetti sul letto dopo aver pippato una lunghissima riga di coca che mi guardava da un vassoio in platino. A gambe divaricate, sentivo il piacevole contatto delle grezze lenzuola che mi solleticavano il buco del culo protetto solo dalla minuscola strisciolina in pelle del perizoma.
Arrivarono. Le due Signore trascinavano un pesante carretto ricolmo di oggetti. Senza degnarmi di uno sguardo, sistemarono sei enormi ceri sul perimetro della stanza. Recitando frasi incomprensibili, li accesero. Il satanico aroma, che ben conoscevo, si sparse per l’ampia spelonca. Gli effluvi mi fecero rizzare in piedi e, respirando a pieni polmoni iniziai a toccarmi, con voluttà, ogni parte del corpo.
Vedevo come doveva essere quel luogo secoli prima. Luogo di piacere e sofferenza. Di presenze demoniache che si erano avvicinate all’Uomo.
Le Signore uscirono. Mi misi sul letto, supina. La testa mi girava. Sentii entrare qualcuno.
Nel vorticare della stanza, davanti a me, potenti, c’erano Antonino e il Messicano. Completamente nudi, portavano solo dei grossi bracciali ai polsi e un collare, ricoperti di borchie acuminate.
Il loro corpo era ricoperto di una sostanza oleosa, lucente e profumata.
I loro cazzi, ritti all’inverosimile e completamente scappellati, fremevano di desiderio. I grossi e altezzosi coglioni facevano intuire al loro interno, una gran quantità di sborra calda pronta a sgorgare.
Mi presero. Mi sollevarono. Cominciarono a baciarmi ovunque. Uno davanti e l’altro dietro, mi facevano vibrare al contatto con le loro meravigliose e bollenti nerchie.
Io, come cagna in calore, gemevo con voce femminea bramando il sesso dei miei due Padroni.
Mi portarono alla struttura con le catene. Serrarono i miei polsi con delle primitive manette e poi, ridendo e manovrando una specie di verricello, misero in tensione le lunghe file di anelli metallici. Ora, le catene mi sostenevano. Si avvicinarono al più grande degli armadi. Lo aprirono ed impugnarono dei corti scudisci. Poi, estratta una statua marmorea che ritraeva un essere mostruoso e malvagio, la misero a terra di fronte e a tre metri da me. Le loro suppliche demoniache iniziarono. Per almeno 15 minuti non sentii altro. La lingua, sconosciuta, mi faceva pensare ai Giardini di Babilonia e a regni scomparsi da millenni.
Quando poi tacquero, sentii distintamente le risa. Provenivano dall’esterno. Risolini di donne. Risolini di puttane vogliose. Entrarono due splendide donne, sui venticinque anni, con un abbigliamento intimo da troie. Anche loro portavano calze, reggicalze e tacchi a spillo. I seni prosperosi, liberi, erano perfettamente sollevati e i turgidi capezzoli evidenziavano un’eccitazione sensazionale. Ridevano ancora. Un riso folle. La più bassa delle due teneva, tra le mani un calice bronzeo di pregevole fattura. Le pietre preziose che lo ricoprivano mi fecero pensare al Santo Graal.
Si fermarono, ossequiosamente, davanti a me. Felipe fu il primo. Alzato lo scudiscio, mi colpì con violenza sui glutei. Urlai dal dolore e dal piacere. il mio cazzo si era fatto strada nel perizoma ed era uscito perfettamente proteso verso l’alto. Una frustata Felipe e una frustata Antonino. Continuarono per dieci minuti. Io urlavo: ” Siiii! Ancora! Mmmmhh! Non vi fermate Padroni!” Il silenzio che seguì, era rotto solo dalle litanie sataniche che tutti ora recitavano. La più piccola delle due ragazze, si avvicinò. Di fronte a me, sollevò il calice. Tutti ora, urlando all’unisono, scandivano un nome: Azazèl! Azazèl! Azazèl!
Mi porse il calice alla bocca. Disse: ”Bevi! Che il nostro Dio e Padrone assoluto entri completamente in te!
La fragranza che mi assalì l’odorato non lasciava dubbi. Sborra. Sborra calda e accattivante. Viste le dimensioni del calice, almeno 15 maschi dovevano aver dato la loro meravigliosa offerta.
Avevo fame. Fame di sperma. Senza indugio, dal calice che si piegava verso la mia bocca vogliosa, cominciai a bere. Avrei voluto trattenere il fiabesco liquido in bocca per assaporarne la densa consistenza e il gusto acre e salato, ma il calice mi costringeva a un veloce ingoio. Vuotai quindi la malefica coppa ripassandomi la lingua all’interno del cavo orale per apprezzare gli ultimi fiocchi di tale prelibatezza. Gli astanti urlavano ancora più forte: “Azazèl! Azazèl! Azazèl!”. Le frustate ricominciarono più forti. Ora, oltre ai due magnifici stalloni, venivo duramente colpita anche dalle due ragazze. Anch’esse impugnavano ora corti scudisci.
Tutto il mio corpo era martoriato dal violento flagellare. La schiena, il culo, le gambe, petto e braccia. Anche il collo non ne era risparmiato. Spesso, un sottile cordino di una frusta si insinuava tra le mie natiche spalancate. Il dolore provato dal mio buco del culo mi eccitava sempre di più.
Si fermarono solo quando il mio corpo era completamente ricoperto di sangue. Non sentivo sofferenza o angoscia. Anzi, il supplizio (complici probabilmente le stupefacenti esalazioni dei ceri) mi aveva trasformata in un qualcosa di coraggioso e determinato. In una ineccepibile vacca da monta. Mi chiedevo quando sarei stata posseduta. Impazzivo dalla brama, anzi dal bisogno di essere contesa dai miei due Signori e Padroni.
Azazèl ascoltò la mia supplica. I due maschi e le due femmine cominciarono a ripulirmi. Le loro lingue, piatte e insistenti, lottavano per sottrarsi a vicenda il caldo e rosso sangue. Bellissimi vampiri mi purificavano. Più ne bevevano e più diventavano forti. La mia anima era fuori dal mio corpo. Ormai mi lasciavo scivolare, sostenuta solo dalle rozze catene. Ma non mi era permesso. Felipe, messa una mano esattamente tra il mio buco del culo e i coglioni che mi sentivo esplodere, mi sollevò. Le mie cosce sulle sue possenti spalle, si aprirono. Mordeva e leccava. Le sue urla ferine mi galvanizzavano. In quella notte perfida avrebbero anche potuto uccidermi. Non mi sarebbe importato. Non avrei mai più potuto, nella mia sordida vita, provare maggior delizia.
Aprii gli occhi. Gli altri tre Demoni urlavano incolleriti: “Anche noi! Anche noi!”. I loro occhi giallo ocra e le pupille a capocchia di spillo, mi guardavano affamati.
Mi sciolsero dalle catene. Mi trovai coperta dai corpi. In preda a violente convulsioni, le due giovani donne ripassavano la loro turgida lingua nell’interno delle mie cosce, me le ritrovavo poi in bocca e subito dopo a cibarsi del mio buco del culo. Antonino, di prepotenza, mi si mise dietro. Un essere umano non può fottere così rapidamente. Accoglievo il cazzo bestemmiando. L’uccello di Felipe mi finì in bocca. Le due donne, una coricata sotto il messicano a lambirgli lo scroto e l’altra a divorare i pieni coglioni di Antonino, ridevano.
Le sborrate furono simultanee. Sborrammo in tre. Contemporaneamente.
Crollai. Ma non era finita. La più piccola delle due diavolesse mi si mise a cavalcioni. Mi stava scopando. Il mio cazzo, ancora duro, apprezzò. L’uccello di Felipe mi tornò in gola mentre quello di Antonino Inculava Crapomena. Notai che l’altra magnifica donna, seduta su una sedia, a gambe spalancate e leggermente sollevate, si stuzzicava clitoride e buco del culo. Urlavamo tutti. Ognuno bestemmiava con perfìdia.
Mi ritrovai anch’io a gridare: “Azazèl! Azazèl! Azazèl!
E quindi, ancora fiumi di sborra. La piccola meravigliosa donna, sussultava in preda ad un feroce orgasmo. Sentii i suoi felici umori inondarmi il cazzo.
E poi… il buio.
Mi svegliai il mattino dopo, nel mio letto. Solito completino intimo da troia, scarpe con tacchi a spillo, e nessun segno sul corpo. La pelle era ancora più liscia e vellutata. Ero un incanto. Sembravo una vergine che aspetta desiderosa il suo primo cazzo. Non sentivo alcun dolore. Da nessuna parte. Gambe, tronco, culo, collo e braccia erano più armoniosi del giorno prima. “Ho sognato..”
Felipe entrò. Guardandomi con desiderio disse: “Ti troverai bene a Tijuana con me. Vedrai…”
reginella2462@virgilio.it
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