Avventura folle (parte 3)
di
Kugher
genere
sadomaso
Sorrise di sé in quanto si aspettava di entrare in una reception.
In realtà era un'ala dedicata al ricevimento, ricavata nella casa padronale, quella che nel tempo in cui quella era una fattoria, doveva essere l’abitazione del proprietario.
C’erano anche altri tipi di abitazione che, dalla collocazione, si capiva che erano stati destinati ai lavoratori. Queste ultime all’esterno erano trascurate e bisognose di manutenzione, al pari del resto del casale.
Si ritrovò in una ampia stanza. Venne accarezzata dal fresco, stupendosi di trovare un condizionatore in quel posto che sapeva di vecchio, più che di antico.
In realtà non vide split di alcun tipo ma, invece, notò lo spessore dei muri, probabilmente fatti in sasso, che mantenevano abbastanza fresco l’ambiente proteggendolo dal caldo esterno.
Benché ormai fosse decisa a proseguire, anzi, a intraprendere quell’avventura erotica, aveva ancora quel senso che coglie quando ci si avvia verso qualcosa di voluto ma ancora ignoto.
Si ricordava perfettamente le istruzioni ma, appena entrata, ebbe confusione nella testa.
Sapeva che doveva inginocchiarsi al centro e così fece. La testa però le comunicava un errore. Venne presa dal panico e dall’ansia e la testa ebbe un vuoto nei pensieri. Il cuore iniziò a battere in quanto si sentiva già in inferiorità in quella situazione, senza sapere quali sarebbero state le conseguenze di un errore.
Prima che arrivasse il Padrone (non sapeva come chiamarlo) il cervello, recuperata un poco di lucidità, le fece ricordare la comunicazione con la quale le veniva ordinato di farsi trovare nuda.
Si alzò trafelata, presa dall’ansia per il tempo trascorso a guardare le cavalle prima e la cagna poi.
Si spogliò e cercò di mettere gli abiti abbastanza in ordine. Sapeva benissimo che l'abbigliamento sexy non sarebbe servito a nulla se non a lei stessa per piacersi e per ricordarsi che stava andando in quel posto strano, del quale era venuta a conoscenza tramite un canale molto particolare.
Quando aveva avuto la notizia della sua esistenza era rimasta senza parole e al suo interlocutore aveva chiesto se stesse scherzando. La sua espressione sopperì alla mancanza di risposta.
“Perché mi dici che esiste un posto simile?”
“Perché sono sicuro che mi chiederai di introdurti”.
L’aveva lasciata ancora senza parole e si era allontanato, lasciandola da sola e travolta da mille immagini.
Era passato un mese prima che si fosse decisa di chiedergli di raccomandarla.
“Riceverai istruzioni”.
“Troverò te, là dentro?”
“No, è fatto divieto incontrare qualcuno che si conosce, te l'avevo detto”.
Il mese trascorso in attesa della risposta era pieno di immagini e di fantasie erotiche, quelle che aveva sempre avuto ma mai vissute: la schiavitù totale in cui sarebbe stata solo un oggetto di lavoro o di servizio o di piacere o tutte queste cose.
Solo chi era raccomandato da persone fidate poteva essere ammesso come schiava (o schiavo) o come Dominante.
Una volta entrati nel girone delle fantasie estreme, quelle che albergano nel più profondo dell’anima, non sarebbe stato possibile negare nulla.
Non c’erano scelte: chi si proponeva in un ruolo di sottomissione avrebbe dovuto accettare tutto ciò che il Dominante avrebbe voluto.
Era questa la liberazione delle fantasie: non si sarebbe stati schiavi o schiave per gioco ma, nel tempo concordato, chi si fosse ceduta come schiava o schiavo, tale sarebbe stato.
La durata era l’unica opzione disponibile.
Alla parete vide una sola fotografia che ritraeva una ragazza magra, bionda, prostrata nel cortile in terra battuta, nuda, davanti ad un uomo vestito come un contadino, che teneva sulla schiena della donna una scarpa tipica da contadino.
In alto, sul margine destro, era annotato solo un numero che poteva essere tranquillamente la data in cui era stata scattata e che risaliva a 8 anni addietro.
Il tempo le parve infinito prima che sentisse i passi sicuri di qualcuno che camminava sul tavolato all’esterno, dopo avere fatto i tre gradini che separavano il portico dal cortile che era ancora come in foto, in terra battuta.
Il cuore sembrava volesse uscirle dal petto e le procurò un forte fischio alle orecchie.
La porta si aprì con un piglio deciso, tipico di colui che sa che sta entrando in casa propria dove troverà una persona che saprà di essere in casa altrui per consegnarsi schiava.
Ileana venne colta dall’ulteriore ricordo che, sino a quel momento, le era rimasto latente.
Abbassò il busto fino a posare la fronte a terra, su un pavimento che evidentemente vedeva il Padrone entrare di frequente con le scarpe con le quali aveva camminato nel cortile.
In realtà era un'ala dedicata al ricevimento, ricavata nella casa padronale, quella che nel tempo in cui quella era una fattoria, doveva essere l’abitazione del proprietario.
C’erano anche altri tipi di abitazione che, dalla collocazione, si capiva che erano stati destinati ai lavoratori. Queste ultime all’esterno erano trascurate e bisognose di manutenzione, al pari del resto del casale.
Si ritrovò in una ampia stanza. Venne accarezzata dal fresco, stupendosi di trovare un condizionatore in quel posto che sapeva di vecchio, più che di antico.
In realtà non vide split di alcun tipo ma, invece, notò lo spessore dei muri, probabilmente fatti in sasso, che mantenevano abbastanza fresco l’ambiente proteggendolo dal caldo esterno.
Benché ormai fosse decisa a proseguire, anzi, a intraprendere quell’avventura erotica, aveva ancora quel senso che coglie quando ci si avvia verso qualcosa di voluto ma ancora ignoto.
Si ricordava perfettamente le istruzioni ma, appena entrata, ebbe confusione nella testa.
Sapeva che doveva inginocchiarsi al centro e così fece. La testa però le comunicava un errore. Venne presa dal panico e dall’ansia e la testa ebbe un vuoto nei pensieri. Il cuore iniziò a battere in quanto si sentiva già in inferiorità in quella situazione, senza sapere quali sarebbero state le conseguenze di un errore.
Prima che arrivasse il Padrone (non sapeva come chiamarlo) il cervello, recuperata un poco di lucidità, le fece ricordare la comunicazione con la quale le veniva ordinato di farsi trovare nuda.
Si alzò trafelata, presa dall’ansia per il tempo trascorso a guardare le cavalle prima e la cagna poi.
Si spogliò e cercò di mettere gli abiti abbastanza in ordine. Sapeva benissimo che l'abbigliamento sexy non sarebbe servito a nulla se non a lei stessa per piacersi e per ricordarsi che stava andando in quel posto strano, del quale era venuta a conoscenza tramite un canale molto particolare.
Quando aveva avuto la notizia della sua esistenza era rimasta senza parole e al suo interlocutore aveva chiesto se stesse scherzando. La sua espressione sopperì alla mancanza di risposta.
“Perché mi dici che esiste un posto simile?”
“Perché sono sicuro che mi chiederai di introdurti”.
L’aveva lasciata ancora senza parole e si era allontanato, lasciandola da sola e travolta da mille immagini.
Era passato un mese prima che si fosse decisa di chiedergli di raccomandarla.
“Riceverai istruzioni”.
“Troverò te, là dentro?”
“No, è fatto divieto incontrare qualcuno che si conosce, te l'avevo detto”.
Il mese trascorso in attesa della risposta era pieno di immagini e di fantasie erotiche, quelle che aveva sempre avuto ma mai vissute: la schiavitù totale in cui sarebbe stata solo un oggetto di lavoro o di servizio o di piacere o tutte queste cose.
Solo chi era raccomandato da persone fidate poteva essere ammesso come schiava (o schiavo) o come Dominante.
Una volta entrati nel girone delle fantasie estreme, quelle che albergano nel più profondo dell’anima, non sarebbe stato possibile negare nulla.
Non c’erano scelte: chi si proponeva in un ruolo di sottomissione avrebbe dovuto accettare tutto ciò che il Dominante avrebbe voluto.
Era questa la liberazione delle fantasie: non si sarebbe stati schiavi o schiave per gioco ma, nel tempo concordato, chi si fosse ceduta come schiava o schiavo, tale sarebbe stato.
La durata era l’unica opzione disponibile.
Alla parete vide una sola fotografia che ritraeva una ragazza magra, bionda, prostrata nel cortile in terra battuta, nuda, davanti ad un uomo vestito come un contadino, che teneva sulla schiena della donna una scarpa tipica da contadino.
In alto, sul margine destro, era annotato solo un numero che poteva essere tranquillamente la data in cui era stata scattata e che risaliva a 8 anni addietro.
Il tempo le parve infinito prima che sentisse i passi sicuri di qualcuno che camminava sul tavolato all’esterno, dopo avere fatto i tre gradini che separavano il portico dal cortile che era ancora come in foto, in terra battuta.
Il cuore sembrava volesse uscirle dal petto e le procurò un forte fischio alle orecchie.
La porta si aprì con un piglio deciso, tipico di colui che sa che sta entrando in casa propria dove troverà una persona che saprà di essere in casa altrui per consegnarsi schiava.
Ileana venne colta dall’ulteriore ricordo che, sino a quel momento, le era rimasto latente.
Abbassò il busto fino a posare la fronte a terra, su un pavimento che evidentemente vedeva il Padrone entrare di frequente con le scarpe con le quali aveva camminato nel cortile.
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