A casa della coppia schiava (parte 4)

di
genere
sadomaso

Prese la testa della bocca francese e la strappò via dal cazzo, con una forza maggiore di quella utile e che lui narrò a sé stesso come gesto di potere, mentre il suo inconscio gli diceva che era dettata dalla rabbia, una rabbia non verso i due amanti, ma verso sé stesso, per non avere tenuto Elena, la sua compagna che se ne era andata da casa senza portarsi via i ricordi.
Usò anche il guinzaglio per allontanare la cagna francese.
“Vieni qui, cane”.
Fece stendere sul ventre il marito, a terra poco distante dal bracciolo di quel divano che aveva visto crescere il suo cazzo, ma anche il cazzo dello schiavo, del marito, dell’uomo di quella donna.
Ordinò alla schiava di salire in piedi sulla schiena del marito e appoggiare le mani al bracciolo del divano, così da offrirgli il culo e la figa.
Il cazzo era duro, durissimo, la mente vuota di emozioni passate e piena solo del piacere erotico di quei momenti.
Quella schiava teneva la schiena incurvata verso il basso, per evidenziare il suo culo.
In una mano Andrea aveva il guinzaglio che teneva in tensione, per ricordare a sé stesso che quella era la sua schiava, ma solo a sé stesso, eppure gli bastava, gli serviva, lo eccitava.
Solo eccitazione, pura, sesso, cazzo duro. Non altro.
Nell’altra mano aveva il frustino, quell’oggetto artigianale che aveva comprato assieme ad Elena, realizzato da un artigiano del BDSM, di pelle intrecciata, con il manico lavorato e sul quale c’erano incise due lettere, una “A” ed una “E”.
Penetrò la schiava nella figa, che trovò bagnatissima, calda, avvolgente, tipica figa giovane di chi non ha avuto figli, una figa che avvolge il cazzo e che, se contratta, lo eccita, lo indurisce, lo avvolge.
Andrea guardava lo schiavo sotto piedi della francese e, almeno, non gli vedeva il cazzo, che sapeva essere duro, eccitato da una donna che non lo aveva toccato.
Solo il suo inconscio sapeva che aveva fatto stendere il tappeto umano sul ventre per evitare che i due si guardassero. Lui non lo sapeva, solo il suo inconscio, lui no. Lui voleva pensare che quella schiava fosse sua e che il marito fosse uno strumento.
Cazzo, lui era il Padrone, loro erano oggetti.
Mentre la penetrava in figa, iniziò a frustarla sulla schiena e sulle natiche.
Spingeva, le entrava dentro, fino in fondo dove si fermava e frustava.
Quella figa francese si dimenava ma non perdeva la posizione. Muoveva la schiena ma non il culo, continuando a stringere la figa ad ogni frustata, trasmettendo al cazzo ulteriore piacere per ogni colpo ricevuto che lui voleva fosse solo suo.
Cazzo se era bella, se era giovane, se l’aveva desiderata la prima volta che si erano incontrati e le aveva ordinato di presentarsi senza intimo e gonna corta, pensando di farle esporre la figa per lui, davanti al marito che sarebbe rimasto spettatore passivo, quasi inutile o, meglio, utile solo al piacere del Padrone.
Si era masturbato pensando di averla schiava davanti al marito, di umiliare lui usando lei, scopandola su di lui, davanti a lui, nonostante lui, spettatore che adesso scopriva, invece, essere attore.
Il subconscio lavorava più della sua volontà che vedeva Janine cosa sua.
Il subconscio lo fece sentire estraneo in quella figa che scopava in quella casa dalla quale lui era stato escluso.
Quella figa non era sua, non pulsava per lui.
Si sentì estraneo in quel corpo che possedeva.
Uscì dalla figa convincendo sé stesso che voleva possederla in ogni dove.
Si concentrò sul culo, riuscendo ad entrare senza difficoltà, stupendosi di quanto fosse bagnata quella figa, di quanto quella figa gli avesse bagnato il cazzo che adesso entrava nel culo come una lama calda nel burro, parimenti a quella lama di ghiaccio che aveva sentito entrare nel suo fuoco e gelarlo.
La scopò nel culo, le scopò il culo, la usò nel culo meno di quanto quel culo usasse il suo cazzo per godere col marito.
Godette. Volle venire nel culo, riempirlo e saperlo pieno di lui, non essendo riuscito a restare nella figa nella quale si era sentito estraneo.
Mentre sentì uscire lo sperma, diede le ultime frustate.
Uscì e si sedette sul divano, osservando il suo castello umano composto da una donna in piedi su un uomo.
Volle vedere il suo sperma uscire da quel culo che lo aveva ospitato.
Li costrinse a scopare, a godere, davanti a lui.
La sua parte conscia gli disse che voleva dominarli gestendo il loro piacere, non comprendendo che, in realtà, non voleva che, una volta allontanatosi, quei due facessero l’amore su un letto nel quale lui non era stato, che a lui era stato precluso.
Uscì da quella casa nella quale non era mai entrato.
Girò in auto, a lungo.
di
scritto il
2025-09-12
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