Colazione con Sguardo - FINALE

di
genere
feticismo

Il tempo, nell’abitacolo, aveva smesso di esistere.
Non c’erano più rumori, parole, messaggi da leggere o appuntamenti da rispettare. C’era solo pelle, fiato e un respiro che cresceva come marea.

Le gambe di lei si erano aperte con lentezza, senza forzature. Una danza silenziosa.
Paolo l’accarezzava, l’assaporava, l’ascoltava. Ogni centimetro era un linguaggio, ogni reazione una frase sussurrata in una lingua che solo loro due sembravano parlare.

Il contatto non era violento. Era necessario.

Non c’era possesso, c’era fondersi. Le mani di lei gli cercavano il volto, le dita affondavano nei suoi capelli, lo guidavano con tocco deciso ma fluido, come se avesse sempre saputo che sarebbe arrivato lì.

Poi lei lo attirò a sé.
Lo guardò negli occhi. Per la prima volta da vicino. Quegli occhi scuri non tremavano, non esitavano.
Gli parlavano, senza voce: Vieni dentro.

Lui salì sopra di lei sul sedile, goffamente perfetto. Le gambe si incastrarono, il vestito salì oltre le cosce, e i corpi si avvicinarono come se si stessero cercando da anni, anche se erano passati solo pochi minuti.

Nessuna fretta. Nessun bisogno di dominare. Solo armonia.
Il desiderio diventò gesto, il gesto diventò unione.

Il primo istante fu lento. Quasi sacro.
Un respiro trattenuto da entrambi, poi il corpo che si adattava, che accoglieva, che rispondeva.

L’auto non era grande, ma bastava. Bastava per contenere l’universo che stavano creando.

I movimenti divennero onde.
I gemiti, parole.
I sospiri, promesse.

Ogni affondo, ogni contatto, ogni presa di mano era come suonare un pianoforte invisibile fatto di pelle e istinto.
Non c’era volgarità, non c’era esibizione. Solo abbandono.

Lei gli sussurrava parole a metà, suoni morbidi, occhi chiusi.
Lui le baciava il collo, il seno, il ventre. E sentiva di non voler mai staccarsi. Di volerla ascoltare, toccare, respirare… finché il tempo stesso non avesse più senso.

Il momento dell’unione piena arrivò come una marea che non si può fermare.
Un’esplosione silenziosa. Una scossa in profondità.
Lui affondato in lei.
Lei che lo stringeva senza dire nulla.

Dopo, rimasero lì.
In silenzio. Le gambe intrecciate, i corpi ancora caldi, il profumo della pelle, del sesso, del sudore e di qualcosa di più sottile: connessione.

Lei si era distesa leggermente sul sedile, il vestito risalito, una gamba piegata. Paolo, accanto a lei, accarezzava con le dita la pelle liscia della coscia, ancora umida. E fu lì, in quel momento preciso, che lo vide.

Un piccolo tatuaggio. Fine. Discreto. Quasi invisibile.

Proprio all’interno della coscia, nascosto dalla piega della gamba.
Una parola. Un nome.

"Elena."

Paolo la lesse con un brivido, come se avesse appena scoperto il titolo di un libro che stava leggendo da ore.

La guardò.

Lei aveva gli occhi chiusi. Ma un mezzo sorriso era comparso sulle labbra. Come se sapesse.
Come se avesse atteso proprio quel momento.

Il mistero non era finito.
Era appena cominciato.


FINE
(o… l’inizio di qualcosa più grande?)
di
scritto il
2025-09-06
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