Rosa tra gli alberi - 6
di
JM
genere
feticismo
Il sole stava scivolando oltre gli alberi, dipingendo ombre lunghe sull’erba, e il telo sotto di loro conservava ancora il calore dei corpi, dei respiri intrecciati, dei gesti che avevano parlato senza mai dire troppo.
Elena era stesa sul fianco, la testa appoggiata al braccio piegato, il vestito fucsia appena accarezzato dal vento.
Paolo le era accanto, una mano tra i capelli, l’altra sulla pancia nuda di lei, che ancora si sollevava lentamente a ogni respiro.
Non c’era più nulla da dire.
Non in quel momento.
Solo silenzio.
E pelle.
E l’eco di tutto ciò che avevano fatto senza fretta, senza ruoli, senza promesse. Solo per esserci.
Elena si sollevò piano. Si rimise seduta, le gambe raccolte sotto di sé, e indossò di nuovo le infradito bianche con la stessa lentezza con cui se le era tolte.
Ogni dito che scivolava nella sua posizione sembrava un rituale antico, e Paolo lo guardava come si guarda qualcosa che si sa di non poter controllare.
«Devo andare,» disse lei, finalmente.
Nessun imbarazzo. Nessuna fretta.
Solo la verità.
Paolo annuì.
Non chiese dove.
Non chiese quando si sarebbero rivisti.
Ma dentro, una parte di lui lo sapeva.
Lei si alzò.
Scosse piano il vestito, raccolse il telo con un gesto rapido ma elegante, e prima di voltarsi, si chinò su di lui.
Lo baciò.
Non castamente.
Non con passione sfacciata.
Ma con profondità.
Un bacio che sapeva di pelle, erba, e piacere non ancora finito.
Poi si voltò e iniziò a camminare lungo il sentiero.
Paolo la osservò allontanarsi.
I suoi piedi nudi sfioravano appena il terreno, mentre le infradito sollevavano sabbia e foglie secche.
A ogni passo, lasciava una traccia leggera. Invisibile agli altri, ma non a lui.
Proprio prima di scomparire dietro la curva, si voltò appena.
Uno sguardo breve. Diretto.
Ma carico di una sola, chiara promessa:
"Ci sarà un'altra volta."
E poi sparì.
Lasciando nell’aria il suo profumo.
E nella mente di Paolo, la fame di rivederla.
Di risentire il piede sulla pelle.
La bocca che legge.
Il corpo che non chiede… ma prende.
E la certezza che il desiderio, con lei, non finisce mai.
Si sposta solo di luogo.
Elena era stesa sul fianco, la testa appoggiata al braccio piegato, il vestito fucsia appena accarezzato dal vento.
Paolo le era accanto, una mano tra i capelli, l’altra sulla pancia nuda di lei, che ancora si sollevava lentamente a ogni respiro.
Non c’era più nulla da dire.
Non in quel momento.
Solo silenzio.
E pelle.
E l’eco di tutto ciò che avevano fatto senza fretta, senza ruoli, senza promesse. Solo per esserci.
Elena si sollevò piano. Si rimise seduta, le gambe raccolte sotto di sé, e indossò di nuovo le infradito bianche con la stessa lentezza con cui se le era tolte.
Ogni dito che scivolava nella sua posizione sembrava un rituale antico, e Paolo lo guardava come si guarda qualcosa che si sa di non poter controllare.
«Devo andare,» disse lei, finalmente.
Nessun imbarazzo. Nessuna fretta.
Solo la verità.
Paolo annuì.
Non chiese dove.
Non chiese quando si sarebbero rivisti.
Ma dentro, una parte di lui lo sapeva.
Lei si alzò.
Scosse piano il vestito, raccolse il telo con un gesto rapido ma elegante, e prima di voltarsi, si chinò su di lui.
Lo baciò.
Non castamente.
Non con passione sfacciata.
Ma con profondità.
Un bacio che sapeva di pelle, erba, e piacere non ancora finito.
Poi si voltò e iniziò a camminare lungo il sentiero.
Paolo la osservò allontanarsi.
I suoi piedi nudi sfioravano appena il terreno, mentre le infradito sollevavano sabbia e foglie secche.
A ogni passo, lasciava una traccia leggera. Invisibile agli altri, ma non a lui.
Proprio prima di scomparire dietro la curva, si voltò appena.
Uno sguardo breve. Diretto.
Ma carico di una sola, chiara promessa:
"Ci sarà un'altra volta."
E poi sparì.
Lasciando nell’aria il suo profumo.
E nella mente di Paolo, la fame di rivederla.
Di risentire il piede sulla pelle.
La bocca che legge.
Il corpo che non chiede… ma prende.
E la certezza che il desiderio, con lei, non finisce mai.
Si sposta solo di luogo.
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