Sotto la calza

di
genere
feticismo

Il pomeriggio era lento, di quelli in cui il sole bussa tiepido alle vetrine e il silenzio dentro i negozi sembra più profondo del solito. Luigi stava sistemando una pila di scatole nell'angolo della saletta, quando il suono acuto del campanello della porta lo fece voltare.

Non era preparato a lei.

Entrò come chi conosce perfettamente il proprio effetto sull’ambiente.
Paola.
Forse sulla quarantina, forse un po’ meno, ma il tempo con lei era un accessorio. Indossava un tailleur beige sartoriale, senza una piega, occhiali scuri e un rossetto che non aveva bisogno di essere ritoccato. Il passo era morbido, sicuro. E ai piedi — quelli che Luigi notò quasi subito — un paio di decolleté in vernice nera con tacco medio.

Ma ciò che lo paralizzò, quasi senza accorgersene, fu il nylon.

Lucido, sottile, color miele. Le gambe erano avvolte da calze trasparenti, tese, perfette.
Le caviglie si muovevano con eleganza chirurgica, le cuciture invisibili disegnavano la pelle come fossero fatte d’acqua.
E poi... l’odore.

Non era un profumo da boccetta.
Non era vaniglia o patchouli.
Era pelle, riscaldata dal tessuto sintetico, dalla camminata, dal chiuso della scarpa.
Una fragranza che un uomo non dovrebbe sentire così da vicino... e che invece lo colpì dritto nello stomaco.

«Buongiorno,» disse lei, con un tono basso, appena arrochito.
«Sto cercando un paio di décolleté beige. Punta affilata, linea pulita. Qualcosa di elegante, ma... che si faccia notare.»

Luigi annuì, balbettando appena.
«S-sì, certo. Prego... da questa parte.»

Mentre la guidava tra le file ordinate di scarpe, sentiva il cuore picchiare.
Ogni suo passo era un rumore diverso: il tacco sul pavimento, il fruscio della calza che si tendeva sul polpaccio, e quel profumo… sempre più denso, più caldo. Come se le sue gambe parlassero in codice.

Paola si sedette sul divanetto centrale, accavallando con calma le gambe.
Il gesto fece scivolare il tessuto del tailleur sulla coscia, lasciando in vista buona parte della calza tesa, fin quasi all’interno della coscia.
Luigi si costrinse a guardare le scatole. Ma non servì a nulla.
Il suo sguardo tornava sempre lì.

«Numero 40,» disse lei, mentre si sfilava la prima scarpa.
Lo fece lentamente, con due dita, facendola scivolare via senza mai guardare in basso.
Il piede emerse.

Era perfetto.
Snello, dalla forma elegante. Le dita affusolate, ben disposte. L’unghia leggermente visibile sotto il velo del nylon. Il colore della calza — miele, caldo, appena più scuro della pelle — rendeva il tutto quasi liquido, come un piede immerso in vetro.
La pianta era morbida, piena, viva.

Luigi sentì un colpo secco nel petto.
Poi il secondo piede.
Stesso gesto. Stessa lentezza.
E ora Paola era lì, completamente scalza, con i piedi in nylon poggiati sul tappeto.

«Fammi vedere quello con il taglio francese, terza fila. E anche quel nude con la suola in cuoio.»

Lui si abbassò per prendere le scatole.
E fu lì che sentì il profumo ancora più forte.

Arrivava dal tappeto, dai piedi nudi, dal nylon umido nel punto dove il piede aveva preso calore.
Una fragranza intima, morbida, che sapeva di corpo, di tempo, di movimento.

Quando si voltò con la scatola, lei aveva piegato una gamba.
Il piede era sollevato, le dita in vista.
E guardava lui.
Direttamente.

«Puoi aiutarmi a provarle?»
Sorrise.

Luigi si avvicinò.
Si inginocchiò.
E prese il piede tra le mani.

Il contatto fu devastante.

La calza scricchiolò appena sotto le dita.
La pianta era calda.
La pelle morbida sotto il nylon.
E quell’odore… lo stava facendo impazzire.

Infilò la scarpa con delicatezza, ma il piede non entrò subito.
«Devi accompagnarlo meglio,» disse lei, sollevando l’altro piede... e posandolo sulla sua coscia.
Il piede in nylon premette sul tessuto dei pantaloni.
Si piegò. Si mosse.
Cercava.

Luigi trattenne il respiro.
La sentiva.
Sentiva la forma delle dita. Il nylon che strusciava, si tendeva, rilasciava.
Era tutto lì.
Palese. Intimo. Irrinunciabile.

«Non sei abituato a piedi così, vero?»
La voce era bassa, quasi un sussurro.

Lui scosse la testa.
«No.»

Paola mosse lentamente il piede su di lui.
Sopra il ginocchio. Poi più giù.
Fino al punto dove il desiderio cominciava a parlare da solo.

Luigi tremò.

Lei non si fermò.
Muoveva il piede con sapienza, a ritmo lento.
Ogni tanto lo sollevava appena, lasciando che il nylon si staccasse, per poi tornare a premere.
Il calore era reale.
Il profumo… lo stordiva.

Poi si chinò in avanti.
Appoggiò il gomito sul ginocchio.
E lo guardò dall’alto.
«Potrei fartelo fare qui, lo sai?»
«Cosa?»
«Quello che stai immaginando. Con la bocca. Con le mani. Con tutto.»

Luigi chiuse gli occhi.
Aveva caldo.
Aveva sete.
Aveva fame di lei.

Poi tutto si fermò.

Paola ritrasse il piede.
Lo fece passare lentamente tra le gambe di lui mentre si alzava.
Poi infilò di nuovo le scarpe, senza alcun pudore.

«Prendo quelle col tacco sottile. Non metta la scatola, le tengo addosso.»

Camminò verso la cassa.
Il rumore dei tacchi si mescolava al battito del cuore di Luigi, che non riusciva ancora a rialzarsi da terra.

Quando lei gli porse la carta, gli disse soltanto:

«Hai mani gentili. Ma sei ancora grezzo dentro.
Se vuoi imparare,
io torno.
Ogni volta che ne avrò voglia.»

Luigi non rispose.
Non serviva.

La porta si chiuse dietro di lei.
E il suo odore rimase lì.
Nel tappeto.
Nel nylon.
Nel respiro.
di
scritto il
2025-09-10
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