Rosa tra gli alberi - 5
di
JM
genere
feticismo
Il respiro di Paolo si era fatto più regolare, ma dentro di lui qualcosa era ancora in fiamme.
Elena era lì, stesa accanto, il vestito salito oltre la coscia, il piede nudo appoggiato sulla sua gamba come se fosse una firma silenziosa.
Le dita dei piedi si muovevano appena, lente, rilassate, eppure così vive. Ogni piccola contrazione sembrava parlare una lingua che solo lui poteva capire.
La guardò.
Lei aveva gli occhi chiusi.
Ma sorrideva.
Come se sapesse che stava per succedere.
Paolo si girò di lato, si chinò sul telo, e portò le labbra proprio lì, sulla pianta del piede, tra la polvere sottile e il calore della pelle.
Un bacio lungo. Devoto.
Non un gesto automatico.
Ma una carezza con la bocca, fatta di gratitudine e desiderio.
Elena aprì appena gli occhi.
Lo guardò senza dire nulla.
Ma le labbra si piegarono in un mezzo sorriso.
Come a dire: “Sì. Così.”
Paolo prese delicatamente il piede tra le mani.
Le dita scorrevano lungo l’arco, seguendo la curva, sfiorandola come si accarezza la carta antica di un libro sacro.
Poi le sue labbra tornarono a baciare.
Dal tallone al collo del piede, poi le dita, una ad una.
Le baciò con la precisione di un gesto antico.
Le succhiò piano.
E la lingua cominciò a tracciare cerchi lenti, umidi, lungo i bordi.
Elena gemette appena.
Non era un suono forte.
Era come un sì che nasceva dal ventre.
Il secondo piede scivolò naturalmente contro il petto di lui.
Paolo lo accolse con la fronte, e poi con la bocca.
Come se anche quello avesse bisogno di ricevere attenzione.
Come se fossero due parti diverse dello stesso altare.
Elena si lasciò andare.
Si stese del tutto, sollevando le braccia dietro la testa, allungandosi come una creatura pronta a essere letta.
Il vestito ormai non copriva più nulla.
Paolo salì lentamente.
Le sue labbra lasciarono i piedi solo per risalire lungo le gambe, le ginocchia, l’interno coscia.
Ogni centimetro meritava un bacio.
Ogni spazio tra pelle e pelle chiedeva una carezza umida.
Quando arrivò al punto dove le cosce si incontravano, si fermò.
Respirò.
Chiuse gli occhi.
E appoggiò la guancia sulla sua pelle, nuda, calda, profumata.
«Sei l’estate più intensa che abbia mai sentito,» le disse piano.
Poi cominciò.
Non fu solo lingua.
Non fu solo bocca.
Fu tutto lui.
Le mani che le tenevano i fianchi, la bocca che tracciava sentieri invisibili, la lingua che ascoltava prima di muoversi.
Non si trattava di darle piacere.
Si trattava di onorarla.
Di adorarla.
Di consumarla con delicatezza.
Elena non riusciva più a restare ferma.
Si muoveva piano, come onde che si alzano e si abbassano.
I fianchi cercavano il volto di lui, e lui rispondeva.
Ogni bacio era più profondo.
Ogni gemito, una conferma.
Il tempo si spezzò.
Non esisteva più il parco, né il sole, né il vento.
Esistevano solo due corpi che si stavano ricordando a memoria.
E quando lei si sollevò di colpo, con il fiato rotto e la schiena inarcata, Paolo non si fermò.
Restò lì.
Fino all’ultimo tremito.
Poi risalì.
Le si stese accanto.
Le prese la mano.
E la baciò, senza parlare.
Lei si voltò.
Aveva gli occhi lucidi.
E una sola frase sulle labbra:
«Tu non mi hai toccata.
Mi hai letto.»
*Continua*
Elena era lì, stesa accanto, il vestito salito oltre la coscia, il piede nudo appoggiato sulla sua gamba come se fosse una firma silenziosa.
Le dita dei piedi si muovevano appena, lente, rilassate, eppure così vive. Ogni piccola contrazione sembrava parlare una lingua che solo lui poteva capire.
La guardò.
Lei aveva gli occhi chiusi.
Ma sorrideva.
Come se sapesse che stava per succedere.
Paolo si girò di lato, si chinò sul telo, e portò le labbra proprio lì, sulla pianta del piede, tra la polvere sottile e il calore della pelle.
Un bacio lungo. Devoto.
Non un gesto automatico.
Ma una carezza con la bocca, fatta di gratitudine e desiderio.
Elena aprì appena gli occhi.
Lo guardò senza dire nulla.
Ma le labbra si piegarono in un mezzo sorriso.
Come a dire: “Sì. Così.”
Paolo prese delicatamente il piede tra le mani.
Le dita scorrevano lungo l’arco, seguendo la curva, sfiorandola come si accarezza la carta antica di un libro sacro.
Poi le sue labbra tornarono a baciare.
Dal tallone al collo del piede, poi le dita, una ad una.
Le baciò con la precisione di un gesto antico.
Le succhiò piano.
E la lingua cominciò a tracciare cerchi lenti, umidi, lungo i bordi.
Elena gemette appena.
Non era un suono forte.
Era come un sì che nasceva dal ventre.
Il secondo piede scivolò naturalmente contro il petto di lui.
Paolo lo accolse con la fronte, e poi con la bocca.
Come se anche quello avesse bisogno di ricevere attenzione.
Come se fossero due parti diverse dello stesso altare.
Elena si lasciò andare.
Si stese del tutto, sollevando le braccia dietro la testa, allungandosi come una creatura pronta a essere letta.
Il vestito ormai non copriva più nulla.
Paolo salì lentamente.
Le sue labbra lasciarono i piedi solo per risalire lungo le gambe, le ginocchia, l’interno coscia.
Ogni centimetro meritava un bacio.
Ogni spazio tra pelle e pelle chiedeva una carezza umida.
Quando arrivò al punto dove le cosce si incontravano, si fermò.
Respirò.
Chiuse gli occhi.
E appoggiò la guancia sulla sua pelle, nuda, calda, profumata.
«Sei l’estate più intensa che abbia mai sentito,» le disse piano.
Poi cominciò.
Non fu solo lingua.
Non fu solo bocca.
Fu tutto lui.
Le mani che le tenevano i fianchi, la bocca che tracciava sentieri invisibili, la lingua che ascoltava prima di muoversi.
Non si trattava di darle piacere.
Si trattava di onorarla.
Di adorarla.
Di consumarla con delicatezza.
Elena non riusciva più a restare ferma.
Si muoveva piano, come onde che si alzano e si abbassano.
I fianchi cercavano il volto di lui, e lui rispondeva.
Ogni bacio era più profondo.
Ogni gemito, una conferma.
Il tempo si spezzò.
Non esisteva più il parco, né il sole, né il vento.
Esistevano solo due corpi che si stavano ricordando a memoria.
E quando lei si sollevò di colpo, con il fiato rotto e la schiena inarcata, Paolo non si fermò.
Restò lì.
Fino all’ultimo tremito.
Poi risalì.
Le si stese accanto.
Le prese la mano.
E la baciò, senza parlare.
Lei si voltò.
Aveva gli occhi lucidi.
E una sola frase sulle labbra:
«Tu non mi hai toccata.
Mi hai letto.»
*Continua*
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