Rosa tra gli alberi - 3
di
JM
genere
feticismo
[Paolo]
La riconobbi prima ancora che lo capissi.
Il corpo lo sapeva. La memoria della pelle era più veloce della coscienza.
Quel profumo, quell’odore sottile di pelle riscaldata, infradito, aria e femmina… mi colpì come uno schiaffo gentile.
Mi voltai, ed eccola.
Elena.
Con lo stesso sguardo di quella sera. Quello che non ti chiede il permesso di entrare, ma che si siede dentro di te come se ci fosse sempre stato.
Era come se il tempo non fosse passato.
O forse lo era, ma non importava.
Sentivo ancora la curva del suo piede sotto le labbra, il respiro che si fermava mentre sfioravo le dita, le sue mani leggere sulla mia nuca… e quel mezzo sorriso mentre mi lasciava inginocchiato ai suoi piedi, nella macchina ferma nel parcheggio.
E ora era lì.
Con un vestito fucsia, un cono tra le mani… e gli stessi piedi, esposti, liberi, perfetti.
Mi sembrò impossibile che fosse lei, eppure… non c’era dubbio.
Mi sentii sciocco. Vulnerabile.
Ma anche profondamente vivo.
---
[Elena]
Lo vidi appena arrivai al chiosco. Era di spalle, ma lo riconobbi subito.
Lo stesso modo di stare fermo troppo a lungo davanti a una decisione semplice.
Il corpo leggermente inclinato, le spalle tese.
Lui era uno che sente, prima ancora di capire.
Mi fermai. Non perché volevo sorprenderlo.
Ma perché sapevo che sarebbe successo.
Non sapevo se mi avrebbe riconosciuta. Sono cambiata, un po’.
Ma i miei piedi no.
Loro parlano per me.
E lui li conosce. Li ha ascoltati con le labbra.
Mi sono tolta l’infradito come allora.
Solo un gesto.
Ma ha funzionato.
Quando si è voltato, ho visto il lampo negli occhi.
Il suo corpo ricordava. Forse anche più della sua mente.
Mi piaceva quella tensione silenziosa in lui. Quella lotta interiore tra desiderio e incertezza.
Ero tornata nella sua orbita.
E lui… nella mia.
---
[Paolo]
«Credevi che fosse stato solo un episodio?»
Quelle parole, uscite dalla sua bocca come un soffio, mi colpirono al petto.
Non avevo risposta.
Solo il cuore che batteva.
Il gelato che si scioglieva tra le dita.
E la sensazione che, in fondo, stavo tornando a casa.
Mi ricordai del suo piede sulla mia guancia.
Della sua voce calma mentre mi guardava adorarlo.
Del modo in cui non aveva bisogno di dire nulla per farmi inginocchiare.
Ora era qui.
E io… non potevo più fingere.
---
[Elena]
Mi piaceva guardarlo così, perso.
Era come se stesse cercando di tornare in sé, ma non ci riusciva.
E non doveva riuscirci.
Non oggi.
Oggi ero io a guidare.
Ancora.
Mi avvicinai. I miei passi leggeri lasciavano un’impronta invisibile, ma lui le seguiva tutte.
Vidi lo sguardo che cadeva giù.
Sapevo esattamente quando lo avrebbe fatto.
Il mio piede sinistro era ancora leggermente sollevato. La pianta esposta.
Le dita si muovevano.
L’odore era tornato.
Il messaggio era chiaro.
«Ti ricordi quello che mi hai detto, vero?»
Lui scosse la testa, confuso.
Mi chinai verso di lui, come per sussurrare un segreto:
«Hai detto che non avresti mai dimenticato il gusto della mia pelle.
Ma io… sono qui per fartelo ricordare.»
---
[Paolo]
Ogni parola mi colpiva come un’onda tiepida.
Mi sentii nudo, anche se ero vestito.
Come quella sera in macchina.
Non avevo bisogno di toccarla per sentire che tutto stava tornando.
Il calore.
La tensione.
Il profumo.
Fu lei a voltarsi, a fare il primo passo verso il sentiero nascosto del parco.
Poi si fermò.
Si tolse l’infradito con la punta dell’altro piede, lasciandolo lì, nella sabbia.
«Se vuoi riprendere da dove abbiamo interrotto…
segui l’impronta.»
E poi camminò scalza.
Senza voltarsi.
Ma sapendo che io l’avrei seguita.
---
[Elena]
Sentii i suoi passi dietro di me.
Lentamente, come allora.
Ogni passo di lui era una promessa.
Ogni mio piede nudo sulla terra… un invito.
Era tempo che ci ritrovassimo.
E stavolta…
non ci saremmo più detti addio.
La riconobbi prima ancora che lo capissi.
Il corpo lo sapeva. La memoria della pelle era più veloce della coscienza.
Quel profumo, quell’odore sottile di pelle riscaldata, infradito, aria e femmina… mi colpì come uno schiaffo gentile.
Mi voltai, ed eccola.
Elena.
Con lo stesso sguardo di quella sera. Quello che non ti chiede il permesso di entrare, ma che si siede dentro di te come se ci fosse sempre stato.
Era come se il tempo non fosse passato.
O forse lo era, ma non importava.
Sentivo ancora la curva del suo piede sotto le labbra, il respiro che si fermava mentre sfioravo le dita, le sue mani leggere sulla mia nuca… e quel mezzo sorriso mentre mi lasciava inginocchiato ai suoi piedi, nella macchina ferma nel parcheggio.
E ora era lì.
Con un vestito fucsia, un cono tra le mani… e gli stessi piedi, esposti, liberi, perfetti.
Mi sembrò impossibile che fosse lei, eppure… non c’era dubbio.
Mi sentii sciocco. Vulnerabile.
Ma anche profondamente vivo.
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[Elena]
Lo vidi appena arrivai al chiosco. Era di spalle, ma lo riconobbi subito.
Lo stesso modo di stare fermo troppo a lungo davanti a una decisione semplice.
Il corpo leggermente inclinato, le spalle tese.
Lui era uno che sente, prima ancora di capire.
Mi fermai. Non perché volevo sorprenderlo.
Ma perché sapevo che sarebbe successo.
Non sapevo se mi avrebbe riconosciuta. Sono cambiata, un po’.
Ma i miei piedi no.
Loro parlano per me.
E lui li conosce. Li ha ascoltati con le labbra.
Mi sono tolta l’infradito come allora.
Solo un gesto.
Ma ha funzionato.
Quando si è voltato, ho visto il lampo negli occhi.
Il suo corpo ricordava. Forse anche più della sua mente.
Mi piaceva quella tensione silenziosa in lui. Quella lotta interiore tra desiderio e incertezza.
Ero tornata nella sua orbita.
E lui… nella mia.
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[Paolo]
«Credevi che fosse stato solo un episodio?»
Quelle parole, uscite dalla sua bocca come un soffio, mi colpirono al petto.
Non avevo risposta.
Solo il cuore che batteva.
Il gelato che si scioglieva tra le dita.
E la sensazione che, in fondo, stavo tornando a casa.
Mi ricordai del suo piede sulla mia guancia.
Della sua voce calma mentre mi guardava adorarlo.
Del modo in cui non aveva bisogno di dire nulla per farmi inginocchiare.
Ora era qui.
E io… non potevo più fingere.
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[Elena]
Mi piaceva guardarlo così, perso.
Era come se stesse cercando di tornare in sé, ma non ci riusciva.
E non doveva riuscirci.
Non oggi.
Oggi ero io a guidare.
Ancora.
Mi avvicinai. I miei passi leggeri lasciavano un’impronta invisibile, ma lui le seguiva tutte.
Vidi lo sguardo che cadeva giù.
Sapevo esattamente quando lo avrebbe fatto.
Il mio piede sinistro era ancora leggermente sollevato. La pianta esposta.
Le dita si muovevano.
L’odore era tornato.
Il messaggio era chiaro.
«Ti ricordi quello che mi hai detto, vero?»
Lui scosse la testa, confuso.
Mi chinai verso di lui, come per sussurrare un segreto:
«Hai detto che non avresti mai dimenticato il gusto della mia pelle.
Ma io… sono qui per fartelo ricordare.»
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[Paolo]
Ogni parola mi colpiva come un’onda tiepida.
Mi sentii nudo, anche se ero vestito.
Come quella sera in macchina.
Non avevo bisogno di toccarla per sentire che tutto stava tornando.
Il calore.
La tensione.
Il profumo.
Fu lei a voltarsi, a fare il primo passo verso il sentiero nascosto del parco.
Poi si fermò.
Si tolse l’infradito con la punta dell’altro piede, lasciandolo lì, nella sabbia.
«Se vuoi riprendere da dove abbiamo interrotto…
segui l’impronta.»
E poi camminò scalza.
Senza voltarsi.
Ma sapendo che io l’avrei seguita.
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[Elena]
Sentii i suoi passi dietro di me.
Lentamente, come allora.
Ogni passo di lui era una promessa.
Ogni mio piede nudo sulla terra… un invito.
Era tempo che ci ritrovassimo.
E stavolta…
non ci saremmo più detti addio.
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