Rosa tra gli alberi - 2
di
JM
genere
feticismo
Il chiosco dei gelati era immerso in quella calma pomeridiana che profuma di zucchero e aria ferma. Paolo era in piedi davanti al bancone, la mente altrove. Il parco era il suo rifugio nei pomeriggi vuoti, e il gelato un’abitudine lenta. Pistacchio o mandorla? Ancora non lo sapeva. Il suo sguardo correva distratto tra i gusti scritti con il gesso e i bambini che giocavano poco più in là.
Poi successe qualcosa.
Non fu un suono, né una voce.
Fu un odore.
Subtle. Intimo. Inconfondibile.
Una miscela di pelle scaldata dal sole, tessuto estivo, e quella fragranza sottile e impalpabile che solo certi piedi nudi riescono a lasciare nell’aria, dopo una lunga camminata. Una nota olfattiva che non si dimentica, se la si è sentita davvero.
Il cuore di Paolo ebbe un piccolo sussulto.
Si voltò, piano.
E la vide.
Una donna in piedi, proprio dietro di lui.
Un vestito fucsia che ondeggiava morbido, e un paio di infradito bianche che lasciavano scoperti i piedi come petali aperti.
Dita affusolate, unghie rosa pallido, il secondo dito appena più lungo del primo. Pelle chiara, morbida, sollevata appena dal suolo. Il piede sinistro era semi-sfilato, poggiato di lato sulla sabbia. Le dita si muovevano in piccoli gesti inconsci, sensuali senza volerlo.
Paolo la fissò. Il cuore iniziò a battergli più forte.
Lo sguardo salì lentamente. E quando raggiunse il volto…
Un brivido.
Era lei.
Elena.
La donna del bar.
La donna del parcheggio.
La donna che, quella volta, gli aveva concesso un momento di intimità assoluta.
Un incontro dove non c’era stato bisogno di parole, solo sguardi, pelle, e il lento, sacro contatto della sua bocca sui piedi di lei.
Un ricordo che gli si era inciso nella pelle. E anche ora… ne sentiva l’eco.
Riconobbe il taglio dei capelli, lo sguardo liquido e sicuro, la curva del collo, il modo in cui si mordeva il labbro mentre aspettava. Eppure, nulla in lei faceva pensare che si ricordasse di lui. O forse lo stava solo aspettando.
«Un cono al pistacchio, grazie,» disse infine al gelataio, cercando di mascherare la scossa che sentiva.
Quando si voltò per andarsene, incrociò i suoi occhi.
Elena lo guardava.
Senza sorridere.
Senza stupore.
Ma con qualcosa negli occhi che diceva: “Bentornato.”
Paolo si fermò.
Non disse nulla.
Lei fece un passo avanti. Il rumore lieve delle infradito nella sabbia fece tremare l’aria.
Poi parlò, piano:
«Credevi che fosse stato solo un episodio?»
Il gelato si stava sciogliendo tra le sue dita, ma Paolo non se ne accorgeva nemmeno.
«Credevo fosse un sogno,» rispose, con un filo di voce.
«I sogni non hanno profumo,» disse lei, avvicinandosi ancora. «Io sì.»
E mentre si passava lentamente una mano sulla caviglia, aggiunse:
«Ma oggi… non sono io che mi siedo.»
Poi successe qualcosa.
Non fu un suono, né una voce.
Fu un odore.
Subtle. Intimo. Inconfondibile.
Una miscela di pelle scaldata dal sole, tessuto estivo, e quella fragranza sottile e impalpabile che solo certi piedi nudi riescono a lasciare nell’aria, dopo una lunga camminata. Una nota olfattiva che non si dimentica, se la si è sentita davvero.
Il cuore di Paolo ebbe un piccolo sussulto.
Si voltò, piano.
E la vide.
Una donna in piedi, proprio dietro di lui.
Un vestito fucsia che ondeggiava morbido, e un paio di infradito bianche che lasciavano scoperti i piedi come petali aperti.
Dita affusolate, unghie rosa pallido, il secondo dito appena più lungo del primo. Pelle chiara, morbida, sollevata appena dal suolo. Il piede sinistro era semi-sfilato, poggiato di lato sulla sabbia. Le dita si muovevano in piccoli gesti inconsci, sensuali senza volerlo.
Paolo la fissò. Il cuore iniziò a battergli più forte.
Lo sguardo salì lentamente. E quando raggiunse il volto…
Un brivido.
Era lei.
Elena.
La donna del bar.
La donna del parcheggio.
La donna che, quella volta, gli aveva concesso un momento di intimità assoluta.
Un incontro dove non c’era stato bisogno di parole, solo sguardi, pelle, e il lento, sacro contatto della sua bocca sui piedi di lei.
Un ricordo che gli si era inciso nella pelle. E anche ora… ne sentiva l’eco.
Riconobbe il taglio dei capelli, lo sguardo liquido e sicuro, la curva del collo, il modo in cui si mordeva il labbro mentre aspettava. Eppure, nulla in lei faceva pensare che si ricordasse di lui. O forse lo stava solo aspettando.
«Un cono al pistacchio, grazie,» disse infine al gelataio, cercando di mascherare la scossa che sentiva.
Quando si voltò per andarsene, incrociò i suoi occhi.
Elena lo guardava.
Senza sorridere.
Senza stupore.
Ma con qualcosa negli occhi che diceva: “Bentornato.”
Paolo si fermò.
Non disse nulla.
Lei fece un passo avanti. Il rumore lieve delle infradito nella sabbia fece tremare l’aria.
Poi parlò, piano:
«Credevi che fosse stato solo un episodio?»
Il gelato si stava sciogliendo tra le sue dita, ma Paolo non se ne accorgeva nemmeno.
«Credevo fosse un sogno,» rispose, con un filo di voce.
«I sogni non hanno profumo,» disse lei, avvicinandosi ancora. «Io sì.»
E mentre si passava lentamente una mano sulla caviglia, aggiunse:
«Ma oggi… non sono io che mi siedo.»
0
voti
voti
valutazione
0
0
Continua a leggere racconti dello stesso autore
racconto precedente
Rosa tra gli alberiracconto sucessivo
Rosa tra gli alberi - 3
Commenti dei lettori al racconto erotico