Supercazzola amorosa

di
genere
sentimentali

Buongiorno. Oggi vi propongo un racconto moooolto particolare...! Un esperimento con il sorriso.

Era un pomeriggio di ottobre, e il parco aveva quell’aria di malinconia dolce che solo l’autunno sa regalare: le foglie cadevano lente come biglietti scritti a mano mai consegnati, il vento soffiava piano tra i rami e il sole, ormai basso, sembrava dipingere il mondo con un pennello arancione.

Marta camminava lungo il viale centrale, con le mani affondate nelle tasche del cappotto beige. Ogni tanto si fermava a guardare il tappeto di foglie, come se cercasse un senso nascosto in quel disordine perfettamente naturale. Non aveva programmato nulla quel giorno: voleva solo respirare un po’ d’aria, ascoltare il rumore dei propri passi e mettere in pausa la frenesia della settimana.

Poi lo vide.
Marco era lì, vicino a una fontana quasi secca. La pietra era incrostata di muschio e l’acqua stagnante rifletteva il cielo come uno specchio malconcio. Lui, con le mani in tasca e lo sguardo perso, sembrava aspettare qualcuno.

Quando i loro occhi si incontrarono, il tempo si fece più lento, come se una mano invisibile avesse abbassato il volume del mondo.
«Ciao,» disse Marta, e il suo sorriso ebbe la fragilità luminosa di un raggio di sole tra le nuvole.
«Ciao,» rispose Marco, e aggiunse con la solennità di un buffone innamorato: «sei sempre la stessa, forse ancora più… autunnalmente luminosa, con effetto cromatico di fotosintesi retroattiva.»

Marta rise, scuotendo la testa. «Non sei cambiato per niente.»

Si sedettero sulla panchina di ghisa, proprio sotto un platano enorme che lasciava cadere le foglie come applausi discreti. Marco inspirò profondamente, e quando parlò la sua voce aveva quella gravità leggera di chi vuole dire qualcosa di serio, ma sa che finirà a metà tra filosofia e barzelletta.

«Sai, Marta, ho pensato molto a noi. E credo che la vita sia… come una supercazzola ben dosata. Parte con un senso preciso, ti illude di avere una direzione, e poi puff… deretromarchi con destrostanza obliqua, con scappellamento a sinistra se necessario, e ti ritrovi a convincere tutti che il senso c’è, quando in realtà è solo una nebbiolina semantica che danza attorno ai lampioni.»

Lei lo guardò con aria seria per due secondi, poi non riuscì a trattenersi e rise di nuovo. «Marco, sei tremendo. Sai che non capisco mezza delle tue supercazzole, eppure… mi fanno sentire bene.»

Marco continuò imperterrito, con lo sguardo acceso:
«Ma è proprio quello il punto! La supercazzola non va capita, va sentita. È come l’amore: nessuno sa decifrarlo del tutto, eppure quando ti prende lo riconosci. Senza di te, Marta, io mi sento come un platano senza fotosintesi, una panchina senza ruggine, una castagna senza riccio, una giostra senza bambini, un gelato senza cucchiaino. Capisci? È la supercazzola dell’incompletezza.»

Marta abbassò lo sguardo, accarezzando una foglia che le era caduta sul ginocchio.
«Forse hai ragione,» mormorò. «Forse l’amore è proprio una supercazzola che nessuno capisce davvero, ma che tutti sentono nel cuore.»

Il tempo scorreva lento. Una signora passò con il cane, un bambino lanciò un aeroplanino di carta che cadde proprio ai loro piedi. Il mondo intorno sembrava andare avanti, ma per loro era come se il parco intero fosse diventato una scenografia sospesa.

Marco prese la sua mano. «Non ti chiedo certezze,» disse con voce ferma. «Ti chiedo di camminare accanto a me tra le foglie secche, di ascoltare le mie supercazzole come fossero poesie, e di lasciarmi credere che ogni volta che inciampo in una parola strana in realtà sto solo inciampando dentro di te.»

Marta rimase in silenzio, lasciando che quelle parole, assurde eppure sincere, la attraversassero. Poi sorrise. «Va bene, Marco. Ma ricordati: ogni supercazzola va annaffiata di verità, altrimenti muore come un fiore senz’acqua.»

«Promesso,» rispose lui.

Si alzarono insieme, e mentre camminavano lungo il viale, Marco iniziò di nuovo a parlare, senza fermarsi, come un fiume che trabocca:
«Perché, vedi, Marta, il punto non è solo il sentimento, ma l’interconnessione semantica tra le nostre anime. È come dire che tu sei la parentesi aperta e io quella chiusa: senza di te resta tutto sospeso. E allora io ti dico con supercazzolamento intrinseco e scappellamento emozionale, che preferisco vivere un’eterna confusione con te piuttosto che una chiarezza assoluta senza di te. È come dire… come dire… che se togli la zucca da Halloween rimane solo un ottobre triste, e se togli te dalla mia vita rimane solo una panchina vuota con i piccioni.»

Marta rise di cuore, stringendogli la mano più forte. «Sai cosa? Credo che tu abbia appena inventato la più bella dichiarazione d’amore nonsense che io abbia mai sentito.»

Il sole ormai stava tramontando. I lampioni accesi gettavano una luce calda sul viale, e le foglie, mosse dal vento, sembravano danzare intorno a loro come ballerine improvvisate.

E così, passo dopo passo, tra foglie, supercazzole e risate, Marta e Marco si persero nel parco autunnale, mentre il mondo intorno applaudiva piano con il fruscio degli alberi.
di
scritto il
2025-10-02
2 0 5
visite
5
voti
valutazione
6.6
il tuo voto

Continua a leggere racconti dello stesso autore

racconto precedente

Casa di riposo - finale
Segnala abuso in questo racconto erotico

Commenti dei lettori al racconto erotico

cookies policy Per una migliore navigazione questo sito fa uso di cookie propri e di terze parti. Proseguendo la navigazione ne accetti l'utilizzo.