Colazione con Sguardo - 4

di
genere
feticismo

Nell’abitacolo dell’auto sembrava che il tempo si fosse accartocciato su se stesso. Fuori, il mondo andava avanti, ignaro. Dentro, i respiri si inseguivano come onde lente, come se ogni battito di ciglia fosse un gesto studiato, carico d’intenzione.

Paolo teneva ancora il piede nudo di lei tra le mani. Non lo stringeva, lo accarezzava con lentezza, come se volesse impararne la forma a memoria. Passava il pollice sul tallone, sulle dita, sull’arco morbido e cedevole. Ogni centimetro era una scoperta. Ogni piccolo movimento di lei, una risposta muta che confermava la sua presenza, la sua apertura.

Lei non parlava. Ma non ce n’era bisogno. Era la postura, la calma del suo respiro, quel modo in cui aveva leggermente inclinato la testa verso il finestrino. Sembrava dirgli: continua.

E lui lo fece.

Si portò più vicino, spostandosi lentamente sul sedile, finché il volto fu all’altezza del suo ginocchio. Sfiorò la pelle chiara con il naso, respirando. Era un profumo caldo, vivido, personale. Non il tipo di odore neutro da sapone. Era la sua pelle. Un misto di calore, tessuto vissuto, intimità. C’era qualcosa di aromatico, quasi speziato. Paolo lo assaporava con l’olfatto prima ancora che con le labbra.

Ogni suo respiro era più lento, più profondo. Sentiva il sangue pulsargli alle tempie. Il desiderio stava cambiando forma: non era più solo attrazione visiva. Era diventato necessità tattile, olfattiva, carnale.

Scivolò con le labbra lungo il dorso del piede, poi salì alla caviglia, mordendola appena con una grazia quasi animalesca. Lei ritrasse leggermente la gamba — non per interromperlo, ma come per testare il suo controllo. Come per vedere se lui avrebbe insistito.

E lui insistette.

Le mani salirono, lasciando la caviglia per cercare la parte morbida del polpaccio. Accarezzò la gamba attraverso il tessuto, ma lentamente. Non voleva strapparle nulla, voleva che fosse lei ad aprirsi. A decidere quando e come.

Il vestito viola le scopriva appena il ginocchio. Bastava piegarlo. Ma Paolo si fermò. Sollevò lo sguardo.

Lei era lì, immobile, occhi chiusi, ma presente in ogni fibra. Il suo respiro era più corto. Il labbro inferiore, morso con forza. Il petto che si alzava e si abbassava con una frequenza che Paolo aveva già visto... in altre notti, in altri corpi. Ma questa volta era diverso. Questa donna non si stava offrendo: stava concedendo, con eleganza, con potere.

Gli occhi di lui scesero inevitabilmente sul petto. Il vestito seguiva la curva naturale dei seni, non troppo grandi, ma pieni, vivi. Una delle sue più segrete fantasie prese forma senza bisogno d’immagini. Li immaginò nudi, sotto le sue mani, le labbra a sfiorare la pelle bianca, i capezzoli che si irrigidivano sotto il suo tocco, sotto la sua lingua.

E più giù... una tensione più antica, più profonda. L’idea di lei che si apriva davanti a lui, completamente, le gambe scostate, il profumo ancora più intenso. Non solo pelle. Lei. Tutta. Sotto la lingua, sulle labbra, nel respiro.

Il pensiero lo attraversò come una fitta di calore. Le mani si mossero, istintive, ma non invadenti. Le sfiorò la coscia con le dita, come se stesse scrivendo un messaggio che solo lei potesse leggere. Lei non lo fermò. Non aprì gli occhi. Ma quel silenzio era già una risposta.

Il profumo della sua pelle, il piede ancora caldo tra le sue mani, la tensione tra la voglia di possederla e quella di adorarla, di servirla — tutto si stava fondendo in qualcosa che andava oltre il semplice desiderio.

Fu allora che lei aprì gli occhi.

Lo guardò con calma. Poi, senza sorridere, spostò il piede e lo poggiò esattamente sul petto di lui, proprio dove il cuore batteva più forte. Lasciò che rimanesse lì, in equilibrio perfetto, premendo leggermente con le dita.

«Hai ancora fame?» chiese, con voce ferma, ma bassa.

Paolo non rispose. Non ce n’era bisogno. Il suo sguardo parlava chiaro.
Era affamato.
Non solo di lei.
Ma di tutto ciò che lei era disposta a concedergli.
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2025-09-06
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