Schiavo per amore. Ventiseiesimo e ultimo episodio
di
Davide Sebastiani
genere
dominazione
Quando fummo tutti e tre nudi, Diana ci osservò sorridendo. Luca e Alberto avevano il pene eretto. Erano eccitati dalla situazione mentre io ero l’unico ad avercelo moscio.
“Bene. Vedo che per voi due,” disse indicando il marito e il nuovo arrivato. ”basta un mio ordine e l’eccitazione vi sale alle stelle. E pensare, caro maritino, che per tutti i mesi precedenti mi hai fatto sognare un’erezione del genere e dovevo accontentarmi del tuo cazzetto quasi moscio. Bah, inutile pensare al passato perché il presente è molto più piacevole. Invece Paolino ha bisogno di altro per farselo venire duro. Ha bisogno di metodi più tradizionali non è vero?” concluse alzandosi e venendo verso di me e sollevandomi il mento. No, non dovevo ricaderci. Se mi avesse baciato, non sarei stato in grado di andarmene. Per fortuna non lo fece e io mi limitai ad annuire. Diana si allontanò da me e andò di fronte al nostro nuovo coinquilino col sorriso sulle labbra. Afferrò la testa di Luca, la tirò a sè e lo baciò.
“Andiamo nella mia camera. Voglio scoparti come si deve,” aggiunse prendendolo per un braccio al termine di quel bacio passionale. E poi si rivolse a me e al marito. “E voi due venite a vedere. Mi piace che i miei schiavi osservino.”
Non aveva più alcuna remora. Io e Alberto chinammo il capo e li seguimmo, entrammo nella sua camera aspettando pazientemente che i due facessero sesso. Alberto con le mani dietro la schiena, il capo chino e il cazzo turgido, mentre io cercavo quasi di non guardare, ma non posso nascondere che anche io ebbi un’erezione molto prolungata nel vedere il bellissimo corpo di Diana completamente nudo, il suo fare provocante e al contempo estremamente dominante, e nel sentire i suoi ordini risuonare nella casa.
Quella serata ebbe praticamente termine con loro due che si riposavano nel letto. Diana lo aveva fatto venire due volte ma penso che anche Luca, come me e Alberto, avrebbe potuto avere anche altre erezioni. Eravamo davvero giocattoli sessuali in possesso di quella donna. Pretese poi che il marito le ripulisse la vagina impregnata dello sperma di Luca, ennesima umiliazione per Alberto che comunque obbedì senza tentennamenti. Appena fuori da quella stanza dove eravamo stati costretti a osservare quelle scene di sesso, io me ne andai subito nella mia stanza, imitato da Alberto. Ci scambiammo un breve e mi ritrovai in quella stanza non mia, in quella casa che non mi apparteneva. Una casa nella quale avevo vissuto dei momenti erotici straordinari, ma dove ero soltanto uno schiavo ai comandi di una donna. Avevo comunque preso la mia decisione. Me ne dovevo andare. Quello a cui avevo assistito quella sera era troppo. Davvero troppo per me. Avevo accettato di dividerla con il marito, ma non ce l’avrei fatta a dividerla anche con altri uomini. Il potere che aveva scoperto Diana l’aveva cambiata completamente. Aspettai che fosse notte inoltrata, misi nella mia valigia ciò che avevo e sgattaiolando come un ladro me ne andai.
Per fortuna, la mia casa ancora non l’avevo data in affitto e almeno avevo un tetto sotto cui dormire, ma ero senza un lavoro e con due soldi in banca che mi sarebbero bastati appena per sopravvivere qualche mese. Faticai a prendere sonno. Che cosa sarebbe successo quando la mattina Diana avrebbe scoperto la mia assenza? L’avrebbe presa con un’alzata di spalle o sarebbe venuta a cercarmi? E, in questo caso, cosa mi avrebbe fatto? Avevo una paura folle di lei. Sapevo che avrebbe potuto farmi qualsiasi cosa senza che io potessi oppormi. Mi immaginavo lei che mi caricava sulle sue spalle e mi riportava nella sua villa dove poi mi incatenava al muro in una stanza segreta, senza cibo e senza acqua, e tremavo al solo pensiero. Forse, una cosa del genere sarebbe stata esagerata anche per lei ma non era escluso che poteva venire a casa mia, picchiarmi a sangue e lasciarmi steso sul pavimento con diverse ossa rotte. E quello era in grado di farlo. E le sarebbe anche piaciuto. Riuscii comunque a crollare dal sonno e fu un sonno molto agitato.
Cosa mi attendeva al risveglio?
Quando mi svegliai al mattino inoltrato, mi accorsi non c’era stato alcun segnale da parte sua e io potei godermi la mia prima giornata di libertà dopo tanto tempo. Godermi? Non era proprio la parola adatta. Il piacere vero e proprio io lo trascorrevo quando stavo accanto a lei. Cercavo di mettere a fuoco quel periodo che avevo vissuto a casa sua e il risultato mi lasciava sconvolto. A parte le percosse, io non ci stavo male. Avevo anche metabolizzato tutte le pratiche che mi faceva e non avevo più alcun tipo di problema nell’accettarle. Lo strap-on non mi faceva più tanto male, la cenere della sua sigaretta era un po’ fastidiosa ma niente di particolarmente pesante, e la sua urina non mi faceva più schifo. Ma, soprattutto, averla insieme ad altri uomini era pur meglio di non averla per niente. Cercavo di togliere quei pensieri dalla mia testa. Mi dicevo che io ero nato per una vita normale con una brava ragazza al mio fianco, e non come schiavo di una donna sadica e violenta. Tuttavia, era impossibile per me non pensare a lei in continuazione e vedere i tantissimi aspetti positivi che c’erano all’interno di quel tipo di rapporto.
Trascorsero altri giorni praticamente uguali. Era ormai una settimana che ero andato via dalla sua villa ma Diana non si era fatta viva e, se da un lato la cosa mi rassicurava, dall’altra pensavo che mi avesse già sostituito con un altro. E io non avrei più potuto assaggiare i suoi baci, la sua sensualità animalesca, fare del sesso assolutamente inusuale ma meraviglioso. Mi rigiravo nel letto. Mi mancava. Ne avevo bisogno. E, soprattutto, mi resi conto che non mi importava niente di tutto il resto. Io volevo lei. Anche in condivisione. Me la sarei fatta bastare. Diana era la mia droga e io ormai stavo in astinenza da una settimana. Non ce la facevo più. Mi voleva come schiavo? Ebbene, lo sarei stato. Tutto pur di rivivere quei momenti.
Raccattai qualche vestito, lo spazzolino da denti, e poco altro, e mi precipitai in macchina per dirigermi verso la sua villa. E se non mi avesse più voluto? Era un’ipotesi piuttosto pronosticabile. Ma io dovevo provarci. Bussai alla porta con il cuore in tumulto e, dopo qualche secondo, sentii una voce maschile chiedermi chi fossi
“Sono Paolo, lo schiavo di padrona Diana. Fammi entrare, per favore.”
Non ebbi risposta e attesi pazientemente. Milioni di pensieri circolavano nella mia mente. Sapevo che varcando quella soglia io avrei messo la parola fine alla mia libertà ma non me ne importava nulla. Io non vedevo l’ora di inginocchiarmi ai suoi piedi in attesa di un bacio, di una carezza. Anche di un ordine. Si, mi mancava persino il tono della sua voce quando dava ordini. Io con lei mi sentivo vivo e senza di lei la mia vita era inutile. Tremavo davanti a quella porta. Ero convinto che non mi avrebbe accettato più e avevo voglia di piangere. Mi dissi che l’avrei attesa fino al giorno seguente, quando lei sarebbe uscita per la sua solita mattinata fatta di impegni fatui, e l’avrei attesa ancora, ancora e ancora, nella speranza che lei si degnasse di accettarmi nuovamente. Invece, dopo alcuni minuti che per me sembrarono eterni, vidi la porta socchiudersi. Chi mi aveva aperto era Luca, il nuovo schiavo, completamente nudo come lei amava che noi dovessimo stare al suo cospetto. E tutto mi sembrava incredibilmente giusto; le percosse, le umiliazioni, quelle pratiche apparentemente schifose, il fatto di penetrarci analmente. Tutto mi sembrava quasi naturale pur di stare vicino ad una come lei.
Luca intanto camminò in direzione del grande salone dove era solita tenerci e, appena giunti, si inginocchiò da prassi al cospetto di Diana. Una visione. Tuta nera in lattice aderentissima, stivali al ginocchio con pericolosi tacchi a spillo di oltre 15 centimetri, truccata di tutto punto e seduta su una poltrona che non avevo mai visto e che doveva essere stata quindi comprata da poco. Più di una poltrona si trattava di un trono dove la Regina era seduta con le sue lunghe gambe accavallate e con la sigaretta in mano, mentre un uomo che non conoscevo, ovviamente nudo anche lui, stava con la bocca aperta aspettando di ricevere la cenere della padrona. Era l’immagine stereotipata di una padrona e dei suoi schiavi, ma era incredibilmente sensuale. Guardai poi in direzione dei suoi schiavi. Erano tre uomini. Sentii una fitta al cuore. Mi aveva già sostituito. Me lo dovevo immaginare. Una come lei era quasi un miraggio per migliaia di uomini con tendenze masochiste e sottomesse. Non mi disse niente e avanzai di qualche metro e poi caddi in ginocchio baciandole quegli stivali altissimi.
“La prego, padrona, mi riprenda. Ho sbagliato. Io senza di lei non posso vivere. L’ho capito. Dovevo andarmene per capirlo in modo definitivo. Sono suo, un oggetto di sua proprietà. La scongiuro, mi accetti di nuovo in questa casa come suo schiavo.”
Lei mi guardò sorridendo, scrollando la cenere dentro l’avida bocca dello schiavo che non conoscevo. “Avevo detto ai miei schiavi che al massimo avresti potuto resistere un paio di settimane senza di me. Ne è bastata una per farti comprendere ciò che io avevo capito da tempo. Ovvero, che tu senza di me sei zero. Zero assoluto. Solo io posso darti quello che tu brami. Ma, come vedi, ti ho già sostituito. Io per te sono necessaria come l’aria che respiri, ma tu per me sei solo un numero. Potrei evitare di chiamarvi per nome perché per me non siete più persone che necessitano di un nom,e ma cose di cui faccio quello che voglio. Perché dovrei riprenderti?”
Scossi la testa Perché? Non c’era un perché. “Non lo so, padrona. Non c’è un motivo,” risposi ma poi mi illuminai. “Forse un motivo c’è, padrona.”
“Davvero? Sentiamo. Se è un buon motivo ti riprendero’ dentro questa casa e ti accettero’ come schiavo altrimenti ti caccerò personalmente a calci in culo.”
Sorrisi. “Perché, vede padrona, loro sono schiavi da sempre. Hanno sempre avuto questa tendenza. Lei o un’altra con le sue caratteristiche per loro è la stessa cosa. Io invece come padrona voglio solo lei perché amo lei e non quello che rappresenta. Lei mi ha fatto diventare cos^. Io sono la sua piu’ grande vittoria.”
Diana mi guardò e si alzò afferrandomi per i capelli e costringendomi ad alzarmi. Era violenta, anche cattiva, ma io non potevo fare a meno di amarla e di tremare di desiderio dinanzi a lei. Mi arrivò uno schiaffo violentissimo in faccia che mi fece volare di alcuni metri. Riprovai quella sensazione di essere un fantoccio dinanzi a lei.
“Questo è per essertene andato,” mi disse raggiungendomi e sollevandomi, prendendomi ancora una volta per i capelli. Poi un altro ceffone, ancora più violento del precedente “E questo è per averlo fatto senza il mio permesso.
Mi rannicchiai impaurito quando vidi che si dirigeva ancora verso di me. “Per favore, basta” la implorai.
Lei scoppiò a ridere. “Alzati, coglione!” mi intimò e io mi affrettai a obbedire. Mi sollevò il mento. “Questa è l’ultima chance che ti voglio regalare. Per questa volta ti riprendo come mio schiavo, uno dei miei schiavi. E sai perché? Perché hai detto una cosa giusta, Paolino. Tu sei la mia più grande vittoria. Bentornato a casa, schiavo.”
Le sorrisi con il cuore in tumulto. Ero felice. Assurdamente felice. Mi spogliai e mi misi in ginocchio di fronte a lei che si era di nuovo seduta sul suo nuovo trono da regina. Ero stato io a farla diventare così. Non ne ero orgoglioso. Sapevo che eravamo solo all’inizio di quell’avventura e lei probabilmente avrebbe avuto altri schiavi. Alcuni di noi sarebbero stati cacciati e altri sarebbero venuti. Conoscevo la sua volubilità, ma a me interessava il presente e il presente diceva che ero di nuovo di fronte a lei. Tutto il resto non contava. Era riuscita nel suo intento. Mi aveva fatto diventare suo schiavo. Uno schiavo diverso, uno schiavo per amore. Aveva vinto lei ma, in un certo senso, avevo vinto anche io. Avevo vinto perché ero finalmente suo. Non come uomo, non come innamorato, ma come oggetto. Ma non mi importavano più i motivi. Ero suo e solo questo contava. Chinai il capo fino a toccare terra. La mia nuova vita stava per iniziare ed ero finalmente felice.
FINE
Per commenti, scrivete a
davidmuscolo@tiscali.it
“Bene. Vedo che per voi due,” disse indicando il marito e il nuovo arrivato. ”basta un mio ordine e l’eccitazione vi sale alle stelle. E pensare, caro maritino, che per tutti i mesi precedenti mi hai fatto sognare un’erezione del genere e dovevo accontentarmi del tuo cazzetto quasi moscio. Bah, inutile pensare al passato perché il presente è molto più piacevole. Invece Paolino ha bisogno di altro per farselo venire duro. Ha bisogno di metodi più tradizionali non è vero?” concluse alzandosi e venendo verso di me e sollevandomi il mento. No, non dovevo ricaderci. Se mi avesse baciato, non sarei stato in grado di andarmene. Per fortuna non lo fece e io mi limitai ad annuire. Diana si allontanò da me e andò di fronte al nostro nuovo coinquilino col sorriso sulle labbra. Afferrò la testa di Luca, la tirò a sè e lo baciò.
“Andiamo nella mia camera. Voglio scoparti come si deve,” aggiunse prendendolo per un braccio al termine di quel bacio passionale. E poi si rivolse a me e al marito. “E voi due venite a vedere. Mi piace che i miei schiavi osservino.”
Non aveva più alcuna remora. Io e Alberto chinammo il capo e li seguimmo, entrammo nella sua camera aspettando pazientemente che i due facessero sesso. Alberto con le mani dietro la schiena, il capo chino e il cazzo turgido, mentre io cercavo quasi di non guardare, ma non posso nascondere che anche io ebbi un’erezione molto prolungata nel vedere il bellissimo corpo di Diana completamente nudo, il suo fare provocante e al contempo estremamente dominante, e nel sentire i suoi ordini risuonare nella casa.
Quella serata ebbe praticamente termine con loro due che si riposavano nel letto. Diana lo aveva fatto venire due volte ma penso che anche Luca, come me e Alberto, avrebbe potuto avere anche altre erezioni. Eravamo davvero giocattoli sessuali in possesso di quella donna. Pretese poi che il marito le ripulisse la vagina impregnata dello sperma di Luca, ennesima umiliazione per Alberto che comunque obbedì senza tentennamenti. Appena fuori da quella stanza dove eravamo stati costretti a osservare quelle scene di sesso, io me ne andai subito nella mia stanza, imitato da Alberto. Ci scambiammo un breve e mi ritrovai in quella stanza non mia, in quella casa che non mi apparteneva. Una casa nella quale avevo vissuto dei momenti erotici straordinari, ma dove ero soltanto uno schiavo ai comandi di una donna. Avevo comunque preso la mia decisione. Me ne dovevo andare. Quello a cui avevo assistito quella sera era troppo. Davvero troppo per me. Avevo accettato di dividerla con il marito, ma non ce l’avrei fatta a dividerla anche con altri uomini. Il potere che aveva scoperto Diana l’aveva cambiata completamente. Aspettai che fosse notte inoltrata, misi nella mia valigia ciò che avevo e sgattaiolando come un ladro me ne andai.
Per fortuna, la mia casa ancora non l’avevo data in affitto e almeno avevo un tetto sotto cui dormire, ma ero senza un lavoro e con due soldi in banca che mi sarebbero bastati appena per sopravvivere qualche mese. Faticai a prendere sonno. Che cosa sarebbe successo quando la mattina Diana avrebbe scoperto la mia assenza? L’avrebbe presa con un’alzata di spalle o sarebbe venuta a cercarmi? E, in questo caso, cosa mi avrebbe fatto? Avevo una paura folle di lei. Sapevo che avrebbe potuto farmi qualsiasi cosa senza che io potessi oppormi. Mi immaginavo lei che mi caricava sulle sue spalle e mi riportava nella sua villa dove poi mi incatenava al muro in una stanza segreta, senza cibo e senza acqua, e tremavo al solo pensiero. Forse, una cosa del genere sarebbe stata esagerata anche per lei ma non era escluso che poteva venire a casa mia, picchiarmi a sangue e lasciarmi steso sul pavimento con diverse ossa rotte. E quello era in grado di farlo. E le sarebbe anche piaciuto. Riuscii comunque a crollare dal sonno e fu un sonno molto agitato.
Cosa mi attendeva al risveglio?
Quando mi svegliai al mattino inoltrato, mi accorsi non c’era stato alcun segnale da parte sua e io potei godermi la mia prima giornata di libertà dopo tanto tempo. Godermi? Non era proprio la parola adatta. Il piacere vero e proprio io lo trascorrevo quando stavo accanto a lei. Cercavo di mettere a fuoco quel periodo che avevo vissuto a casa sua e il risultato mi lasciava sconvolto. A parte le percosse, io non ci stavo male. Avevo anche metabolizzato tutte le pratiche che mi faceva e non avevo più alcun tipo di problema nell’accettarle. Lo strap-on non mi faceva più tanto male, la cenere della sua sigaretta era un po’ fastidiosa ma niente di particolarmente pesante, e la sua urina non mi faceva più schifo. Ma, soprattutto, averla insieme ad altri uomini era pur meglio di non averla per niente. Cercavo di togliere quei pensieri dalla mia testa. Mi dicevo che io ero nato per una vita normale con una brava ragazza al mio fianco, e non come schiavo di una donna sadica e violenta. Tuttavia, era impossibile per me non pensare a lei in continuazione e vedere i tantissimi aspetti positivi che c’erano all’interno di quel tipo di rapporto.
Trascorsero altri giorni praticamente uguali. Era ormai una settimana che ero andato via dalla sua villa ma Diana non si era fatta viva e, se da un lato la cosa mi rassicurava, dall’altra pensavo che mi avesse già sostituito con un altro. E io non avrei più potuto assaggiare i suoi baci, la sua sensualità animalesca, fare del sesso assolutamente inusuale ma meraviglioso. Mi rigiravo nel letto. Mi mancava. Ne avevo bisogno. E, soprattutto, mi resi conto che non mi importava niente di tutto il resto. Io volevo lei. Anche in condivisione. Me la sarei fatta bastare. Diana era la mia droga e io ormai stavo in astinenza da una settimana. Non ce la facevo più. Mi voleva come schiavo? Ebbene, lo sarei stato. Tutto pur di rivivere quei momenti.
Raccattai qualche vestito, lo spazzolino da denti, e poco altro, e mi precipitai in macchina per dirigermi verso la sua villa. E se non mi avesse più voluto? Era un’ipotesi piuttosto pronosticabile. Ma io dovevo provarci. Bussai alla porta con il cuore in tumulto e, dopo qualche secondo, sentii una voce maschile chiedermi chi fossi
“Sono Paolo, lo schiavo di padrona Diana. Fammi entrare, per favore.”
Non ebbi risposta e attesi pazientemente. Milioni di pensieri circolavano nella mia mente. Sapevo che varcando quella soglia io avrei messo la parola fine alla mia libertà ma non me ne importava nulla. Io non vedevo l’ora di inginocchiarmi ai suoi piedi in attesa di un bacio, di una carezza. Anche di un ordine. Si, mi mancava persino il tono della sua voce quando dava ordini. Io con lei mi sentivo vivo e senza di lei la mia vita era inutile. Tremavo davanti a quella porta. Ero convinto che non mi avrebbe accettato più e avevo voglia di piangere. Mi dissi che l’avrei attesa fino al giorno seguente, quando lei sarebbe uscita per la sua solita mattinata fatta di impegni fatui, e l’avrei attesa ancora, ancora e ancora, nella speranza che lei si degnasse di accettarmi nuovamente. Invece, dopo alcuni minuti che per me sembrarono eterni, vidi la porta socchiudersi. Chi mi aveva aperto era Luca, il nuovo schiavo, completamente nudo come lei amava che noi dovessimo stare al suo cospetto. E tutto mi sembrava incredibilmente giusto; le percosse, le umiliazioni, quelle pratiche apparentemente schifose, il fatto di penetrarci analmente. Tutto mi sembrava quasi naturale pur di stare vicino ad una come lei.
Luca intanto camminò in direzione del grande salone dove era solita tenerci e, appena giunti, si inginocchiò da prassi al cospetto di Diana. Una visione. Tuta nera in lattice aderentissima, stivali al ginocchio con pericolosi tacchi a spillo di oltre 15 centimetri, truccata di tutto punto e seduta su una poltrona che non avevo mai visto e che doveva essere stata quindi comprata da poco. Più di una poltrona si trattava di un trono dove la Regina era seduta con le sue lunghe gambe accavallate e con la sigaretta in mano, mentre un uomo che non conoscevo, ovviamente nudo anche lui, stava con la bocca aperta aspettando di ricevere la cenere della padrona. Era l’immagine stereotipata di una padrona e dei suoi schiavi, ma era incredibilmente sensuale. Guardai poi in direzione dei suoi schiavi. Erano tre uomini. Sentii una fitta al cuore. Mi aveva già sostituito. Me lo dovevo immaginare. Una come lei era quasi un miraggio per migliaia di uomini con tendenze masochiste e sottomesse. Non mi disse niente e avanzai di qualche metro e poi caddi in ginocchio baciandole quegli stivali altissimi.
“La prego, padrona, mi riprenda. Ho sbagliato. Io senza di lei non posso vivere. L’ho capito. Dovevo andarmene per capirlo in modo definitivo. Sono suo, un oggetto di sua proprietà. La scongiuro, mi accetti di nuovo in questa casa come suo schiavo.”
Lei mi guardò sorridendo, scrollando la cenere dentro l’avida bocca dello schiavo che non conoscevo. “Avevo detto ai miei schiavi che al massimo avresti potuto resistere un paio di settimane senza di me. Ne è bastata una per farti comprendere ciò che io avevo capito da tempo. Ovvero, che tu senza di me sei zero. Zero assoluto. Solo io posso darti quello che tu brami. Ma, come vedi, ti ho già sostituito. Io per te sono necessaria come l’aria che respiri, ma tu per me sei solo un numero. Potrei evitare di chiamarvi per nome perché per me non siete più persone che necessitano di un nom,e ma cose di cui faccio quello che voglio. Perché dovrei riprenderti?”
Scossi la testa Perché? Non c’era un perché. “Non lo so, padrona. Non c’è un motivo,” risposi ma poi mi illuminai. “Forse un motivo c’è, padrona.”
“Davvero? Sentiamo. Se è un buon motivo ti riprendero’ dentro questa casa e ti accettero’ come schiavo altrimenti ti caccerò personalmente a calci in culo.”
Sorrisi. “Perché, vede padrona, loro sono schiavi da sempre. Hanno sempre avuto questa tendenza. Lei o un’altra con le sue caratteristiche per loro è la stessa cosa. Io invece come padrona voglio solo lei perché amo lei e non quello che rappresenta. Lei mi ha fatto diventare cos^. Io sono la sua piu’ grande vittoria.”
Diana mi guardò e si alzò afferrandomi per i capelli e costringendomi ad alzarmi. Era violenta, anche cattiva, ma io non potevo fare a meno di amarla e di tremare di desiderio dinanzi a lei. Mi arrivò uno schiaffo violentissimo in faccia che mi fece volare di alcuni metri. Riprovai quella sensazione di essere un fantoccio dinanzi a lei.
“Questo è per essertene andato,” mi disse raggiungendomi e sollevandomi, prendendomi ancora una volta per i capelli. Poi un altro ceffone, ancora più violento del precedente “E questo è per averlo fatto senza il mio permesso.
Mi rannicchiai impaurito quando vidi che si dirigeva ancora verso di me. “Per favore, basta” la implorai.
Lei scoppiò a ridere. “Alzati, coglione!” mi intimò e io mi affrettai a obbedire. Mi sollevò il mento. “Questa è l’ultima chance che ti voglio regalare. Per questa volta ti riprendo come mio schiavo, uno dei miei schiavi. E sai perché? Perché hai detto una cosa giusta, Paolino. Tu sei la mia più grande vittoria. Bentornato a casa, schiavo.”
Le sorrisi con il cuore in tumulto. Ero felice. Assurdamente felice. Mi spogliai e mi misi in ginocchio di fronte a lei che si era di nuovo seduta sul suo nuovo trono da regina. Ero stato io a farla diventare così. Non ne ero orgoglioso. Sapevo che eravamo solo all’inizio di quell’avventura e lei probabilmente avrebbe avuto altri schiavi. Alcuni di noi sarebbero stati cacciati e altri sarebbero venuti. Conoscevo la sua volubilità, ma a me interessava il presente e il presente diceva che ero di nuovo di fronte a lei. Tutto il resto non contava. Era riuscita nel suo intento. Mi aveva fatto diventare suo schiavo. Uno schiavo diverso, uno schiavo per amore. Aveva vinto lei ma, in un certo senso, avevo vinto anche io. Avevo vinto perché ero finalmente suo. Non come uomo, non come innamorato, ma come oggetto. Ma non mi importavano più i motivi. Ero suo e solo questo contava. Chinai il capo fino a toccare terra. La mia nuova vita stava per iniziare ed ero finalmente felice.
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