Schiavo per amore Ventiquattresimo episodio

di
genere
dominazione

La mattina era trascorsa normalmente. Alle dieci in punto, come da suo ordine, le avevo portato la colazione a letto. La sera precedente ci aveva voluto entrambi ed era stata, tanto per cambiare, una serata straordinaria, fuori da ogni norma. Per strano che possa sembrare, quelli erano i momenti in cui la sua dominazione raggiungeva l’apice. Più di quando ci picchiava o ci penetrava col suo strap-on perché in quei momenti io e Alberto eravamo bisognosi di lei, della nostra dea e lei ci faceva letteralmente impazzire con la sua sensualità. Eravamo semplici oggetti del suo desiderio, né più e né meno del dildo che usava per incularci e per provare piacere lei stessa. Credo che qualunque cosa ci avesse ordinato in quei frangenti, noi le avremmo obbedito. Non per paura e nemmeno per il desiderio che avevamo di soddisfare i suoi bisogni, ma proprio perché non potevamo fare a meno dei suoi baci e poi del sesso con lei. E Diana lo sapeva benissimo, tanto che con me aveva sfruttato questo mio bisogno per manipolarmi a suo piacimento. Al termine, ci aveva mandati via preferendo dormire da sola. Lo faceva sempre quando scopava con entrambi mentre, se sceglieva solo uno di noi due, amava trascorrere la notte insieme al prescelto.
E quindi, da perfetto schiavo ormai addomesticato, scostai le tende per permettere al sole di penetrare all’interno della camera, posai per un attimo la sua colazione sul comodino e mi persi come al solito ad ammirare le curve del suo corpo interamente nudo. E l’incantesimo entrava in azione. Il mio respiro si faceva affannoso, il cuore aumentava i battiti e il cazzo mi si alzava prepotentemente. Avrei mai fatto l’abitudine alla sua bellezza? Mi dicevo che se un giorno ci avessi fatto l’abitudine, se un giorno io avessi cominciato a non sentire quel desiderio pazzesco che avevo perennemente nei suoi confronti, probabilmente il mio amore sarebbe scemato e con esso anche la sopportazione alla sua dominazione. Cosa sarebbe accaduto se quell’eventualità si fosse avverata? Mi avrebbe lasciato andare oppure mi avrebbe picchiato? E per picchiarmi non intendevo alcuni schiaffi o le sue dimostrazioni di superiorità che ci mettevano paura ma che non ci procuravano grossi guai fisici, a parte qualche ematoma e labbra quasi perennemente rotte. Io pensavo proprio al fatto che mi avrebbe potuto picchiare con cattiveria. In quel caso, credo che la mia vita sarebbe stata davvero in pericolo. Ma, in quel momento, quell’eventualità era ancora lontana in quanto il mio desiderio nei suoi confronti era più forte che mai e al solo vederla nuda stavo sudando freddo.
Mi avvicinai inginocchiato e con la sua colazione nelle mie mani. “Padrona, sono le dieci. La sua colazione è pronta.” le sussurrai.
Lei si stiracchià pigramente e poi mi guardò. “Paolino, posa il vassoio e vieni qui.” Feci quanto mi era stato ordinato. Mi avvicinai a lei che mi afferrò il viso dandomi un bacio meraviglioso. “Aaahhh, ieri sera sei stato davvero bravo e volevo ricompensarti.” Ero felicissimo di quelle parole. Avrei voluto urlare dalla gioia e, se avessi avuto ancora un piccolo dubbio di quanto fossi soggetto al suo fascino, quel dubbio si sarebbe definitivamente volatilizzato.
“Grazie, padrona. Sono davvero felice di averla soddisfatta.” le dissi. Avrei voluto mettermi a fare le fusa accanto a lei. Le porsi finalmente il vassoio con la sua colazione, aspettai pazientemente che terminasse, le accesi la sua solita sigaretta e mi misi a farle da posacenere. Tutto nella norma. Stava per giungere uno dei momenti da me più attesi, quello di aiutarla a fare la doccia. Finalmente potevo toccare quel corpo duro come l’acciaio e morbido come la seta. Le insaponavo dolcemente ogni centimetro della sua pelle mentre lei osservava compiaciuta la mia erezione. Provava un piacere particolare nel vedermi eccitato e credo che anche quello fosse una specie di consacrazione del proprio potere, anche se in quel caso si trattava di potere erotico. Non mancò di farmi bere la sua urina, facendomi mettere sdraiato e liberandosi le sue vesciche. Come sostenevo prima, riuscivo a bere tranquillamente pur non essendo una situazione che amassi. Tutt’altro. Ma valeva la pena se poi la ricompensa era quella di poterla toccare e massaggiare il suo corpo durante la doccia. Insomma, essere lo schiavo personale della donna che amavo più della mia vita aveva certamente dei vantaggi che superavano di gran lunga gli svantaggi.
La vita di una donna ricca era decisamente appagante per la mia padrona. Scelse con cura gli abiti da indossare, sempre ovviamente molto sensuali, e mi ordiò di vestirmi anch’io perché aveva intenzione di scendere. Quella mattina volle soltanto prendersi un caffè seduti in un bar. D’altronde, fare shopping sarebbe stato gettare i soldi visto che nei giorni precedenti aveva praticamente depredato i negozi più lussuosi del centro, e a lei piaceva spenderli quei soldi ma non buttarli, forse memore del suo passato, di quando faticava a comprarsi qualunque oggetto. La vedevo comunque un po' strana e lo era già da un paio di giorni. Di solito, parlavamo quasi da persone alla pari. Lei mi diceva dei suoi progetti immediati, come quello di farsi un paio di viaggi meravigliosi. Uno da sola e un altro con noi schiavi. Anzi, mi disse che avrei dovuto essere io ad occuparmene di organizzarli. Non aveva una meta precisa. Bastava che fossero esotici e lussuosi. Parlava anche della sua nuova dimensione di padrona e del fatto che stava scoprendo delle cose che non avrebbe mai creduto potessero esistere. Ma quel giorno rimase quasi in silenzio, con lo sguardo nascosto dai suoi occhiali da sole, più attenta al suo telefonino che al resto. Non osai naturalmente chiederle niente. Conoscevo bene la volubilità di Diana e i suoi sbalzi di umore e in quella situazione era estremamente pericoloso per me tornare a comportarmi da amico, ed era meglio attenermi alle mansioni di schiavo. Ecco, se c’era una cosa che potevo aggiungere al mio rapporto con lei, era il fatto che non ero costretto a fingere. Avevo veramente una paura folle di lei. Non era più la donna che mi trattava da amico sottomesso e che, tutto sommato, aveva un pizzico di riguardo nei miei confronti, ma una padrona con una vena sadica che le sue potenzialità atletiche rendevano estremamente pericolosa.
Dopo il pranzo l’accompagnai naturalmente in palestra. E quella era la fase più noiosa della giornata in quanto dovevo attendere almeno tre ore senza poter far nulla se non leggermi un giornale. A volte l’accompagnavo dal parrucchiere o dall’estetista, ma quella volta volle andare subito a casa. Ormai Maria e Josè avevano fatto l’abitudine alla mia presenza e, se non altro, con loro in casa stavo abbastanza tranquillo. Volle andare nella sua camera dove si mise seduta sul letto. Mi inginocchiai ai suoi piedi in attesa di ordini. Si tolse i suoi occhiali da sole che in quel momento teneva sulla testa e mi guardò.
“Dimmi, Paolo, tra tutte quelle cose che ho comprato su internet, qual è quella che trovi più eccitante?”
Sgranai gli occhi. Aveva comprato diversi abiti, pantaloni e tute di lattice, scarpe e stivali dal tacco chilometrico, intimo in lattice, tutte cose che definire eccitanti agli occhi di un uomo non rendeva bene l’idea. Quelle famose modelle fetish che aveva trovato sul computer di Alberto, e che avevano dato il via alla sua trasformazione, scomparivano letteralmente se rapportate a lei e al suo corpo esplosivo. Mi schiarii la gola. “Tutto quello che ha comprato le sta benissimo, padrona.” risposi.
“Questo lo so perfettamente. Ti rifaccio la domanda. Cosa te lo fa venire più duro?”
Non si poteva certo dire che non fosse una donna diretta nel suo modo di parlare. Cercai di ricordarmi cosa avesse indossato in quel mese durante i momenti di dominazione e sinceramente si poteva definire quel tipo di vestiario un tantino esagerato, in linea però con una certa visione un po’ stereotipata della dominatrice. In ogni caso, il risultato era che era quasi impossibile non guardarla con il massimo del desiderio
“Credo che il mini vestito rosso e la tuta nera, ma anche il pantalone con il top siano quelli che... mi hanno eccitato maggiormente, padrona. Ma indosso a lei tutto è perfetto.”
“Bene. Prendi una valigia e mettici dentro quelle cose. In più aggiungi quei tre o quattro completini intimi di lattice, un paio di stivali e due dècolleté. E, infine, il mio spazzolino da denti. Di corsa.”
La guardai meravigliato. “Deve partire, padrona?” domandai istintivamente.
Lei si alzò e capii subito di aver fatto una sciocchezza. Mi afferrò per un orecchio costringendomi ad alzarmi per poi sbattermi con violenza addosso all’armadio
“Paolino caro, lo capirai mai che tu sei il mio schiavo? Che devi solo obbedirmi in silenzio e, al limite, rispondermi se ti faccio qualche domanda?” Aveva parlato con calma, senza alzare la voce, ma questo non cambiava molto le mie prospettive che erano decisamente brutte mentre si era messa di fronte a me con le mani sui fianchi. Come ogni volta che si riproponeva una situazione del genere, la paura mi attanagliava e mi chiedevo chi me l’avesse fatto fare quella sera di restare con lei e continuare a farle da schiavo. Solo perché era maledettamente eccitante, maledettamente arrapante e perché io ero un maledetto idiota che ragionava col pisello invece che col cervello. E col cuore perché, malgrado tutto, non smettevo di amarla. Mi riparai goffamente il viso con le mani mentre il cuore mi batteva più forte. In quel momento, il mmio battito accelerato non dipendeva dal mio amore per lei ma il terrore che mi metteva. Erano tutte sensazioni già provate decine di volte in quel mese, ma era difficile se non impossibile abituarsi a quella condizione. Dipendevo dagli umori di una donna che apparentemente sembrava stesse perdendo il senso della realtà e quindi instabile emotivamente. O forse era tutt’altro che fuori dalla realtà e invece la stava semplicemente manipolando a suo uso e consumo? Difficile dirlo ma comunque, a sostegno della seconda ipotesi, io e Alberto eravamo sempre doloranti, spesso con ematomi, ma ancora perfettamente integri, segno che continuava a fare attenzione a come ci picchiava. Ma era complicato per me ragionare in modo coerente con Diana di fronte. Mi prese le mani togliendole dal viso. Deglutii nervosamente.
“Mi perdoni, padrona. Non volevo essere curioso. E’ stata una domanda istintiva. Non mi picchi, la prego.” la implorai quasi singhiozzando.
Il suo bel viso sembrava scrutarmi e le vidi comparire un sorriso. Stava godendo della mia paura. “Dammi un motivo per cui adesso non ti dovrei menare.”
“Non lo so, padrona.”
“ Io invece potrei elencartene tanti per cui invece dovrei farlo. Il primo è che mi piace farlo. Sono sadica, lo sai. Il secondo è perché più sarai percosso e più diventerai obbediente. E io pretendo obbedienza assoluta. Il terzo è perché adoro quando un uomo se la fa sotto dalla paura. Mi ha sempre elettrizzata questa situazione. Vuoi che continui?” Scossi la testa per dire no. “Io le sono già obbediente, padrona. Obbedisco a ogni suo ordine. E me la sto facendo sotto dalla paura, se è questo che voleva vedere da me.” Scoppiò a ridere. “In effetti. Uhm... Rimane il fatto che io adoro picchiare un maschietto indifeso. E tu sei così fragile e indifeso, Paolo. Comunque, oggi mi sento particolarmente buona. La prossima volta paghi anche per questa. Ci siamo intesi?” mi disse lasciandomi le mani.
Respirai sollevato e poi mi lasciai andare in ginocchio. Le afferrai addirittura le gambe, quasi a volerle dimostrare il mio senso di appartenenza. “Si, padrona. Grazie padrona. Grazie infinite.” le dissi semplicemente baciandole poi i piedi. Come si doveva sentire una persona in circostanze come quelle? E intendevo Diana, naturalmente. Come poteva riuscire ad amministrare quell’enorme potere che io e Alberto le avevamo dato? Le mancava soltanto il diritto di vita o di morte e poi il potere sarebbe stato completo. Lei tolse il piede che stavo baciando e me lo mise sulla testa. “Per questa volta te la sei cavata. In fondo, ho sempre avuto un debole per te. Se al posto tuo ci fosse stato Alberto, sarebbero stati cazzi suoi. Ma tu... Beh, ti volevo bene come amico e te ne voglio come schiavo, anche se in modo diverso. Mi fai tenerezza, Paolo. Dico davvero, sai. Hai degli istinti sottomessi nei miei confronti ma non sei un vero schiavo. Eppure, riesci ad accettare tutto perché sei innamorato di me. Sei davvero un caso unico. Sei andato al di là delle mie più rosee aspettative. Sai, era da tempo, prima che mi sposassi, che avevo intenzione di regalarti una notte di sesso con me. Volevo ripagarti di tutto ciò che facevi sempre per me, di essere sempre a mia disposizione. Sai perché non l’ho mai fatto?”
“No, padrona.” risposi sinceramente.
“Beh, perché non volevo che perdessi completamente la testa per me. Se avessimo fatto sesso, per te sarebbe stato impossibile poi farti una vita con un’altra ragazza. Ti saresti voluto legare ancora di più a me, mentre io volevo che ti facessi una vita tua. E avevo ragione.”
“E non mi amava abbastanza da poter vivere come una coppia.”
“Se è per questo, non ho amato mai nessuno. Una donna per amare un uomo deve vederlo in un certo modo. Un modo in cui io non riesco a vedere nessuno.”
Alzai la testa incuriosito e la padrona mi fece cenno di rialzarmi. Mi venne vicino e addirittura mi fece una carezza che mi fece venire i brividi. Si rimise seduta sul letto
“Non capisco, padrona.”
“E’ normale. Tu sei un uomo. Ti spiego. La maggior parte degli uomini che ho incontrato non possono tenermi testa. Me li metto in tasca come voglio. E come può una donna innamorarsi di un uomo che trema di fronte a lei?”
“Capisco, padrona. Ma ci sono anche uomini che probabilmente lei, pur con tutte le sue abilità e la sua forza non potrebbe sconfiggere. Almeno credo.”
Sorrise. “Beh, forse qualcuno c’è, ma allora subentra il mio lato dominante che mi impedisce di accettare un uomo che potrebbe essermi superiore. Sono contorta, Paolo. E quindi, mi sono accontentata di usare gli uomini soltanto per i miei interessi, come sfogo sessuale, e con te non volevo farlo. Poi mi sono ritrovata catapultata in questa nuova dimensione e molto è cambiato. Per me ma anche per te. Non avevo più il problema di temere che ti innamorassi ancor di più di me. Anzi, sarebbe stato proprio il mio interesse. Non c’era bisogno di fare una vita di coppia con te, come sarebbe stato nei tuoi desideri di uomo innamorato, ma potevo soddisfare il tuo desiderio nei miei confronti. Senza alcun problema. Sono la padrona e posso fare quello che voglio. Ma, come già ti ho detto, scoprirmi padrona ha significato un cambiamento dei miei impulsi sessuali. Gli uomini che possiederò dovranno essere i miei schiavi. E io ti volevo come schiavo. Non posso amarti, non come tu vorresti almeno, ma posso soddisfare il tuo desiderio.”
“Solo il mio, padrona?”
Scoppò a ridere. “No di certo. Se fosse dipeso soltanto da questo, credo proprio che la mia fichetta te la potevi sognare. Si tratta soprattutto del mio desiderio. Io voglio scopare con uno schiavo che mi veda come una dea, tu sei carino, perdutamente innamorato di me ed eri quindi l’uomo giusto. Ma, per diventare il mio ideale, dovevi adorarmi, essermi completamente sottomesso e tremante di paura.”
“Io sono tutto questo, padrona. Per me lei è veramente una dea. L’adoro, le sono sottomesso e, quanto alla paura, beh, si vede no?”
Le feci fare un’altra risata. “Direi che si percepisce benissimo. Ecco spiegato il perché come semplice amante non mi andavi bene mentre come schiavo da scoparmi quando voglio invece sei delizioso. E, tutto sommato, scopi anche discretamente.”
Chiusi gli occhi per assaporare meglio quel momento. Ero felice di quella confessione. Osservai il suo viso rilassato e sorridente e pensai che fosse davvero felice. Anche grazie a me. E chi ama è felice della felicità della persona amata. Ma quel momento di rilassatezza scomparve. Il suo volto tornò a essere duro e i suoi occhi ridursi a una fessura azzurra. Puntò l’indice verso di me.
“Bene, hai avuto dieci minuti di riposo. Ora fammi quella valigia come ti avevo ordinato, schiavo.”
Continua...
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scritto il
2025-07-23
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